La Stampa, 23 agosto 2022
Dietro la morte della Dugina
Una bionda coraggiosa, «piena di luce e talento», come la descrive Vladimir Putin, uccisa da una bomba piazzata da una mora dagli occhi gelidi, gli zigomi alti e le labbra alla Angelina Jolie. Una spia ucraina che si infiltra in territorio nemico a bordo di una Mini Cooper in vistosa edizione limitata, presentando alla frontiera i propri documenti di identità, nonostante figuri nella banca dati dei nemici della Russia. Facendosi scudo della figlia dodicenne e del gatto, si installa nello stesso condominio della sua vittima, piazza una bomba sotto il suo fuoristrada, la aziona con un telecomando e si dilegua subito dopo, scappando da Mosca sulla stessa auto e attraversando il confine della Russia con l’Estonia, tutto sotto gli occhi delle telecamere di sorveglianza delle guardie di frontiera, che fanno parte dell’Fsb, la polizia politica del Cremlino. Durante la fuga, si ricorda di sostituire le targhe della Mini (da quelle dei separatisti di Donetsk a quelle ucraine, con la bandiera blu e gialla che salta subito agli occhi dei russi), ma si dimentica di recuperare il tesserino che la ritrae in uniforme e la identifica come Natalia Vovk-Shaban, militare del battaglione Azov.Sembra un film girato da un imitatore di Tarantino, ma la produzione di questo maldestro thriller è dell’Fsb, che non solo ha già identificato la presunta killer di Daria Dugina, ma ha anche ricostruito i suoi movimenti in Russia. In realtà, le 36 ore che il Cremlino ha impiegato a decidere se seguire la scontata “pista ucraina” per la bomba scoppiata sabato sera alle porte di Mosca, appaiono un tempo molto lungo e sono probabilmente il segnale di una lotta interna: le condoglianze di Vladimir Putin al filosofo nazionalista avrebbero potuto arrivare subito, ma invece il presidente ha preferito aspettare per decidere chi accusare di un «crimine vile» che ha spezzato la vita di una donna «dall’autentico cuore russo». Un dilemma più complesso di quello che sembra: il “film” su una superagente ucraina infiltrata nel cuore di Mosca può certamente impressionare e spaventare il pubblico russo, ma aumenta anche quel senso di vulnerabilità che i russi hanno iniziato a provare dopo che i missili ucraini hanno cominciato a colpire la Crimea, costringendo alla fuga dalle spiagge della penisola annessa migliaia di turisti. Inoltre, Dugin e sua figlia appartengono alla fazione più agguerrita degli ideologi del Cremlino, e il filosofo aveva esortato Putin a essere più spietato nella sua guerra contro l’Ucraina. Nello scontro tra vari clan – Dugin viene considerato vicino allo spionaggio militare Gru, del quale suo padre era generale – un omicidio clamoroso come quello di Daria poteva venire utilizzato come a favore così contro i falchi.La decisione è stata presa, e il presidente russo ha insignito la figlia dell’ideologo del fascismo russo della medaglia “per il coraggio”, mentre l’Fsb ha comunicato che il vero bersaglio dell’attentato era lei. Il politologo putiniano Sergey Markov annuncia che Daria è ora «la nuova santa vergine dei patrioti russi», e che la data del suo omicidio è stata scelta in base a una «numerologia pagana scandinavo-slava praticata dal battaglione Azov». La figlia del filosofo quindi ora viene presentata come martire, che ha pagato il suo reportage dall’acciaieria di Azov, nel quale accusava i militari ucraini di «satanismo» e sosteneva che «non erano umani».La presunta killer Natalia Vovk (che in ucraino significa “lupo”, un altro dettaglio della sceneggiatura scritta dagli 007 russi) viene presentata come affiliata di Azov, e non si tratta soltanto di uno stereotipo della propaganda russa. Domenica sera, nel suo videomessaggio quotidiano, Volodymyr Zelensky ha messo in guardia il Cremlino dall’intenzione di inscenare un processo contro i militari di Azov presi prigionieri dai russi: «Se lo fanno, non si parla più di negoziati».La “Norimberga per Azov” è un’idea molto cara agli nazionalisti filorussi della “repubblica popolare” di Donetsk, che hanno già condannato a morte alcuni volontari stranieri che combattevano per l’Ucraina, e non nascondono di volere l’esecuzione anche dei prigionieri ucraini. Tra le rovine di Mariupol vengono montate le gabbie per gli imputati, e il giornalista d’opposizione russo Aleksandr Nevzorov ha dichiarato domenica che «nemmeno Hitler era arrivato all’idea di processare i prigionieri di guerra». Accusare una presunta infiltrata di Azov di aver piazzato una bomba a Mosca sarebbe, nella visione di Mosca, una prova che i militari del battaglione di Mariupol non sono soggetti alle leggi internazionali sui prigionieri in quanto “terroristi”. Un’accusa che arriva alla vigilia della conferenza stampa a Kyiv dei prigionieri scambiati dai russi, che dovrebbero raccontare gli orrori della prigionia russa (nella quale sono già morti in circostanze più che sospette almeno 50 militari ucraini). La “pista di Azov” proposta da Mosca per l’omicidio non spiega chi ha ucciso Daria Dugina, ma fa capire chiaramente quale clan del regime russo pensa di guadagnare punti sulla sua morte.