La Stampa, 27 agosto 2022
Il processo ai combattenti Azov è solo una vendetta
Nella lenta agonia di questa guerra ecco avanzare un’altra danza macabra. Niente che abbia a che fare con la strategia o la tattica. Semplicemente una mossa psicologica, propaganda cinica e volgare. Se non fosse che uomini rischiano la pena di morte non avrebbe neppure la densità o lo splendore del dramma, solo l’aria sudicia dell’impostura.
Nel teatro di Mariupol sono in corso lavori di bassa lega, si montano gabbie di ferro dove troveranno posto gli imputati, i falegnami allestiscono panche per il pubblico e scranni per i giudici. Perchè qui andrà in scena il processo pubblico imbandito dai secessionisti del Donbass ai "nazisti" dell’Azovstal, i combattenti ucraini che dopo un lungo assedio si sono arresi ai russi. Nelle foto le gabbie appaiono enormi come se dovessero ospitare non uomini ma lo zoo per esseri giganteschi e pericolosi di qualche razza perduta.
Inutile attendere i capi di accusa, le risultanze della istruttoria, l’elenco dei testimoni a carico. Parlar di codici, leggi internazionali e leggi nazionali (materia ancor più viscida in un repubblica che è riconosciuta solo dai russi che la tengono in piedi a furia di cannonate). Questo è un processo che assomiglia ai lugubri riti del castello di Verona, quando la Repubblica sociale mussoliniana saldò i conti con i traditori del Gran Consiglio e del 25 luglio. Qui siamo nel territorio oscuro e violento non del diritto ma della vendetta. Questo processo, che immagino della volontà di coloro che lo hanno organizzato vuole essere la risposta alla condanna a Kiev di un giovane soldato russo accusato di aver ucciso un civile, esattamente come l’altro sul piano assoluto della giustizia non ha fondamento. Appartiene a un altro territorio inaccettabile, ovvero quello dell’uso strumentale del diritto continuamente smentito per segnare linee di sangue nella storia e per proporre feroci catarsi collettive.
È fin troppo facile enumerare le ragioni per cui come nel caso dei frettolosi ucraini non può essere un processo regolare. La impossibilità visto che si svolge mentre la guerra infuria per gli accusati di citare liberamente testimoni a difesa. Nessuno avrebbe il coraggio di venire a portare prove a discarico degli accusati rischiando a sua volta vendette.
E poi il diritto alla difesa: impossibile per i soldati della Azovstal scegliere difensori che dovrebbero attraversare la linea del fronte per assistere al processo. Ci saranno come nel caso ucraino reticenti avvocati d’ufficio evidentemente di parte. Senza dimenticare il problema del clima in cui si svolgerà il processo che viene immaginato come una gigantesca operazione di propaganda: addirittura una Norimberga ucraina che dovrebbe portare elementi a sostegno della tesi russa secondo cui i difensori della acciaieria e le milizie a cui appartengono sono nazisti impegnati nella pulizia etnica di tutto ciò che era russofilo nelle province dell’Est del Paese.
In una guerra come quella ucraina si concepisce un odio furioso, un odio che raggiunge proporzioni puniche ed è questo, se volete, a essere la sua unica grandezza. Un odio selvaggio per il nemico, una esecrazione endemica e disperata che affila i coltelli, avvelena il passato, aggredisce i civili e i combattenti per poi ammucchiarli ai bordi di tutti i sentieri della ragione e della storia umana.
Si somministrano da una parte e dall’altra terribili veleni. Si giudicano dunque in base a questo odio anche gli eroi ambigui e sfruttati dell’Azovstal. La propaganda ha bisogno di un nuovo spettacolo tragico e lo reclama con possente e unanime clamore. La condanna scontata, lo sanno gli stessi organizzatori, sarà ben poca cosa e non cambierà il corso della guerra. In fondo tutte le possibilità propagandistiche di quel gruppo di soldati maceri e stracciati sono già state efficacemente raschiate nelle sequenze della resa, della spogliazione, della esibizione dei tatuaggi.
Riutilizzarli per un processo per crimini di guerra appartiene solo al sibaritismo della vendetta.
Ai soldati dell’Azovstal toccherà comunque il tragico destino, un’altra volta, essere usati per scopi che forse non hanno scelto consapevolmente. Dopo aver recitato l’eroismo sono incastrati nel ruolo degli assassini, dei sanguinari responsabili con i loro capi di Kiev di aver scatenato la tragedia; che appartiene semmai ai disegni imperialisti e totalitari di Putin e dei suoi squisling donbassiani.
A meno che non abbiano il coraggio, con vindice stoicismo, di rovesciare il copione, la recita da quattro soldi, che gli accusatori e i giudici hanno imbastito per loro, non sappiano cioè costruire lo scenario, difficile e doppiamente e pericoloso per chi sa di rischiare la pena di morte, del processo rivoluzionario. In questo caso la operazione propagandistica si ritorcerebbe contro coloro che l’hanno immaginata. Offrirebbe agli ucraini, che negli ultimi tempi per arroganza e sicumera nella vittoria sembrano aver smarrito il talento e la fantasia della comunicazione, uno straordinario palcoscenico per mettere sotto accusa i veri colpevoli della guerra.
Per questo occorre che gli imputati di Azovstal rifiutino alla radice la logica processuale scelta dai loro inquisitori e quindi di difendersi all’interno dell’artificiale sistema giuridico che viene loro imposto: ad esempio contestando le testimonianze o negando i delitti che vengono loro imputati. Facciano cioè scivolare il processo su un altro piano: voi non avete il diritto di giudicarci perché non esistete, siete una finzione statuale, territoriale, giuridica!
Dovrebbero così rompere le reni al pedantismo giuridico della vendetta e, con improvvisazione sacrilega, demolire il diritto stesso dei finti giudici dell’autoproclamato Donbass libero. Che sanguinosa presa in giro sarebbe per i trasibulo filorussi se le loro vittime designate dichiarassero subito davanti al pubblico e alle telecamere: le vostre toghe da ciarlatani non rappresentano nulla, non siete che assassini su commissione, offrite la più incontrovertibile prova antropologica che le ragioni di questa guerra accampate dai vostri padroni di Mosca non sono che bugie. Potete giustiziarci ma solo in nome del potere che nasce dall’averci sconfitto, non in nome di un diritto che non esiste.