La Stampa, 24 agosto 2022
La Cina arresta i Minions
Zeyi Yang, reporter per la rivista Tech Review, è stato uno dei primi ad accorgersene e a parlarne su Twitter. Le proiezioni cinesi del nuovo film dei Minions – in Italia uscito con il titolo “Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo” hanno un finale diverso dalla versione uscita già nel resto del mondo. In Cina, dove è uscito venerdì scorso, il personaggio del cattivo che si trasforma in eroe Wild Knuckles non riesce a scappare fingendosi morto, ma viene catturato dalla polizia e finisce in galera a scontare una pena di 20 anni. Non solo, il cattivissimo Gru diventa buono, tutto dedito alla famiglia e alla moralità. Nelle fotografie pubblicate da Yang si vede la tecnica piuttosto elementare usata dai cinesi: una serie di fotogrammi statici a cui sono state aggiunte delle frasi come sottotitoli. In una c’è Wild Knuckles con sotto questa scritta: «In prigione, ha perseguito la sua originale passione per il teatro e ha iniziato una compagnia sua». Sotto la foto di Gru il suo destino viene descritto così: «È diventato uno dei buoni, e la sua più grande realizzazione è fare da padre alle sue tre figlie».
Pubblicate prima sul social network Weibo – l’equivalente di Twitter, bloccato nel Paese asiatico – le foto sono presto circolate ovunque, riprese anche dal New York Times. Non è la prima volta che succede. La Cina si era già resa protagonista di censure, tagli e aggiustamenti a pellicole contenenti nudità, contenuti politici ritenuti sensibili o scene a base di sesso ritenute non idonee. Forse è la prima volta che capita a un cartone animato, ma di esempi ce ne sono. Nel 2018 “Bohemian Rapsody”, biografia di Freddie Mercury che valse a Rami Malek l’Oscar come miglior attore, fu epurato dai riferimenti alla omosessualità del protagonista, compresa la scena, fondamentale per la storia, in cui rivela alla sua promessa sposa di essere gay. Gli appassionati di cinema cinesi, poi, già da tempo si erano accorti che sulle piattaforme di streaming “Fight Club”, il classico del 1999 con Brad Pitt ed Edward Norton, aveva un’aggiunta finale: una schermata nera con una scritta bianca che spiegava che il progetto di Tyler Durden di distruggere l’umanità era stato fermato dalla polizia che «aveva capito l’intero piano e arrestato tutti i criminali, impedendo con successo l’esplosione della bomba» e che Tyler «era stato chiuso in manicomio e successivamente dimesso». Un finale che aveva portato Chuck Palahniuk, autore del libro da cui il film è tratto, a commentare: «Meraviglioso! Tutti hanno un lieto fine in Cina». In realtà, poco dopo che la notizia del finale alternativo aveva fatto il giro del mondo, Fight Club fu riportato all’originale, senza le scene di nudo e di sesso che ancora mancano nella versione cinese.
Nel corso degli anni, numerosi film e programmi televisivi occidentali, tra cui “Men in Black 3”, “Cloud Atlas” e “Pirati dei Caraibi”, sono stati modificati prima di essere mostrati al pubblico locale. Persino la reunion di “Friends” è stata epurata: spariti Lady Gaga, Justin Bieber e il gruppo pop coreano BTS. Alcune volte sono gli stessi distributori che pensano ad apportare le modifiche, pur di far uscire il loro prodotto sul mercato cinese. Altre volte le soluzioni sono “fai da te” come nel caso dei Minions. La scelta di non regalare al cattivo di turno una vittoria ha a che fare con la nuova spinta moralistica voluta dagli alti funzionari cinesi che di recente hanno non solo invitato gli artisti a diffondere i «valori fondamentali del socialismo» nelle loro esibizioni, ma hanno anche cercato di mettere un freno all’adulazione delle celebrità, ordinando alle piattaforme di streaming di «purificare» l’atmosfera online e di rettificare i «comportamenti illegali e immorali» dei vip di Internet. Nel settembre del 2021 Weibo bloccò una serie di profili appartenenti a fan dei BTS, rei di aver raccolto soldi per decorare un aereo con il volto di uno dei membri, Park Ji-min, in occasione del suo ventiseiesimo compleanno. Citando come causa «raccolta illegale di fondi», il social bloccò per 60 giorni l’account dei fan dietro all’iniziativa. Giorni dopo altri 21 profili appartenenti non solo a fan dei BTS ma anche del gruppo femminile Blackpink e gli EXO, una band con membri cinesi, furono bloccati con la motivazione che erano state fatte delle non ben specificate lamentele. «La mossa di Weibo arriva sullo sfondo di una più ampia repressione del governo sul culto delle celebrità e sulla cultura dei fan online in Cina», aveva scritto all’epoca il New York Times.