Corriere della Sera, 23 agosto 2022
Volo Altissimo, il rapper con le rime in latino
Il latino e il rap. L’antico e il moderno. La lingua della cultura e la lingua della strada. Due mondi agli antipodi. Eppure, c’è chi ha dimostrato che quella lingua morta tanto ostica agli studenti del liceo non è poi così male.
Lui si chiama Federico Messina, è nato a Varese (ma vive a Rimini), ha 25 anni e ha fatto il classico. Le sue materie preferite sono sempre state il greco e il latino. A scuola si concentrava sulle versioni, ma nel suo tempo libero si dedicava alla musica rap, una delle sue grandi passioni. E poi l’intuizione di unire le due cose, prima nel freestyle e poi nei brani registrati in studio come quelli del suo ep «Ipse Dixit».
Il suo nome d’arte è Volo Altissimo. Nomen omen? «Più che altro è uno stato d’animo – racconta – fare musica mi fa stare così bene che quando canto mi sembra di volare. Il rap mi ha sempre appassionato: ho iniziato a scrivere i primi versi quando ero medie. Il genere si presta a tirare fuori tutto quello che si ha dentro». Aggiunge: «Nei miei testi non parlo di spaccio o di criminalità. Racconto le mie emozioni e i miei sogni, senza tralasciare quelle fragilità che da sempre contraddistinguono l’essere umano». Raccontare sé, gli altri, il mondo: un’esigenza che da Quinto Ennio arriva fino a oggi. Ed è ciò che unisce la letteratura antica al rap moderno, oltre alla metrica. Virgilio però non è l’autore preferito di Federico, che ama di più Seneca e Marco Aurelio. Prende ispirazione da loro e da altri autori che spesso vengono citati nei suoi brani. «Ho realizzato alcune canzoni che si legano tra loro per la presenza di un’ottava in latino. Sia per il freestyle che per i brani, il riscontro da parte dei miei coetanei è sempre stato positivo. Si tratta di una particolarità che incuriosisce e affascina. E poi, secondo me, questa cosa di inserire il latino nelle tracce permette al genere e ai suoi artisti di riscattarsi». Nell’immaginario comune il rap è arte di strada e chi lo fa proviene da realtà marginali in cui la formazione scolastica viene messa in secondo piano. «Non è sempre così – conclude —. Ci sono ancora pregiudizi sugli artisti che fanno rap. Da una parte lo capisco perché alla base c’è un fattore storico e sociale. Basti pensare che il genere è nato nel Bronx. Però penso che a oggi i preconcetti sono ancora troppi e forse il latino può dare una mano a superarli».