Corriere della Sera, 27 agosto 2022
Intervista a Vittoria Gassman
«La litigata più furibonda con mio padre fu quando venni a trovarlo a Roma alla metà degli anni Sessanta. Ero adolescente e indossavo un paio di blue jeans. Lui aveva idee vecchie e non poteva accettare che non indossassi una gonna normale... Ma io ero ribelle».
Vittoria Gassman, secondogenita di Vittorio Gassman, racconta a modo suo un padre molto speciale, che il prossimo 1 settembre avrebbe compiuto 100 anni. Non solo un padre, ma anche una madre speciale, l’attrice americana Shelley Winters, scomparsa nel 2006.
Lei ha come secondo nome Gina, riferito alla Lollobrigida. Come mai?
«Mi è stato dato da mamma. Quando le chiesi il motivo, rispose che, vedendo nell’attrice italiana la donna più bella del mondo, volle aggiungere questo secondo nome».
Subito dopo la sua nascita avvenne il divorzio...
«Un matrimonio-lampo. Avevo circa un anno e mezzo quando si lasciarono e rimasi negli Stati Uniti con mamma che soffrì molto quando poi seppe della nascita del terzo figlio, Alessandro, avuto dall’attrice Juliette Mayniel».
Un padre assente?
«Ovvio e ne ho sofferto, anche se lui veniva a trovarmi a New York una o due volte l’anno. Però mi scriveva spesso e voleva che imparassi l’italiano, le sue lunghe lettere erano in questa lingua: per me noiosissimo leggerle».
Cosa facevate quando veniva a trovarla?
«Una tappa fissa era mangiare al Plaza, negli anni successivi mi portava in un cinema dove proiettavano film stranieri, tra cui i suoi. Siccome poi si esibiva con delle letture al Consolato italiano, mi portava con sé. Quando iniziai a frequentare l’università a Boston, mi fece un grande regalo: si fermò una settimana per seguire i miei studi, assistendo alle lezioni».
E lei veniva regolarmente in Italia?
«Ho iniziato intorno ai 10-11 anni. Ogni estate trascorrevo circa un mese con lui: ci tenevo tanto e ci teneva tanto anche lui, nonostante le litigate... le emozioni superavano i contrasti».
Quando Vittorio faceva il padre, recitava una parte o era vero?
«È sempre stato vero, nei pregi e nei difetti».
Lui affermò che lei aveva sofferto per la sua assenza e ancor di più per la presenza di sua madre. È così?
«Amavo molto mamma, ma era una donna infelice e non era facile vivere con lei».
Un solo uomo con tante famiglie diverse, e quattro figli avuti da quattro donne...
«Stranamente, riusciva a mettere d’accordo le quattro donne. Una volta venne in America con Juliette per farcela conoscere, dopo la nascita di mio fratello. La sua nuova compagna andò d’accordissimo con mia madre. Andavano insieme a fare compere e tornavano felici: papà ed io assistevamo sorpresi all’amicizia tra loro».
Con quale dei fratelli lei si sente più affine?
«Pur non vedendoci spesso, mi sento legata a tutti, compreso Emanuele Salce, che papà ha cresciuto come un figlio. Con Paola condividiamo ricordi d’infanzia e adolescenza; Alessandro è il più divertente; Jacopo è introverso, molto intellettuale come me. Durante la pandemia ci siamo frequentati molto: avevamo creato una chat dove dialogavamo a distanza».
Lei, Vittoria, è l’unica che non ha seguito le orme dei suoi genitori: è medico geriatra. Perché?
«Mamma mi diceva cose negative su una carriera difficile. Papà mi fece partecipare con comparsate ad alcuni suoi film, ma non mi ha mai spinto al suo mestiere. Io sono interessata alla scienza».
Qual è il primo e l’ultimo ricordo?
«Il primo riguarda il mio compleanno. Mamma mi preparava una grande torta-gelato e, se papà non poteva esserci proprio quel giorno, ne mettevo in freezer una fetta che doveva mangiare anche se veniva da noi molti mesi dopo. L’ultimo ricordo è una bella vacanza a Sabaudia con lui, Diletta e con i miei figli. Era sofferente nel respiro: fumava come un demonio, soffriva di enfisema. Eppure, quando era nato Alessandro, aveva promesso: non fumerò fino a quando compirà 16 anni. Appena compiuti, ricominciò a fumare».