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 2022  agosto 24 Mercoledì calendario

Aiuti cinesi e metodi da Urss: la Russia soffre ma non crolla

Il prossimo fine settimana a Mosca potrebbero rinascere iberjozka, la rete di negozi duty free riservata in era sovietica al corpo diplomatico. Il governo ha siglato un’ordinanza che entrerà in vigore il 27 agosto. Solo lì potranno trovarsi prodotti oramai banditi dalle sanzioni europee: alcolici, profumi, cosmetici o cellulari. Non è il solo retaggio dell’Urss riesumato dopo sei mesi di cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina. Nel lessico dei russi è tornato in auge il termine defitsit:“carenza di prodotti”. E, complice il via libera statale alle importazioni parallele, sono ricomparsi anche ichelnokì,i commercianti che fanno letteralmente la “spola” con l’estero per trovare tutto ciò che manca e rivenderlo in patria. Eppure, sostengono gli analisti, l’economia russa, la più sanzionata al mondo, sembra reggere all’urto delle oltre 11mila misure adottate dall’Occidente in risposta all’offensiva. «Annaspa, ma non affoga », ha sintetizzato Chris Weafer, ad dell’azienda moscovita di consulenza Macro-Advisory in uno studio diffuso venerdì scorso.
La manna per i conti russi resta l’export di gas e petrolio. SecondoBloomberg, la scorsa settimana le consegne offshore di greggio sono tornate al livello di aprile: 3,41 milioni di barili al giorno. L’export verso l’Europa è persino aumentato: molti Paesi del Mediterraneo, Italia in testa, fanno scorta in vista dell’embargo Ue che entrerà in vigore solo a dicembre. Mosca non solo beneficia dell’aumento dei prezzi degli idrocarburi che ha ad esempio compensato il crollo delle esportazioni di gas, ma ha anche trovato mercati alternativi. Non solo la Cina, dove la Russia ha soppiantato l’Arabia Saudita come primo esportatore, o l’India, a cui garantisce prezzi scontatissimi. Una terza petroliera è diretta in Sri Lanka, il cui presidente ha chiesto personalmente aiuto a Vladimir Putin. Due hanno svuotato i serbatoi in Egitto dopo la visita del ministro degli Esteri Serghej Lavrov. E i talebani sono interessati a comprare un milione di barili di greggio.


Nella capitale i ristoranti traboccano malgrado qualcuno abbia ritoccato i menù e i supermercati non sembrano avere problemi di rifornimento anche grazie all’abile facing, disposizione delle merci sugli scaffali, benché molti prodotti ora arrivino dall’Asia e i prezzi siano schizzati. Davanti all’inflazione i russi danno l’ennesima prova di resilienza. Si arrangiano. Acquistano prodotti di seconda mano o organizzano tour in Bielorussia per fare incetta di brand che hanno abbandonato il mercato russo, da Zara a Nike. Il Fondo Monetario Internazionale si è dovuto ricredere. Ha predetto che quest’anno l’economia russa si contrarrà del 6%: un crollo rispetto al +3% previsto dalla Banca Centrale Russa prima del 24 febbraio, ma minore rispetto al 10% ipotizzato dopo le sanzioni. Dopo l’iniziale picchiata, il rublo si è persino apprezzato del 30% sul dollaro rispetto a febbraio. Si tratta di un cambio “artificiale”, tenuto a galla dalle limitazioni alle transazioni in valuta imposte dalla Banca Centrale e dal crollo delle importazioni. Alla lunga potrebbe penalizzare l’export, ma permette a Putin di rivendicare una “moneta forte”.
Va peggio la produzione industriale, soprattutto se invece che guardare i dati macroeconomici (-1,7% totale, -3,2% nel comparto manifatturiero), si prendono in esame i singoli settori, come invita a fare Vladimir Milov, ex viceministro dell’Energia, oggi consigliere economico dell’oppositore in carcere Aleksej Navalny. La produzione di auto a maggio è crollata del 66% su base annua. Parliamo del più grande datore di lavoro: le case automobilistiche garantiscono 3,5 milioni di posti di lavoro contando l’indotto. Finora il governo ha tenuto il tasso di disoccupazione intorno al 4% imponendo quelli che chiama “cambiamenti di modo d’impiego”, part-time e tempi di fermo, ma non sono misure sostenibili a lungo. Intanto si fatica a trovare pezzi di ricambio tanto che il governo ha autorizzato la vendita di veicoli senza dispositivi di sicurezza come gli Airbag. Mentre le compagnie aeree a partire da Aeroflot smontano i loro jet per recuperare pezzi che non possono più importare.
Sono questi i segnali dietro al quadro «catastrofico» dipinto in un rapporto dagli economisti di Yale: «L’economia russa sta vacillando. Non è il momento di frenare». Visione smentita dall’esule Serghej Guriev, oggi a Sciences Po: «È colpita, ma non in rovina». Stessa opinione di Weafer. Su un punto concordano però tutti gli esperti: il peggio deve ancora venire. Anche se per Aleksandr Gabuev del Carnegie Moscow Center la questione è capire che cosa si intenda quando ci si chiede se le sanzioni funzionino. Se la domanda è «Influenzeranno il Cremlino e gli faranno cambiare politica sull’Ucraina? », la risposta per Gabuev purtroppo è «No».