la Repubblica, 27 agosto 2022
Che cosa succede nella borsa di Amsterdam in questi giorni
Pregi e difetti del Ttf, mercato virtuale del gas di Amsterdam che ogni giorno dà una martellata, reale, alle fondamenta dell’economia europea. E in un crescendo operistico ha moltiplicato per 20 i prezzi in 20 mesi.Resta il listino più “liquido” d’Europa, ma non liquido abbastanza: in più gli manca il gas. Colpa dei russi, primi fornitori nell’Ue che da oltre un anno, con tempistica che pare premeditata, tagliano sempre di più. Oggi che i tubi di Gazprom pompano al 20%, e l’Europa teme la penuria, gli scambi del Ttf registrano il dramma, in una spirale che ha escluso gli speculatori, rotto la fiducia tra operatori (il “momento Lehman”) e già miete le prime vittime: piccoli trader incapaci di onorare i contratti. Qui, però, non esistono salvifiche Banche centrali. Esiste solo “il fisico”, come dicono gli addetti. E il fisico, il gas vitale, l’ha in mano Mosca.Per questo i prezzi corrono tanto: i 339 euro della consegna “a pronti” di ieri si sono estesi a tutte le scadenze, e fino a inizio 2024 un MWh costa tra 265 e 340 euro, così il rincaro contagerà imprese e famiglie. Se ne accorgeranno gli italiani – di lotta e di governo – aprendo tra un mese le bollette estive, antipasto del piatto forte invernale.Il famigerato Ttf non è altro che un “hub”, un punto di scambio sulla rete interconnessa che collega offerta e domanda di gas. Ce n’è uno in ogni Paese, ma dal 2003 l’Olanda aspira al primato europeo, e da anni dà i prezzi a tutti. Anche al Punto di scambio virtuale italiano, che costa qualche euro in più per giustificare l’import. Come funzioni, lo spiega Gasunie, la rete dei gasdotti olandesi: «Ttf offre alle controparti di comprare e vendere gas già nei nostri tubi, sia tra loro che su piattaforme, e registra le transazioni con una notifica». Gli operatori ufficiali sono 148, di quattro tipi: produttori; stoccatori che lucrano sugli scarti di prezzo estate/inverno (oggi livellati); reti; gruppi integrati, che bilanciano produzione e vendite finali. Circa 15 sono italiani, dai big “verticali” Eni, Enel, Edison agli intermediari come Hera e Sorgenia, ai piccoli trader. I protagonisti del Ttf, però, sono globali: le banche d’affari Goldman Sachs e MorganStanley, i grandi trader Gunvor, Trafigura, Glencore, Vitol, le major Shell o Equinor. Erano loro le mani forti, fino a un anno fa, prima che Mosca inceppasse il meccanismo. Senza neanche troppa fatica, dato che i volumi al Ttf sono piuttosto ridotti: a luglio solo 4,61 miliardi di metri cubi, al giorno, pari a 5 miliardi di euro. È una piccola frazione dei 2 mila miliardi al giorno del petrolio Brent, che però è un mercato in derivati, mentre il gas ha un mercato al 90% fisico.«Da maggio la volatilità dei prezzi e l’esplosione dei costi dei margini ha estromesso ogni speculazione, neanche un folle entrerebbe ora – scriveva S&p citando un trader giorni fa». I soli compratori, forzati a farlo e svenandosi, sono aziende con portafogli sbilanciati tra acquisti e consegne. Uno dei problemi sono proprio le garanzie. Il Ttf richiede di versare cash, ogni giorno, l’80% dei nuovi guadagni, un sistema mutuato dalle Borse per tutelare icontratti. Ma con il volo dei prezzi anche i margini sono esplosi: gruppi come Eni ed Enel versano centinaia di milioni al giorno, i pesci più piccoli iniziano a fallire. Pure il credito rincara: le grandi banche Usa (ma ci sono anche Banca Imi e Unicredit) in passato finanziavano fino al 90% dei contratti, oggi la quota si decimata, e con tassi rincarati dall’1,5 al 7%.Per diversi operatori, comunque, «i prezzi indicati sul Ttf funzionano – dice uno di loro -. E segnalano che gli stoccaggi europei, anche pieni, potrebbero non bastare, che il razionamento ci sarà, che fino al 2024 sarà dura». Se l’Europa consuma 450 miliardi di metri cubi l’anno e Gazprom, che ne forniva 150, ora ne vende 30-40 miliardi, la colpa non è del mercato. «Mancano oltre 100 miliardi, e credo che nel 2022, tra uso esteso del Gnl e altri progetti, solo metà del divario sarà colmato», dice un grosso nome. Tocca affidarsi a una provvidenza che ha i tratti di Vladimir Putin, o quelli più torvi del climate change. «Se farà freddo, e se Mosca non riparte, l’Europa dovrà distruggere la domanda, con razionamenti e recessione». A meno che la guerra finisca, o sulla roulette geopolitica non esca doppio zero.