La Stampa, 23 agosto 2022
Addio alla carta?
Già un grande romanziere, nella prima metà dell’Ottocento, aveva studiato il problema della stampa e della carta; anzi, nel mondo della letteratura era l’unico ad averlo fatto: con un interesse particolare all’argomento, anche perché tentò di mettere a frutto le sue conoscenze in un’impresa topografica che, manco a dirlo, si risolse in un disastro. Nel prologo a uno dei suoi libri più noti, Illusioni perdute, cerca infatti di istruire il lettore, onde capisca meglio tutto quanto sta per avvenire nella vita parigina, frenetica e infine sfortunata, del bellissimo Lucien de Rubempré, e in quella provinciale del fraterno amico, e poi cognato, David Séchard, rimasto al paesello ma coinvolto – disastrosamente – per lo più a distanza.Stiamo ovviamente parlando di Honoré de Balzac: che si lancia in una descrizione minuziosissima di una tipografia di provincia, e infine racconta nel dettaglio la storia della carta, «prodotto non meno meraviglioso della stampa», partendo ovviamente dai cinesi e arrivando ai suoi giorni, afflitti da un improvviso problema di crescita economica.Sono passati quasi duecento anni ma Balzac aveva visto bene un problema destinato a ripetersi nella storia. Che ne sarebbe di noi, infatti, se nel Celeste Impero non l’avessero inventata nel 105 d. C. (o forse due secoli prima)? A parte le tasche vuote, senza carta moneta e non necessariamente con la carta di credito plastificata, non ci sarebbero bicchieri, piatti, tovaglioli, scatole, imballaggi, bustine del tè, carta igienica (già nota ai soliti cinesi, ma realizzata da noi nel 1850 da Joseph C. Gayetty, che la presentò come «carta medica»); e poi certificati, passaporti, vestiti, sacchi, persino armi, case e aeroplani. Ora abbiamo un problema: costa troppo, scarseggia, proprio mentre ne servirebbe in maggioro quantità.Quando scrive Balzac, sta accadendo qualcosa di simile: la carta è sempre più richiesta, ma è sempre più costosa, perché se ne può produrre relativamente poca. Riassumiamo per chi abbia saltato il capitolo giudicandolo (a torto) noioso: in quel momento, e peraltro da secoli, viene prodotta con stracci, preferibilmente di lino o di cotone: ma ce ne sono sempre meno a disposizione perché la gente rattoppa gelosamente la biancheria, e la cambia con parsimonia. A meno di non ipotizzare una crescita esponenziale della popolazione, bisogna trovare un’altra soluzione: ovvero, dice lo scrittore, ricavarla da «canne fibrose». Stava già accadendo: il primo che ci provò davvero in età moderna fu un certo Matthias Koops, cartografo e inventore spiantato. Dimostrò nel 1800 che c’era la possibilità di impiegare «solo legno nostrano», come scrisse in un suo manuale; avviò una fabbrica e andò in rovina. Ma la strada era segnata, e fu una rivoluzione.La carta di legno a basso prezzo ha consentito nell’Ottocento la grande crescita dell’industria tipografica e soprattutto dei giornali, in altre parole della società moderna. Oggi affronta di nuovo minacce impreviste, legate a un vertiginoso aumento dei costi – non più degli stracci, ma in parte della cellulosa e soprattutto dell’energia. Le cartiere ne divorano in grande quantità, il prezzo del gas è per loro un moltiplicatore minaccioso. Il problema riguarda in generale tutta l’industria alla prese con i costi dell’energia, visto che non riusciamo a far a meno del gas (insanguinato) di Putin. Ma in questo settore, molto “energivoro”, è particolarmente grave. «La produzione delle 150 cartiere, che svolgono un ruolo essenziale per le tipologia di prodotti e per il riciclo e l’economia circolare – ci dice il direttore generale di Assocarta, Massimo Meduno -, è condizionata dai costi del gas, ma soprattutto in prospettiva di mancanza di offerte per i rinnovi dei contratti per il prossimo anno termico. Con prezzi sui 240 euro Megavattora (ovvero un milione di watt applicati in un’ora) molte si stanno fermando o si fermeranno determinando un taglio di disponibilità di carta per gli usi essenziali e minore capacità di riciclo».Nonostante l’elettronica, e i computer, continuiamo infatti a vivere come non mai in un mondo cartaceo, non solo per quanto riguarda i libri e i giornali (nessuno riuscirà mai a confezionare un pacchetto con un involucro virtuale, ma si potrebbero fare esempi anche molto più imbarazzanti, al proposito). Nel giro di pochi anni, però, il costo è aumentato di dieci volte, tra alti e bassi. Nel mondo dei libri, per esempio, si è passati da 120 a 200 milioni, come ha spiegato il presidente dell’Aie (Associazione italiana editori) Ricardo Franco Levi in un recente convegno. E se i libri sono il momento di massima visibilità per la carta (insieme ovviamente ai giornali) guardando appena un po’ più a fondo si scopre che la parte del leone nel consumo di questo bene prezioso la fa qualcun altro, un vero divoratore.La letteratura ha esaltato almeno due insigni “cartivori": di recente il ratto Firmino, il divoratore di biblioteche creato da Sam Savage (Firmino, avventure di un parassita metropolitano uscì per Einaudi nel 2008) e tanto per tornare al Balzac di Illusioni perdute, il segretario di un principe svedese che non riesce a resistere e trangugia i documenti più importanti, incluso un trattato di pace, tanto da finire sulla forca (Edgardo Franzosini ha indagato sul personaggio, che ha origini storiche, in Il mangiatore di carta, Sellerio).Ma negli ultimi anni si è fatto largo un concorrente reale e per niente letterario: l’imballaggio. I produttori italiani (siamo appena diventati i secondi in Europa dopo la Germania – anche per quanto riguarda la carta riciclata -; i colossi internazionali sono invece, al solito, Stati Uniti Cina e Canada) hanno sfornato nel 2021 oltre 9,6 milioni di tonnellate. Poco più del 20 per cento sono state destinate a editoria, pubblicità, cataloghi e pubblicazioni di vario genere; un altro 20 per cento riguarda carte igienico-sanitarie, mentre il 56 per cento va tutto negli imballaggi, compresi i pacchi di Amazon (il resto, 4 per cento, si disperde in altre utilizzazioni minori).Sono proprio i colossi dell’e-commerce quelli che ne fanno maggior uso, ora che dopo la pandemia c’è stato un ulteriore aumento della domanda. Editori e cartai hanno chiesto aiuti al governo, com’è logico: ancora non c’è nulla di deciso – e non c’è neppure un governo nel pieno dei suoi poteri, se è per questo. Possiamo chiederci se il nostro meraviglioso mondo di carta, che ha resistito alle nuove tecnologie informatiche, rischi di venir meno, di impoverirsi gravemente. Quanto ai libri (ad altri oggetti si potrebbe anche rinunciare), proprio non ci sono alternative, nonostante l’enfasi sugli e-book (ieri) e sugli audiolibri (oggi). Secondo Levi, ci sono editori che hanno persino rinunciato a ristampare alcuni best seller, per carenza di forniture e costi ritenuti insostenibili. Qualcuno magari non la riterrà una catastrofe (anzi), ma resta il fatto che i lettori a quanto pare quello continuano a volere: libri da sfogliare e non schermi da “scrollare”.Il nuovo fenomeno globale che fa da volano alle vendite, come si sa, è del resto TikTok, il social degli adolescenti: che si scambiano opinioni e suggerimenti anche e molto sui libri, postando, com’è ovvio, le copertine; più sono suggestive più funzionano: non sono le illustrazioni che fanno da copertina agli e-book, no, sono proprio quelle, spesso raffinatissime, magari persino in leggero rilievo, dei “vecchi” libri di carta. Su che cosa poi nascondano nelle pagine del testo si potrebbe discutere a lungo, ma questa è già un’altra storia.