Il Messaggero, 26 agosto 2022
Piccoli, precisi e devastanti: i droni sostituiscono i tank
Altro che carri armati, lanciamissili lungo raggio e sommergibili nucleari. La guerra in Ucraina la fanno i droni, sciami di Uav, aeromobili senza equipaggio con aperture alari di svariati metri o appena 15 centimetri come quelli che i britannici hanno promesso nell’ultima visita di Boris Johnson a Kiev per l’Indipendenza, i Black Hornet da 6 pollici che si tengono tra due dita, micidiali nel penetrare ambienti e fotografare obiettivi; o i formidabili droni turchi disegnati nientemeno che dal genero di Erdogan, che hanno salvato Kiev costringendo le colonne di tank russi alla ritirata. O quelli fai-da-te progettati da patrioti ucraini con l’hobby del drone, che hanno usato la tecnica della stampa tridimensionale. O le bombette di fabbricazione russa modificate dagli ucraini con alette che le fanno dolcemente planare sui target per disintegrarli. O i kamikaze americani, i Phoenix fantasma che vanno a disintegrarsi senza un gemito sulle torrette dei tank. Bastano gruppi di incursori in bicicletta con un’infarinatura di guerra elettronica o un passato da dronisti da matrimonio o papà con la passione degli aeretti. Ottocentocinquanta i micro-droni portati in dote da Johnson a Zelensky, parte di un pacchetto di aiuti militari per 54 milioni di sterline: elicotteri-giocattolo usati per la prima volta dai britannici in Afghanistan, osserva il Daily Telegraph che sui droni ha pubblicato interessantissimi reportage. Quasi 2 km di raggio, velocità massima 17 km l’ora, visione notturna, 25 minuti come tempo di volo. Silenziosissimi, possono entrare in una stanza dalla finestra senza farsene accorgere, inquadrare e trasmettere immagini in alta definizione. Sono co-prodotti da britannici e norvegesi, costano solo 10mila euro l’uno (per un totale di 8.5 milioni), sono il non plus ultra sul mercato dei mini-droni. Robusti, difficili da intercettare, particolarmente adatti nella guerriglia urbana, surclassano i più rumorosi droni cinesi Dji da 1700 sterline, impiegati dagli ucraini come dai russi (ma Kiev sospetta che i cinesi li abbiano manomessi per simpatia verso Putin).
LA SCORTA
In dotazione alle forze armate russe la copiosa flotta di Orlan-10 (e 30) da ricognizione, mentre gli ucraini attingono ai Leleka e Furia ala fissa, ma preferibilmente alla scorta, messa a disposizione dal Pentagono, di kamikaze Switchblade o polacchi Warmate. Tra i maghi dei droni arruolati nell’esercito di Kiev il 31enne presidente della Federazione ucraina di atletica, Yechen Pronin. Alla periferia della capitale c’è un centro d’addestramento per piloti di Uav, 35 allievi alla volta per un corso di 5 giorni, alle prese con 15 diversi tipi di drone. I Switchblade, o Phoenix fantasma, possono volare per 15 minuti a quasi 100 km l’ora, una volta individuato il target si fiondano giù con l’esplosivo incorporato. Abbinata vincente col Puma: apertura alare di 4 metri e mezzo, lanciato a mano, 10 chili di peso, per 5 ore volteggia in un raggio di 40 km per individuare i target, in modo che il Phoenix debba solo andar dritto sull’obiettivo senza perdite di tempo. Il turco Bayraktar TB2, dal nome del progettista e marito della figlia minore di Erdogan, con le sue 4 bombe a guida laser è stato decisivo nel rovesciare le sorti della guerra attorno a Kiev e conquistare la strategica Isola dei serpenti nel Mar Nero. Non altrettanto efficaci i droni promessi a Putin dal regime iraniano, gli Shadhed 129, modellati su un prototipo israeliano e con apertura alare di poco inferiore alla lunghezza di un bus londinese.