il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2022
Costumi e bollette: faida di famiglia su Carmelo Bene
Dopo le case e la Fondazione, l’ultimo scontro è sui costumi di scena, quelli del più recente Pinocchio di Carmelo Bene (1998) e di Macbeth Horror Suite (1996), oggi esposti all’ex Convitto Palmieri di Lecce, nella terra del genio scomparso vent’anni fa dopo una carriera spesa a ribaltare il teatro e la cultura italiana. Le eredi, l’ex moglie e la figlia, li hanno ceduti nel 2019 alla Regione Puglia, che con qualche limite punta a valorizzare l’immenso lascito di uno dei grandi del Novecento. Ma l’ultima compagna di Bene, la costumista Luisa Viglietti che realizzò quegli abiti, minaccia di fare causa, reclama i diritti d’autore su una parte dei 160 mila euro incassati da Raffaella Baracchi e Salomè Bene. Sarebbero beghe private se questi due decenni non avessero inghiottito gran parte del materiale del Maestro: scritti, immagini, filmati e soprattutto audio in parte già distrutti dal tempo e dall’incuria. Nulla è stato digitalizzato.
“Sono due anni che dicono di voler fare una trattativa, ma non la fanno mai”, sostiene Viglietti, che si è affidata agli avvocati Massimiliano Pacifico e Martina Guadagnini di Roma. “La signora Viglietti è già stata soddisfatta a suo tempo”, taglia corto la figlia di Bene, neomagistrata, 30 anni. Non potrebbero essere più distanti, le due donne. Salomè porta il nome di uno dei cavalli di battaglia del drammaturgo, ma quel padre così speciale e ingombrante, che se ne andò quando aveva dieci anni, l’ha conosciuto più da morto che da vivo. Lo chiama al massimo “Carmelo” e mai “papà”, però da quando ha l’età per farlo si impegna come può per custodirne la memoria. “Lavoro in silenzio – assicura –, il contratto con la Regione Puglia l’ho scritto io, clausola per clausola, e l’ho firmato a 27 anni”. Luisa Viglietti invece rimase folgorata da Bene nel 1994 e visse con lui per otto anni, gli ultimi del Maestro, quindi si dedicò alla vana difesa del suo ruolo di esecutrice testamentaria e raccontò tutto, nel 2020, in un libro, Cominciò che era finita (Edizioni dell’Asino).
Ora, almeno formalmente, le due sono vicine di casa. Il tribunale ripristinò la divisione in due appartamenti dell’immensa casa-studio di Bene al pianterreno di via Aventina, nel cuore di San Saba a Roma, con migliaia di libri tutti letti, studiati e sottolineati e i quadri di Kłossowski, dove una volta le finestre erano sempre chiuse, perché il Maestro dormiva di giorno e lavorava di notte. A Luisa i giudici hanno lasciato, solo in uso abitativo, l’appartamento più piccolo. Salomè ha quello grande. “Ci abito, sì, ma non ci siamo mai parlate – dice l’erede – Per quieto vivere pago perfino le spese per l’appartamento in cui abitano la signora Viglietti, sua figlia e il suo compagno, che spesso sono morosi con il condominio”. “Ma quando mai? – replica l’ex compagna di Bene, napoletana – Lei qui ha solo la residenza, viene ogni tanto ad aprire le finestre. Paga le mie spese di condominio? Questa è una calunnia. Mi ha fatto causa per certe spese condominiali arretrate e per un abuso edilizio, fatto però da Carmelo. Una veranda che univa le due case. Da vent’anni cercano di mandarmi via, ma in primo grado hanno perso. La sentenza mi ha obbligato solo a spostare due finestre”.
La battaglia legale più importante, però, Viglietti l’ha persa tanti anni fa. Bene nel testamento l’aveva indicata quale segretaria della Fondazione “L’Immemoriale Carmelo Bene”, che doveva dare continuità alla sua opera ma fu travolta, dopo la sua morte, dalla causa intentata da Baracchi, la mamma di Salomè, miss Italia nel 1983 e poi attrice, da Il tenente dei carabinieri (1986) con Nino Manfredi ed Enrico Montesano a Snack Bar Budapest (1988) di Tinto Brass, con Giancarlo Giannini. La relazione tra Bene e Baracchi era finita pochi mesi dopo il matrimonio e la nascita della bambina, nel 1992, con scandalose accuse di violenze e denunce penali incrociate, infine ritirate, ma un divorzio non c’è mai stato. Quindi Baracchi era ancora la moglie ed ereditò tutto con la figlia. Un patrimonio che comprendeva anche la meravigliosa casa di Otranto, valutata allora 3 milioni di euro.
Nel 2009 la Fondazione chiuse. Libri, scritti, audio, video e cimeli d’ogni genere finirono sotto chiave, solo di recente sono riemersi all’ex Convitto Palmieri. Lì sono esposti anche migliaia di libri, ma dopo vent’anni l’immenso archivio di Bene non è fruibile. Restauro e digitalizzazione devono ancora iniziare. Uno spreco indegno di un Paese civile. “Ci stiamo lavorando con i migliori esperti, tutto si può fare prima e meglio, ma non tutto insieme – dice Salomè Bene –. I tempi dipendono anche dalle istituzioni, noi abbiamo investito anche risorse nostre, della famiglia di mia madre e di Maria Luisa Bene”, la sorella di Carmelo, scomparsa nel 2013. “Siamo stati bloccati a lungo anche per rispettare gli standard della Soprintendenza, adesso dovremmo iniziare la digitalizzazione per la parte documentaria. La parte video e audio è molto più complessa”, spiega Brizia Minerva, storica dell’arte, responsabile scientifica dell’Archivio Carmelo Bene insieme al direttore del Museo Sigismondo Castromediano di Lecce, Luigi De Luca. “Non abbiamo la disponibilità per un lavoro di restauro così ampio e costoso su una mole enorme di materiale, soprattutto audio, quindi partecipiamo ai bandi, cerchiamo finanziamenti. Il rischio – conferma Minerva – è che molto vada perduto. Molto è già andato perduto”. Intanto, per il 2 settembre, si prepara un evento a Otranto con un’installazione dell’artista Rä di Martino dedicata a Bene. “Le mando l’invito”, promette Salomè.
“Da tre anni non trovano i soldi? Noi ci provammo, ma avemmo a disposizione il materiale solo per un anno e mezzo, fino al 2005”, ricorda Viglietti. “La Fondazione è caduta non certo per colpa mia che avevo dieci anni, né di mia madre che non aveva le competenze. Hanno gestito male e preso tanto, mio padre non sarebbe stato contento”, sostiene Salomè Bene. Ora chi può rimedi.