la Repubblica, 28 agosto 2022
Grecia, la distruzione della classe media
ATENE – Ogni volta diventa paonazzo, le mani vorticano nell’aria: Stelios ferma i turisti che si arrampicano verso l’Acropoli. «Mi scusi: ha un euro?». Tanti lo guardano stupiti. Ha la camicia di lino, la barba curata. È un ex insegnante di matematica, ci confessa. E abita dietro l’angolo, in un elegante vicolo di Plaka. Ma quando non ha più niente da mangiare scende sotto casa e allunga la mano. «Mi hanno tagliato la pensione e devo mantenere un figlio che studia a Salonicco. Mia moglie, per fortuna, è morta e non le è toccato vedere come sono ridotto». Stelios si fissa la punta delle scarpe. «Mai avrei immaginato di finire a chiedere la carità nel quartiere dove sono nato». Non vuole dirci il suo cognome per proteggere l’ultima cosa che gli è rimasta: la dignità.La troika ha lasciato la Grecia, la sorveglianza è finita. E i numeri parlano di una mostruosa operazione di riforme e aggiustamenti, rispecchiano dodici anni di sacrifici che hanno risollevato il Paese dal baratro. Ma le ferite sono profonde e nascondono un drammatico destino collettivo. «L’intera classe media, in Grecia, è scivolata verso la povertà» ha sentenziato un recente studio dell’Ocse; uno smottamento avvenuto «a favore del 10% più ricco» che ha «contribuito ad aggravare le diseguaglianze». E il Pil, crollato nei primi anni della troika del 25%, si è risollevato appena: resta del 17% al di sotto del 2009. La disoccupazione aveva toccato vette del 25% – quella giovanile aveva superato il 50% – ora è al 15%. Il numero dei bambini che si è abituato a vivere con entrambi i genitori disoccupati è quadruplicato.La borghesia devastata dai tagli agli stipendi e dagli aumenti delle tasse si arrangia come può. «Il collasso della classe media è una tragedia perché significa la crisi della spina dorsale della nostra società» ci spiega George Kaminis, sindaco di Atene durante dieci dei dodici anni della troika, ora deputato del Pasok. «E purtroppo sono stati l’economia in nero e la famiglia a salvare milioni di persone dagli effetti dell’austerità». L’economia sommersa vale ancora un quarto del Pil greco. E salva i governanti dai forconi, probabilmente, dopo i tagli del 30-40% su salari e pensioni. Kaminis, che da sindaco fu aggredito varie volte dai neonazisti di Alba dorata, un partito inesistente prima della crisi e che riuscì, cavalcando l’odio anti-troika, a entrare persino in Parlamento, ricorda che l’austerità «ha anche stravolto il vecchio sistema politico». Facendo squagliare, ad esempio, il suo partito, il Pasok, dal 44% al 4%.Sull’asfalto di Avidou, nel quartiere borghese Ailo Ilizia, sopravvive una scritta rossa dei giorni più drammatici di Ioanna Kolovou: “La casa è un diritto”. Ioanna ce la indica, orgogliosa, dal suo balcone. Poi ci invita a prendere un caffè sul divano liso del suo piccolo soggiorno. Su un mobile spicca una foto del più grande musicista greco del Novecento: Mikis Theodorakis. Per una vita, Ioanna è stata la sua ombra, la sua portavoce fedele, ha girato il mondo con lui. Ma da quando Theodorakis è morto, Ioanna vive nell’appartamento ereditato dai genitori e campa della sua magra pensione di 700 euro, tagliata del 30% dalla troika. E si occupa del figlio autistico. Ma due anni fa, un ufficiale giudiziario ha suonato alla porta per sfrattarli. «La mia banca mi aveva applicato dei tassi da usura. Quando non sono riuscita più a pagare, hanno messo la casa all’asta». Il suo caso ha sollevato un’ondata di indignazione enorme. Centinaia di manifestanti si sono dati appuntamento sotto casa sua, hanno tenuto lontana la polizia e acceso le telecamere sul suo dramma.Gli ufficiali giudiziari sono spariti, ma Ioanna deve ancora affrontare un processo difficile contro la banca che l’ha frodata. «Il mio cuore, però, è colmo della solidarietà che mi hanno dimostrato tutti: la Grecia è anche questo».Nel 2017, dopo sette anni di Grande Depressione, il Pil della Grecia aveva ripreso a crescere. Poi è arrivata la pandemia, e per un Paese che vive per il 30% di turismo, è stata un’altra ecatombe. Soltanto adesso, anche grazie ai 3,6 miliardi del Recovery Fund, il Paese guidato da Kyriakos Mitsotakis ricomincia lentamente a respirare. La strada per la ripresa, però, è lunga. Enegli anni dell’austerità 400mila greci hanno abbandonato il Paese, quasi il 5% dei greci, la stragrande maggioranza laureati e accademici. Una fuga di cervelli che rischia di scippare alla Grecia il suo futuro.Atene in questi giorni pullula di turisti: gironzolano in massa nei siti archeologici, affollano i negozi di chincaglierie intorno a Monastiraki. Sono il traino più robusto della timida ripresa che la Grecia vuole disperatamente agguantare per lasciarsi alle spalle un’era infelice. A pochi passi dal Liceo di Aristotele incontriamo Dimitrios Mamaloukas, scrittore con una passione per la Puglia. Un suo giallo recente ambientato negli anni di piombo italiani ha vinto il più importante premio letterario del Paese. «Io penso che le cose stiano migliorando», dice. «Tanti greci tendono a lamentarsi: forse non ricordano gli anni orribili in cui rischiammo di uscire dall’euro. Abbiamo sventato uno scenario da guerra, e tanti cambiamenti chiesti dalla troika erano dovuti». Nel 2009, quando comincia la tragedia del debito, al timone delle Finanze del governo di George Papandreou arriva un brillante economista che ha studiato a Londra e lavorato all’Ocse, George Papaconstantinou. Il suo titanico compito è quello di risistemare un Paese con una curva pensionistica fuori controllo, dove sopravvivono sussidi assurdi come quello per le figlie nubili e miriadi di enti fantasma che servono solo a distribuire prebende. Dove i fasti delle Olimpiadi e decenni di clientelismo hanno gonfiato un settore pubblico di cui non si sa neanche il perimetro esatto, dove l’evasione fiscale è endemica e chiedere una fattura o pagare con una carta di credito è una missione impossibile.Papaconstantinou passa alla storia come il ministro del più radicale taglio del deficit della storia europea – 5% in un solo anno, nel 2010 – e per un lungo periodo subisce minacce di morte e non può girare per strada senza essere in sultato. Certo, riflette, «forse avremmo potuto disegnare diversamente un terzo delle misure. Ma per due terzi, le decisioni che abbiamo preso erano inevitabili. Peraltro, che alternativa c’era? Una bancarotta e l’uscita dall’euro. In quel caso la sofferenza e il dolore sarebbero stati mostruosi». Papaconstantinou non ha più la scorta dal 2016. Ma ancora adesso, nei caffè di Atene, ammette che di non sentirsi del tutto tranquillo.