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 2022  agosto 26 Venerdì calendario

Intervista a Christian Vieri

Posso chiamarla Christian?
«Mi ci chiamano in pochi...». 
È un bel nome. Bobo, a 49 anni suonati, non è un soprannome da eterno bambino? 
«A me piace: è divertente». 
Come è nato? 
«Mio padre Roberto era Bob. A soprannominarmi Bobo ha iniziato Alessandro Brunetti nelle giovanili del Torino. Venivo dall’Australia, parlavo poco italiano. Da Bob a Bobo il passo è stato breve». 
Chi la chiama Christian? 
«Gli amici australiani con cui sono cresciuto. E mia mamma Nathalie quando deve farmi un discorso serio». 
Christian Vieri, per (quasi) tutti Bobo, ex calciatore italiano. Una forza della natura, centravanti di razza. Juve, Lazio, Inter, Milan i quattro punti cardinali, 14 maglie in vent’anni tra capoluoghi e provincia d’Italia: nella carriera Vieri non si è fatto mancare nulla e i presidenti hanno fatto follie per averlo, compreso firmare un assegno di 90 miliardi di vecchie lire (l’interista Massimo Moratti al numero uno laziale Cragnotti, giugno 1999) e poi fotografarlo nudo con il cartellino del prezzo attaccato all’alluce. Cristiano Ronaldo, oltre quattro lustri fa, era Bobo. Il calciatore e la velina è una favola che ha inventato lui. Simpatico, popolarissimo tra le femmine. Irriconoscibile, oggi. Leggere per credere. 
Christian, a chi somiglia? 
«A mio nonno Enzo, che era follemente innamorato di me. E a mio padre Bob. Coco, Costanza Caracciolo, mia moglie, mi dice sempre che sono uguale a lui: toscanaccio, focoso, capace di fare mille facce buffe. Ma non è che sono sempre simpatico, eh...». 
Un cancro lunatico, sostiene Costanza. 
«Molto meno di un tempo: Stella e Isabel, le nostre bimbe, mi hanno insegnato la pazienza. Mai stato paziente un secondo in vita mia. Ma con Coco sono cambiato. Ero appena uscito da un’altra relazione, abitavo a Miami, mi sono detto: Bobo hai 44 anni, stai da solo, divertiti un po’, vai a vivere con due o tre amiche. Costanza la conoscevo da anni, non era mai successo niente, poi comincia un gioco: io do il voto alle foto che lei posta su Instagram. Voti alti. Clic». 
Come si è reso conto che Costanza sarebbe stata la madre dei suoi figli? 
«Molto semplice: prima non ero pronto. Con Coco è successo tutto senza sforzo, senza pensare. Ci siamo trovati e dopo tre mesi abbiamo deciso di fare un figlio. Cinque anni più tardi, eccoci qui». 
Cosa ha capito delle donne, grazie alle sue donne? 
«Eh non è facile interpretarvi... Sa cos’è? Sono maturato. È difficile spiegare come ci si accorge di essere pronti per una relazione fissa e i figli. Semplicemente, con Coco sto bene. Non ho bisogno di niente. Men che meno di programmare: io sono negato per la programmazione, devo vivere il daily. In meno di due anni sono arrivate due bambine che sono la più grande gioia della mia vita, altro che i gol. Ringrazierò Coco per sempre per avermi dato una famiglia così bella». 
Provi a descrivere questa grande bellezza. 
«La sento in maniera esagerata. Per esempio: ogni volta che esco di casa le bimbe vogliono un bacio, un abbraccio e il “cinque”. Ogni volta! Stamattina Stella è entrata in camera: papà e mamma, vi amo tanto, ha detto. Mi stavo facendo la barba: giù lacrime! La grande, Stella, quasi 4 anni, sono io. La piccola, Isabel, due anni, sta tirando fuori il suo carattere. L’altro giorno, al parco, una bambina si è avvicinata a Stella: Isabel l’ha cacciata via, è gelosissima della sorella». 
Quando arriverà il maschietto con cui parlare di calcio? 
«Io sono a posto. Credo che anche alla Coco vada bene così». 
E la fama di donnaiolo? Leggenda metropolitana romanzata o pura verità? 
«Quella vita lì è finita!». 
Ci mancherebbe altro. 
«Mi sono divertito, non lo nego». 
Chi è il suo migliore amico? 
«Non posso nominarne uno solo, sennò gli altri si offendono. Cristian Brocchi lo conosco dal ‘99, Nicola Ventola, Lele Adani e Antonio Cassano da vent’anni. Giuseppe Pancaro l’ho incontrato nella primavera del Torino: avevo 16 anni. C’è un grande affetto tra di noi, il legame è fortissimo. I calciatori, vede, sono capaci di lunghe e profondissime amicizie: si convive in squadra e in ritiro, si vince e si perde insieme. Oggi, se ci vedesse giocare a padel, le sembreremmo dei pazzi». 
Dice Nicola Pietrangeli che il padel è per gli scarsi che non sanno giocare a tennis. 
«Il tennis richiede tecnica, il padel no. Noi calciatori che abbiamo corso per vent’anni, appena smettiamo mettiamo su peso. Jogging? Per carità. Palestra? Che noia. Il padel, invece, è una sfida che ci prende la testa. Ti diverti e sudi. Ronaldo è venuto da Ibiza a Formentera per giocare con noi: le mogli fuori a cena e noi in campo dalle dieci e mezza a mezzanotte, come degli scemi. Insulti, offese, gente che prende l’aereo per non saltare la partita... Un rimbambimento collettivo totale!». 
Abbiamo parlato degli amici. Nemici ne ha? 
«No. Ho sempre avuto un buon rapporto con tutti. Qualche discussione in campo c’è stata, ovvio, ma niente che mi sono portato dietro nella vita. Ci sono amicizie, anzi, che ho recuperato in età adulta. Recoba, per esempio, la persona più buona del mondo. All’Inter io ero single e il Chino sposato: facevamo vite diversissime. Ci siamo ritrovati recentemente, con le famiglie, ed è stato come se il tempo non fosse mai passato. Infatti quando chiamo gli amici per la Bobo Summer Cup, arrivano tutti di corsa». 
Campionato, Supercoppa, Intercontinentale, 49 presenze e 23 reti in Nazionale. Ha tenuto dei cimeli? È attaccato agli oggetti? 
«Ho tutte le maglie: ben nascoste, sennò me le rubano. Ma non mi piace mostrare, ostentare. Non vivo nel passato: guardo avanti». 
Però sui social posta spesso i vecchi gol. 
«Sono bei ricordi. E i tifosi non si dimenticano niente: ricevo foto che nemmeno sapevo esistessero! Un calabrese, a New York, mi ha ricordato un gol di destro del 2001: per lui, italiano emigrato, era stato un momento importante, a cui è rimasto affezionato. Ecco, mi fa piacere essere impresso nella memoria degli appassionati. Ho fatto parte dell’ondata di bomber più forti che ci sia mai stata: Inzaghi, Batistuta, Ronaldo, Baggio, Trezeguet, Crespo, Shevchenko... Vedo che la nostra generazione è molto amata». 
Più di voi, solo i campioni del mondo dell’82. 
«Beh, certo, quelli sono eroi! Cabrini mi scrive qualche tempo fa: Bobo, esce un docufilm sugli azzurri del Mundial, puoi ripostarlo sui social? Già fatto, gli ho risposto: io vi amo. Ero innamorato pazzo di tutti loro: l’urlo di Tardelli che poi è stato mio allenatore, Zoff di poche parole come me, Pablito Rossi di Prato come mio padre, con Altobelli abbiamo commentato insieme il calcio in tv. Idoli assoluti. Memorie indelebili». 
Dov’era l’11 luglio 1982? 
«A Sydney, in Australia, dove eravamo emigrati. Davanti alla tv alle 3 di mattina con papà e un suo amico napoletano, un bestione di 150 chili. Alla fine di Italia-Germania 3-1 siamo usciti a urlare come matti. Credevamo di svegliare i vicini: in strada c’era tutta la città! Avevo 8 anni». 
Dica la verità: ma lei quei 90 miliardi che l’Inter pagò alla Lazio li valeva? 
«Secondo me sì: in quei sei anni in nerazzurro ho dimostrato di valerli eccome!». 
Perché la Bobo Tv ha così successo? 
«Bella domanda... È nata durante il lockdown, per passare il tempo in diretta su Instagram: chiacchiere in libertà con gli amici, aneddoti, cazzeggio. 70-80 mila persone a botta. Poi siamo passati su Twitch, piattaforma di gaming. Boom, la Bobo Tv mi è esplosa in mano: 2-300 mila persone a puntata. Ho avuto ospiti Guardiola e Mancini, con Ronaldo abbiamo fatto un milione di contatti. Funziona perché non si fanno domande del cavolo o fasulle, nessuno mette in difficoltà nessuno, non offendiamo: il dibattito è sempre leale. E la gente apprezza. Siamo sbarcati nei teatri: abbiamo richieste da tutta Italia e parte dell’Europa». 
Chi vincerà il campionato? 
«L’Inter». 
E la Champions? 
«Il Manchester City. Haaland farà almeno 40 gol e Guardiola è il miglior coach in assoluto». 
E il Mondiale? 
«Mi ha preso per Harry Potter...? Vedo tre favorite: Brasile, Francia e Argentina. Messi se lo meriterebbe proprio». 
E l’Italia merita di non esserci? 
«Lo dico da italiano ed ex giocatore: la nostra assenza dal Mondiale, il secondo consecutivo, è inaccettabile. Non aver vinto il girone con Svizzera, Bulgaria, Lituania e Irlanda del Nord è una follia. I ragazzi, incluso il Mancio che è un caro amico, non hanno fatto abbastanza. Otto anni di assenza li pagheremo a caro prezzo. È terribile». 
Chi è stato il bomber più forte di sempre? 
«Io metto Messi davanti a Maradona e Ronaldo, il Ronaldo dell’Inter. Si può non essere d’accordo, ma se fossimo sempre tutti d’accordo sai che barba?». 
E Vieri dove lo piazza? 
«Non scherziamo: io con questi fenomeni non avevo niente a che fare».  
Christian, l’anno prossimo sono 50. Vogliamo abbozzare un bilancio? 
«Sono nato a Bologna e cresciuto in Australia con il sogno di giocare in serie A e in Nazionale. A 14 anni sono partito: ma’, vado in Italia. Ho telefonato a Vieri senior (se lo chiamavo nonno si sentiva vecchio): vieni, mi ha detto. Ho preso l’aereo. Ho giocato in serie A e in Nazionale. I miei sogni li ho realizzati tutti, e pazienza se mi sono rotto il ginocchio un mese prima del Mondiale 2006, che avremmo vinto: fa parte dello sport. Oggi sono un marito un po’ lunatico e un papà presente e felice. Ho i capelli bianchi ma sono sempre io, lo stesso Bobo».