Corriere della Sera, 24 agosto 2022
Ritratto di Nicola Fratoianni
Il problema è la teoria della relatività ristretta, con la realtà che è semplicemente e assolutamente diversa a seconda del punto di vista dell’osservatore. E allora non c’è dubbio che la lettura più lineare sia quella che dice che Enrico Letta si è alleato con uno che non ha votato e mai voterebbe il governo di Mario Draghi, che si è espresso contro l’invio di armi all’Ucraina né mai sosterrebbe l’aumento delle spese militari o le missioni in Libia, mentre chiede meno orario e pari salario e una tassa per i ricchi con cui finanziare il welfare. Ma saliteci voi sul palco della Fratellanza operaia di Sesto Fiorentino e provate a convincerli che si può stare con il Pd, completamente in linea con l’Europa e l’alleanza atlantica, senza perdere l’onore. Perché lo si fa solo per il dovere di fermare il rigurgito neofascista, per difendere la Costituzione, eterno baluardo contro la restaurazione, e non per portare a casa uno stipendio da parlamentare, e che comunque un pezzo almeno lo girate alla causa. Perché sarà pur vero che è passato quasi mezzo secolo da quando Enrico Berlinguer disse che si sentiva più sicuro sotto l’ombrello della Nato, ma i comunisti «così», come diceva Mario Brega mostrando non uno ma tutti e due i pugni chiusi in un film di Carlo Verdone, non ci hanno mai creduto. Hanno sempre pensato che fosse un trucco per fregare i borghesi e quando Enrico, quello di allora, sarebbe comparso in tv, Benigni docet, dicendo: compagni… pronti… via! La rivoluzione avrebbe rotto gli argini aprendo la strada al sol dell’avvenire.
Ecco quello che sta passando Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, che nel suo ruolo basta un avverbio fuori posto, una foto casuale passando davanti al circolo del tennis, un forse si potrebbe, e ci si trova in un attimo nel girone dei rinnegati, servi del capitale.
Nasce a Pisa il 4 ottobre del 1972, sotto il segno della bilancia. Famiglia molisana, originaria di Ururi, babbo Aldo, mamma Anna, entrambi insegnanti, ora in pensione. Diploma al liceo scientifico Filippo Buonarroti, laurea in filosofia con una tesi sull’antropologo francese Louis Dumont che gli vale la lode. Vive a Foligno, è ateo e si è sposato in Comune nel 2019 con Elisabetta Piccolotti, ex portavoce nazionale dei Giovani comunisti, celebrante Nichi Vendola. Ha un figlio che si chiama Adriano. Ottimo giocatore di ping pong, da ragazzo anche a livello nazionale, e ancora meglio, pare, come cuoco di pesce.
Nel 2004 pesca il jolly. Si era fatto le ossa nel movimento no global e Fausto Bertinotti lo spedisce armi e bagagli, poco più che trentenne, a fare il segretario regionale in Puglia. A Bari ci arriva a bordo di una Volvo station wagon scassata e di seconda mano, trova casa nella città vecchia e, mentre semina senza clamore cuori infranti, partecipa all’avventura che porterà Nichi Vendola a battere, contro pronostico, il predestinato Raffaele Fitto nella corsa per guidare la Regione Puglia. Tra lo sconcerto e il fastidio di funzionari, uscieri e vigilanti sale le scale che lo portano allo studio del presidente in sandali e bermuda, dove lo attende Nichi, perennemente in giacca e cravatta, anche con quaranta gradi all’ombra.
Marcia trionfale, quei due non li fermano neanche con la penicillina, fino a che nel 2008 accade l’impensabile. Se ne vanno a Chianciano Terme per vincere il congresso di Rifondazione a mani basse e invece nella notte la mozione di Paolo Ferrero li supera al fotofinish per un’incollatura. Cose che succedono, si dirà, ma nelle complesse vicende della sinistra-sinistra, Nicola Fratoianni, che è sempre stato un funzionario di partito, si ritrova quasi senza lavoro. Fino a che, nel 2010, l’amico Nichi lo nomina assessore alle Politiche giovanili. Non senza polemiche e malumori, perché succede a Guglielmo Minervini, che quell’assessorato lo aveva inventato e fatto prosperare. Nel nuovo ruolo Nicola infila i bermuda nell’armadio e i sandali nella scarpiera e si compra una giacca e la cravatta, e visto che c’è, passa dal concessionario e torna con una Triumph Bonneville fiammante.
Adesso Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, di Europa verde, fanno un po’ i Marco e Mirko della politica italiana, i gemelli terribili scaturiti dalla penna di Gianni Rodari. Ma ci fu un tempo, neanche tanto lontano e, per certi versi, ancora pendente, in cui sono stati durissimi e fierissimi avversari.
La vicenda dell’Ilva di Taranto, con i suoi strascichi processuali, li ha visti su barricate contrapposte, con il leader verde, costituitosi parte civile, che chiedeva per il leader rosso condanne e obblighi di risarcimento. Su Bonelli piovevano strali che lo bollavano come uno sciacallo alla ricerca di consenso elettorale mentre c’erano posti di lavoro da difendere. Lui accusava Vendola e l’amico Nicola di aver intessuto rapporti non limpidi con i vertici dell’acciaieria, alle spalle dell’ambiente e della salute dei pugliesi. Ora non è tutto dimenticato, ma di sicuro tutto accantonato, perché fa premio sui vecchi dissapori la sfida del 25 settembre, dove c’è un nemico comune. Che certo è Giorgia Meloni, in predicato di diventare premier, ma vuoi mettere con la soddisfazione di bacchettare Carlo Calenda? Bonelli: «È un bimbo capriccioso e va educato, se sei viziato cresci male». Fratoianni: «L’agenda Draghi non esiste, povero Calenda, deve correre in cartoleria a comprarne un’altra».
E via così, sperando nella fatina del tre per cento.