La Stampa, 24 agosto 2022
I 5 milioni di studenti fuori sede, astensionisti forzati
Votare è un diritto fondamentale di ogni cittadino italiano? Sembrerebbe una risposta scontata, eppure c’è chi non ha mai messo piede in una cabina elettorale anche se avrebbe voluto. Dentro la zona grigia dell’astensionismo, esiste anche quello «involontario», che potrebbe coinvolgere circa 5 milioni di italiani. Questo il numero degli studenti e lavoratori fuori sede, che vivono lontano dal comune di residenza dove sono costretti a tornare per poter votare.
L’Italia infatti non prevede modalità di voto alternative in via generale salvo specifiche condizioni: oltre a quello per corrispondenza per i residenti all’estero, è prevista l’istituzione di seggi ospedalieri e il voto a domicilio in alcune condizioni particolari (come per i malati intrasportabili).
A fotografare i numeri di questo fenomeno è uno studio intitolato «Per la partecipazione dei cittadini - Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto», voluto dal ministero dei Rapporti con il Parlamento e confluito poi nel Libro bianco ad aprile. Nel rapporto si legge che il 38% dei 4,9 milioni di italiani che studiano o lavorano fuori dal comune di residenza impiega 2 o più ore per fare ritorno a casa, circa il 15% deve affrontare uno spostamento complessivo tra le 4 e le 8 ore, e quasi il 14% superiore alle 12 ore.
Le province del Mezzogiorno sono quelle che hanno la quota più consistente (oltre la metà) degli spostamenti "lunghi" dei propri cittadini (superiori alle 4 ore di viaggio A/R) tra dimora e residenza. Come Leonardo Santoro, 31enne originario di Cosenza, lavoratore precario in un’associazione per i consumatori, che il 25 settembre non potrà tornare a casa per votare: «Da Roma per arrivare al mio paese in Calabria il viaggio dura circa 6 ore e, anche con i rimborsi previsti dallo Stato, spenderei comunque 120 euro, che sono due mesi di bollette della luce». Tra i problemi denunciati dai fuori sede c’è anche un paradosso: un italiano residente in Francia può votare per corrispondenza mentre chi è residente a Palermo ma studia o lavora a Milano deve fare i conti con questi ostacoli economici e organizzativi, soprattutto per questa tornata elettorale dove si potrà votare solo un giorno (inoltre la domenica, giorno lavorativo per molti stagionali impiegati nel turismo).
Da anni diversi comitati cercano di accendere i riflettori sul problema: «Siamo nati nel 2008 - spiega Stefano La Barbera, presidente di "Io voto fuori sede" - e ancora oggi la politica non ha dato una risposta alle nostre istanze. Riceviamo lamentale di persone che sono costrette a pagare centinaia di euro per un diritto che dovrebbe essere garantito a tutti». Il Comitato ha sollevato una questione di legittimità costituzionale: «Abbiamo presentato un ricorso presso il Tribunale di Genova e a novembre ci sarà la prima udienza - precisa La Barbera - c’è una disparità di trattamento rispetto agli italiani all’estero, a cui viene riconosciuto il diritto di voto per corrispondenza, e ad alcune categorie di lavoratori, come i miliari, creando quindi delle discriminazioni nel corpo elettorale».
Non tutti i cittadini possono cambiare residenza: «Io sono un dottorando e cambio casa ogni 8 mesi, a volte anche all’estero, non potrei mantenermi sempre un’abitazione in tutti i luoghi temporanei, e cambiare residenza vorrebbe dire ogni volta aggiornare i documenti e l’anagrafica fiscale» spiega Alessandro De Nicola, 27enne del comitato "Voto dove vivo", che prende il nome dalla proposta di legge che vedeva la prima firma della deputata Pd Marianna Madia, che doveva essere discussa il 25 luglio alla Camera ma è in stallo dopo la caduta del governo. «Molti dei benefici legati al diritto allo studio universitario devono essere ancorati al reddito del proprio nucleo familiare d’appartenenza: se uno studente fuori sede ha diritto all’alloggio nel momento in cui cambia residenza diventa "in sede" e lo perde».
Nel Libro bianco vengono prese in esame le modalità di voto in 19 paesi, tra cui Germania, Francia, Canada e Stati Uniti, e «tutti hanno previsto modalità che consentono di esercitare il diritto di voto a coloro che sono lontani dal luogo di residenza o hanno difficoltà a recarsi al seggio nel giorno delle elezioni». In Italia c’è anche chi ha la scheda elettorale intonsa non per sua volontà: «Io non ho mai potuto votare a causa dei prezzi degli aerei per tornare a casa in Sardegna» racconta Camilla Piredda, studentessa 23enne di Bologna, «per rientrare a Cagliari tra treni e aerei non spendevo meno di 300 euro, come l’affitto di un mese».