il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2022
Estratti dal libro-biografia di Enzo Garinei
Pubblichiamo alcuni passaggi della biografia di Enzo Garinei “1926: io c’ero” a cura di Laura De Luca
Fascismo. Dato il mio fisico non particolarmente robusto, non ho mai fatto nessuna parata, non ho mai indossato un fez o una camicia nera. Certe manifestazioni mi sono state risparmiate.
Inizi. Avevo neppure 23 anni quando Carlo Ludovico Bragaglia mi convocò per Totò le Moko. Intanto ero piaciuto molto anche a Mario Mattoli, il regista fisso del principe De Curtis (…) Con Mattoli, l’importante era chiamarlo sempre “avvocato”( tale era!), come pure era importante chiamare “principe” Totò
Mario Mattioli. Mi ha insegnato l’improvvisazione. Prima di iniziare le riprese dei film, convocava tutti gli attori e si raccomandava di prepararsi, studiare, imparare il più possibile a memoria. Però, appena il regista ci lasciava, subentrava Totò con le sue personalissime richieste: “Ragazzi in campana, aiutatemi, perché se mi viene in mente qualche cosa, mi dovete aiutare”. Intendeva che avremmo dovuto essere pronti a qualsiasi improvvisazione.
Totò. Era un fenomeno, ma si sminuiva sempre
Caratterista. Non ho avuto mai gelosie con nessuno, forse perché, in quanto caratterista, difficilmente i colleghi vedevano in me un rivale,
Vittorio Gassman. Mi sono convinto che non avrebbe voluto recitare. Forse pativa di essersi affermato più in cinema in ruoli brillanti, quando avrebbe preferito continuare a lavorare in teatro come attore drammatico… Era sempre serio, pignolo… Quando giravamo a Siena La ragazza del Palio (1957), di Zampa, lui arrivava sul set in piazza del Campo molto in anticipo, pieno di libri e giornali. Si sedeva al tavolino del bar e iniziava a leggere. Ho sempre pensato che gli sarebbe piaciuto fare lo scrittore, il regista, o il politico. Era sempre un po’ distaccato (…) aveva pochissimi amici, almeno nel nostro ambiente. (…) Quando arrivavano gli ammiratori a chiedergli un autografo, allora si concedeva. Ma con un certo distacco. (…) Forse l’unico momento in cui Vittorio si scopriva un po’ era la sera, a fine giornata, quando si andava a mangiare in gruppo. E allora, se incominciava a bere, si lasciava un po’ andare: questa è una abitudine molto frequente fra noi attori.
Alberto Sordi. Simpatico come appariva nei film: bonaccione, scherzoso, insomma un uomo piacevole.
Sandra Mondaini. Non era una donna allegra, strano a dirsi. Era una gran giocatrice
Pietro Garinei. Per un periodo mi sono sentito “il fratello di”. Tanto che avevo pensato di trovarmi uno pseudonimo: Vincenzo Engar (EnGar: Enzo Garinei). Poi sono passato a scherzarci su. “Non sono il figlio di Pietro Garinei!” ripetevo. E anche: “Non sono il figlio di Garinei e Giovannini!”. Lui è stato realmente il mio secondo padre, ed è vero che per un periodo ostacolò la mia inclinazione per il teatro: avrebbe preferito che anche io studiassi farmacia come l’altro nostro fratello Paolo, per proseguire l’attività di famiglia. (…) Inoltre era un uomo molto preciso e si era accorto che io ero tutto all’opposto, che spesso facevo tardi, mettendo in agitazione le compagnie che mi vedevano arrivare a pochi minuti dall’inizio dello spettacolo.
Garinei e Giovannini. Proprio questa sua precisione rischiò di far saltare il sodalizio con Giovannini che era il suo opposto: lui preciso, Giovannini più farfallone; fumatore Giovannini, non fumatore Pietro. (…) Quando la gente entrava nel loro bunker letteralmente si emozionava. Ho visto personaggi importanti (Mastroianni, Proietti) farsi venire la pelle d’oca.
L’ego. Oggi c’è un eccesso di protagonismo fra noi attori. Se fa una fiction e si diventa subito protagonisti. (…) Non ho mai voluto essere primo attore. Ero contento di quel che facevo. Invece oggi in Italia nessuno vuole fare più il caratterista perché appunto si è malati di protagonismo.
Gino Bramieri. Era un entusiasta, pieno di idee. Ricordo quando eravamo a Napoli per la Rai e ce ne andavamo per quei mercatini eredità degli americani dove si trovava di tutto. La gente lo riconosceva, ci riconosceva, lo chiamava: “Guarda Ginoooo! Ginooo! Ciao Ginoooo! Sta con quell’altro attore, Galileo Galilei!” (il mio nome lo storpiavano così!); veniva acclamato con affetto sincero, lui milanese, a Porta Nolana o a Pignasecca, proprio come fosse uno di loro. Era in grado di parlare un infinità di dialetti, e il siciliano meglio di tutti! Uomo generosissimo.
Amici e colleghi. Quante volte, pensando a tanti che non ci sono più, mi volto sempre verso l’alto e li saluto. E mando loro un bacio. A mio fratello, a mio figlio. A Sandro, a Valeria, a Gino, ad Armando… Per tutti loro provo una grande nostalgia. Mi mancano anche le litigate, le cattiverie… E qualche volta mi dico: chissà che meraviglioso spettacolo continuano a fare, su in cielo.