Corriere della Sera, 24 agosto 2022
Intervista a Enzo Iachetti per i suoi 70 anni
«Quando suonavo e facevo cabaret nei night, venivano a vedermi anche le prostitute della zona, con i loro protettori. Affrontare questo tipo di pubblico non era facilissimo: se non si divertivano a qualche battuta reagivano in maniera... calorosa. Una volta una cicca di sigaretta accesa mi finì dentro la chitarra, stavo per andare a fuoco».
Enzo Iacchetti, vicino al traguardo dei 70 anni che compirà il 31 agosto, ripercorre la sua carriera che non riguarda solo Striscia la notizia, ha infatti debuttato da bambino sul palcoscenico dell’oratorio. «Ero timidissimo, parlavo pochissimo, ma un regista del mio paese stava preparando uno spettacolo e chiese a mio padre se poteva prendermi per una parte da muto. Mi ritrovai sulla ribalta. Là sopra cominciai a chiacchierare, non riuscivo a stare zitto. Mi piaceva quel posto: fu una folgorazione».
Il vero percorso artistico iniziò al Derby di Milano, quando lei venne licenziato da una agenzia di viaggi.
«Mi licenziai io, con degli amici lavoravamo per una radio libera, dove guadagnavo la metà dello stipendio in agenzia, ma mi divertivo di più. A fine 1978, dopo la gavetta nei night, approdai al Derby, un’università a numero chiuso, ti insegnava ad affrontare ogni tipo di pubblico. Però le esibizioni duravano fino alle 4 del mattino! Se eri fortunato ed eri tra i primi, ok, ma se ti capitava l’ultima ora beh... era dura far ridere il pubblico rimbambito dal sonno e dall’alcol».
La passione per lo spettacolo da dove arriva?
«Gli Iacchetti erano tutti musicisti. I miei zii suonavano nella banda del paese e mio padre cantava in chiesa. Ma lui, che faceva il ciabattino e sognava il figlio ragioniere, non era per niente felice. Quando poi presi il diploma in ragioneria, con il voto 36, il minimo garantito, glielo portai, dicendogli: to’, eccoti il pezzo di carta».
Quindi la sua principale passione è stata la musica?
«Certo! I miei idoli: Giorgio Gaber, che era musica e teatro, e Jannacci per la musica. Non ho frequentato scuole di recitazione o musicali, ho cercato di imparare da loro, senza copiare. Da Gaber il suo rigore, una religione per me: se fossi stato una donna, l’avrei voluto sposare. Jannacci mi affascinava per il suo modo di essere surreale».
Oltre ad ammirarli, li ha conosciuti personalmente?
«Una sera ero andato a vedere uno spettacolo di Gaber e poi mi misi in fila per avere il suo autografo, ma siccome in quel periodo già frequentavo il Maurizio Costanzo Show, dove presentavo le mie canzoni e poesie “bonsai”, lui mi riconobbe, dicendomi: tu sei Enzino! E mi invitò a cena: soli, lui ed io a chiacchierare... Una serata indimenticabile».
Com’è nato Chiedo scusa al signor Gaber?
«Un omaggio. Avevo preso alcune sue canzoni famose, le avevo riarrangiate, intercalandole con miei monologhi, secondo lo stile del suo Teatro canzone».
Ma a Sanremo non è mai riuscito ad approdare...
«Io canto bene e ho tentato tante volte di propormi, ma sono sempre stato bocciato. E ora dico ad Amadeus: stai tranquillo, ho deciso di non provarci più».
Prosegue con Striscia, cammino iniziato nel 1994, coppia fissa con Ezio Greggio.
«Siamo una coppia di fatto e, giuro, non abbiamo mai litigato. Entrambi abbiamo un notevole senso dell’ironia e godiamo di reciproca stima. Fare satira non è sempre facile...».
Allude alle molteplici querele?
«Come conduttore credo di averne ricevute almeno una decina. Antonio Ricci, più di cento. Per non parlare dei tapiri sbattuti in testa al povero Staffelli! Riprenderemo a fine anno, ma io farò solo due o tre mesi, perché ho la mia tournée teatrale cui non rinuncio».
Bloccati dalla neve è la commedia di Peter Quilter. Una storia da lockdown?
«L’autore l’ha scritta a inizio pandemia, e io del problema ne so qualcosa, dato che ho fatto tre vaccini e un Covid: non mi sono fatto mancare niente. Il lockdown, stavolta, non è dovuto al virus, bensì a una catastrofe climatica: cade neve a tutto spiano. Il mio personaggio è un misantropo anziano, che vive in un cottage. Bussa alla sua porta Judith (Vittoria Belvedere) che vuole assolutamente farsi accogliere. Diventa una convivenza forzata, tra risate e l’amarezza della solitudine».
A proposito di anziani: che regalo vorrebbe per il compleanno?
«Vorrei che mi offrissero un ruolo da serial killer: faccio sempre il bonaccione, mi piacerebbe fare il cattivo. E non vorrei più avere paura della vita. Forse ne vedo il traguardo vicino».
L’errore che non commetterebbe di nuovo?
«Non aver parlato mai con mio padre, non andavo mai a trovarlo: avevo 21 anni quando è morto a soli 57 e vivo ancora questo senso di colpa».