Corriere della Sera, 26 agosto 2022
Usa, la fatica di trovare reclute
Neanche il successo galattico del ritorno nelle sale cinematografiche di Top Gun: Maverick è riuscito a far venire ai giovani americani la voglia di dedicarsi alla carriera militare. «Pensiamo che il film contribuirà positivamente alle decisioni individuali di servire in Marina», aveva dichiarato a maggio al mensile Flying il portavoce della Us Navy, comandante Dave Benham (è alla U.S. Navy Fighter Weapons School che si ispira il film). Il suo ottimismo era mal riposto: a un mese dalla chiusura dell’anno fiscale 2022, i numeri che la Marina aveva come obiettivo sono ancora lontani. L’Air Force, che per cavalcare anche lei il successo del film aveva prodotto una pubblicità di reclutamento con manovre ad alta velocità di F-35 e F-22 da proiettare prima dei titoli di testa, fa altrettanta fatica: è a corto di almeno 1.500 piloti.
Anche le prestigiose accademie militari – viste in tanti film, usate come stelletta nel curriculum da politici ambiziosi – ne risentono. West Point ha registrato una diminuzione del 10% dei candidati, mentre l’Accademia dell’Aeronautica un meno 28%.
Alla fine di luglio, l’esercito aveva avviato all’addestramento di base meno della metà dei 57.000 nuovi soldati che sperava di reclutare entro settembre. Nel 2019, un obiettivo più alto di undicimila unità era stato raggiunto senza problemi. In una recente testimonianza al Congresso, il generale della Marina David Ottignon ha definito il 2022 «probabilmente l’anno più impegnativo per il reclutamento dall’inizio della forza interamente volontaria». Riviste come la conservatrice National Review suonano l’allarme.
Sul perché l’esercito della superpotenza sia tanto in difficoltà proprio in un momento in cui l’equilibrio globale, tra guerra in Ucraina e tensione con la Cina attorno a Taiwan, è particolarmente instabile, destra e sinistra hanno spiegazioni diverse. I progressisti puntano il dito contro l’estremismo nelle fila delle Forze armate, la destra chiama in causa la cultura woke, che renderebbe i giovani mollaccioni poco disposti al sacrificio.
Ma dal 2019 a oggi è successa un’altra cosa: una pandemia globale. Il Covid da una parte ha reso più rari e difficili gli incontri con i reclutatori, che si muovono come rappresentanti di commercio dentro i licei, nelle fiere e negli eventi pubblici; dall’altra l’obbligo di vaccinazione ha allontanato molti no vax.
E poi in America c’è un’altra epidemia (neanche tanto) sommersa: quella dell’obesità. Tanto che l’esercito sta pensando di creare una forza di addestramento speciale nella base di Fort Jackson in South Carolina per i candidati sovrappeso, in modo da farli rientrare negli standard di grasso corporeo previsti dalle regole. L’obesità non è l’unico ostacolo: secondo i dati del Pentagono circa il 76% degli adulti tra i 17 e i 24 anni ha altri problemi medici o una fedina penale che non li rende idonei al servizio.
Per allargare il bacino potenziale sono state rese più lasche alcune regole, come quelle sui tatuaggi o sulla necessità di un diploma (anche se su questo i vertici hanno subito fatto dietrofront). Il problema più grande però è culturale: a stento un giovane su dieci (nonostante i generosi bonus di ingresso che arrivano fino a 50mila dollari) prenderebbe anche solo in considerazione una vita nelle Forze armate. Per la generazione Z il modo in cui i militari (non) risolvono i problemi legati alle molestie sessuali, alle aggressioni e ai suicidi nei loro ranghi sono tra le ragioni per stare alla larga.
Stando così le cose, difficile immaginare un cambiamento a breve. Con un personale in servizio attivo dimezzato rispetto a quello che aveva alla fine della Guerra Fredda – ai livelli minimi dall’abolizione della leva obbligatoria nel 1973 – il più grande esercito del mondo forse può sperare nel progresso tecnologico, nei mezzi senza pilota, nell’intelligenza artificiale. E nella pace.