Tommaso Carboni per www.lastampa.it, 24 agosto 2022
LE SANZIONI ALLA RUSSIA HANNO FUNZIONATO: CI HANNO MASSACRATO! - A SEI MESI DALL’INIZIO DELLA GUERRA, IMPRESE E FAMIGLIE SI RITROVANO CON RINCARI DELL’ENERGIA SENZA PRECEDENTI – L’ECONOMIA RUSSIA HA RESISTITO ALLE SANZIONI MEGLIO DI QUANTO GLI ANALISTI SI ASPETTASSERO - SECONDO REUTERS, IL CREMLINO OGGI PREVEDE UNA CONTRAZIONE DEL PIL DEL 4,2%, MA ALL’INIZIO DELLA GUERRA SI IPOTIZZAVA UN CALO DEL 12% - CINA E INDIA HANNO AIUTATO A RIMPIAZZARE LE VENDITE NEI MERCATI EUROPEI, PUR COMPRANDO A PREZZI SCONTANTI - RISULTATO: LO SCORSO MESE LA PRODUZIONE DI PETROLIO RUSSO ERA INFERIORE SOLTANTO DEL 3% RISPETTO AL LIVELLO PRECEDENTE ALLA GUERRA… -
Le sanzioni alla Russia vanno riviste nel caso non diano gli effetti sperati. Il dubbio, a sei mesi dall’inizio della guerra, è che più che arrestare l’invasione dell’Ucraina stiano nuocendo alle economie occidentali, dove imprese e famiglie si ritrovano con rincari dell’energia senza precedenti. È quanto affermano alcuni politici europei, e in Italia Matteo Salvini. Nel frattempo le entrate russe restano di tutto rispetto per via dei prezzi alti di gas e petrolio.
Putin potrebbe calcolare che le opinioni pubbliche occidentali, meno avvezze a sacrifici economici, alla fine cedano alla prepotenza dell’aggressore. Diversi dati, del resto, mostrano che l’economia Russia ha resistito alle sanzioni meglio di quanto gli analisti si aspettassero. Secondo Reuters, il Cremlino oggi prevede una contrazione del Pil del 4,2%, quindi un colpo duro ma non catastrofico – gli stessi funzionari all’inizio della guerra temevano un tracollo del 12%, addirittura peggio che nella crisi finanziaria del 1998.
Anche gli istituti di ricerca occidentali abbassano le loro stime della caduta: il Fondo Monetario, ad esempio, si aspetta un - 6% invece dell’8,5% calcolato ad aprile. Mentre l’inflazione dovrebbe chiudere l’anno in crescita del 13,4%, riporta ancora Reuters, citando il ministero dell’Economia russo.
Insomma, sembrerebbe una crisi tutto sommato gestibile, almeno nel breve periodo, e soprattutto da un regime autoritario che usa con astuzia l’arma della propaganda. Il Cremlino ha riformulato la guerra in Ucraina come parte di un assalto alla civiltà russa mosso dall'Occidente. E così il consenso verso Putin è cresciuto di 10 punti dall’inizio dell’invasione, superando a luglio l’80% - almeno stando alle rilevazioni del Levada Centre, un istituto di sondaggi indipendente.
Sul fronte dell’energia Cina e India hanno aiutato a rimpiazzare le vendite nei mercati europei, pur comprando a prezzi notevolmente scontanti. Risultato: lo scorso mese la produzione di petrolio russo era inferiore soltanto del 3% rispetto al livello precedente alla guerra, riporta il Financial Times. Il problema però è che il settore degli idrocarburi per produrre nel lungo periodo ha bisogno di tecnologia e investimenti costanti, che la Russia impegnata in una lunga guerra rischia di non poter sostenere.
Alcuni analisti considerano questo l’impatto più grande delle sanzioni: la perdita di tecnologia e componenti occidentali, che Cina e altri paesi possono sostituire solo in parte, e senza i quali l’industria e l’apparato militare russo si deteriorano. In quest’ottica, una ricerca pubblicata il mese scorso da Yale afferma che la fuga di multinazionali e società estere sta danneggiando «in modo catastrofico» l’economia della Russia. Un esempio è Avtovaz, il principale gruppo automobilistico russo, che per mancanza di componenti ha tagliato la produzione. È pur vero, tuttavia, che diverse società occidentali in uscita hanno venduto ad acquirenti locali, e quindi i loro asset restano comunque operativi.
La perdita di capitale umano però è innegabile. Almeno 70mila lavoratori informatici sono scappati dal paese nei 30 giorni successivi all’inizio della guerra, calcola l'Associazione russa per le comunicazioni elettroniche. E molti altri probabilmente faranno lo stesso. Per arginare quest’esodo Putin ha firmato diverse misure economiche, tra cui un'esenzione fiscale di tre anni e prestiti agevolati per le aziende IT.
Altri stimoli servano ad assorbire il colpo dell’inflazione: Putin ha ordinato un aumento del 10% delle pensioni e del salario minimo, mentre grandi datori di lavoro come Sberbank e Gazprom - riporta Reuters - da luglio hanno aumentato gli stipendi. Ma per i ricercatori di Yale si tratta di misure fiscali e monetarie “palesemente insostenibili”: avrebbero già mandato in deficit il bilancio dello Stato “prosciugando le riserve estere nonostante i prezzi alti di petrolio e gas”.
L’altra cosa poco sostenibile rischia di essere la svolta verso l’Asia, teorizzata da anni da politologi russi come Sergei Karaganov. Alla fine, secondo Yale e diversi altri analisti, si rivelerà un errore strategico. Questa d’altronde è la grande scommessa di Putin: che la rottura politica ed economica con l’Europa possa essere compensata da un’alleanza in Asia. Cina e India, avverte Yale, «sono acquirenti notoriamente attenti ai prezzi che mantengono stretti legami con altri esportatori di materie prime. La Russia così rischia di vedere deteriorarsi la sua posizione strategica di grande esportatore».
Nel frattempo l’Europa, se resta unita, finirà per emanciparsi da gas e petrolio russi, pur con difficoltà e costi elevati. A Mosca toccherà il ruolo di gregario di India e Cina, paesi con più di un miliardo di abitanti ciascuno. Una scelta non molto lungimirante, secondo Andrea Graziosi, docente all’Università di Napoli Federico II, specializzato in storia dell’Unione Sovietica con saggi tradotti in tutto il mondo. «La Russia, in crisi demografica, con poca industria e tecnologia, che spazio può avere con quei due giganti asiatici?».