il Giornale, 24 agosto 2022
Io lo conosco bene Umberto Bossi
Questo Parlamento ha qualcosa di nuovo, anzi di antico. Deve essere lui, l’Umberto. Umberto Bossi che dopo 35 anni fra Senato e Camera – fu eletto per la prima volta nel 1987 – è capolista della Lega a Varese per tornare a Montecitorio non è un fatto di pura cronaca, neppure un fatto soltanto sentimentale benché la politica sia fatta anche di forti sentimenti. E di sentimenti forti Umberto Bossi ha inondato la politica fin da quando cominciò a diffondere l’ultimo brivido rivoluzionario in un’Italia ideologicamente frolla, praticamente inerte dopo i fallimenti già consumati ho invia di consumazione delle cosiddette ideologia del ventesimo secolo. Chissà perché fascismo comunismo, due disgrazie sorelle che hanno devastato un secolo con tutti i suoi abitanti e che hanno illuso, mentito, aggredito, sterminato e evitato di pentirsi davvero e fino in fondo, meritino ancora il titolo di ideologie. Intendiamo parlare di fascismo e comunismo e con tutti gli altri ismi vengono tutti insieme da una stessa matrice quella filosofica della sinistra hegeliana di Carlo Marx e poi quella di destra che porta diritto a Hitler. Umberto Bossi invece e stato un ideologo irrequieto, capace di mettere in crisi un sistema che ha scricchiolava, fare incetta di consensi ingiustamente mantenuti da altri: tutti gli operai doverosamente tesserati del Partito comunista che con un moto di auto liberazione esistenziale si riconobbero in quel che erano, leghisti legati a un territorio, una tradizione, un accento, un modo di sentire e di mangiare e dividere che li rendeva e li rende parte di una comunità senza essere ostile ad altri.
Umberto Bossi sconvolse la politica tradizionale dei partiti rimettendo in pista un’ideologia liberale e risorgimentale di altissimo lignaggio quale era ed è il federalismo, un sogno che non era appartenuto soltanto a Cattaneo ma ad una generazione di patrioti che avevano sempre immaginato di riunire gli italiani in una nazione federata di diversi e tuttavia uniti, senza sopraffazioni essenza appiattimenti, nel rispetto quindi dell’identità di ciascuno e della libertà di tutti.
Il messaggio di Umberto alla prima crociata era pesantissimo: secessione. L’Italia si spacca e quella che produce se ne va lasciando a secco l’Italia che non produce e che vive di rendita e sulle spalle della prima. Tutto ciò che era seguito al fortunoso sbarco di Garibaldi in Sicilia, e alla sua fin troppo fortunata risalita dello Stivale senza incontrare alcuna resistenza, veniva non solo messo in discussione ma idealmente rigettato. Certo era molto difficile per un romano come me sentire dieci volte al giorno parlare di Roma ladrona, come se Roma capitale d’Italia non fosse stata ridotta a sentina dell’Italia intera, sfigurata nella sua identità e nella sua storia, ridotta un labirinto di palazzi afflitti dalla piaga della burocrazia e dello spreco.
E anche per questo alla fine non solo apprezzai lo spirito più radicale di Umberto Bossi ma mi trovai d’accordo: prendetevi questa capitale portatevela da qualche altra parte, pensavo, e che ognuno vada per la sua strada. Non sarebbe stato possibile senza traumi e conflitti forse anche sanguinosi ma non ce ne fu bisogno perché Bossi fu attentissimo a tenere la corda tesa fino a che potesse emettere una nota molto forte, ma senza strappare mai l’Italia.Due ricordi di Umberto Bossi. Il primo quando facemmo campagna elettorale insieme nel 2001 e benché non mi conoscesse mi offrì il microfono come un bicchiere di vino con quel sorriso piena di denti che lo rendeva popolare e amato dalle donne. Anche il suo modo di parlare di sesso non era mai volgare per quanto fosse esplicito: il suo modo di dire «ce l’ho duro» mi fece coniare la categoria del «celodurismo» che ebbe una certa fortuna.
L’altro ricordo è di qualche anno fa quando mi senti chiamare da un signore seduto al bar vicino al Parlamento dallo stesso tavolo dove molti anni prima sedevano d’estate Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Era Umberto che pur non avendo mai avuto una frequentazione amicale si alzò e mi abbracciò con una fisicità fraterna oggi rara. E poi i tumultuosi incontri con Miglio, il teorico e l’ideologo del federalismo nel Transatlantico insieme a tutti quelli che rappresentavano un mondo politico eccitato in modo ideale, in cui persino gli insulti erano riconoscimenti di qualità.