La Stampa, 22 agosto 2022
Tutte le truffe sulle criptovalute
Avidità. Fiducia e avidità. È facile individuare gli elementi alla base di buona parte delle truffe, vere o da accertare, che stanno emergendo negli ultimi mesi dal mondo delle criptovalute. Basta farsi un giro sui social, e nei forum dove chi denuncia di essere stato truffato parla di fiducia tradita o promesse di guadagni facili non mantenute. Dai casi emersi finora solo in Italia i soldi finiti chissà dove potrebbero essere più di mezzo miliardo di euro. Cifra probabilmente destinata a essere rivista al rialzo. L’esplosione del mercato delle criptovalute ha determinato una corsa all’oro digitale che spesso si è rivelata un bagno di sangue per i più piccoli. Lo scorso novembre la capitalizzazione di mercato delle monete digitali ha superato i 3.000 miliardi di dollari (+810% in due anni). Soldi arrivati sia da fondi istituzionali che da piccoli risparmiatori. Questi ultimi spesso attratti dalla possibilità di partecipare al banchetto dei nuovi ricchi degli asset digitali, investendo i propri risparmi in nuove criptovalute e strumenti di investimento, sperando che replicassero il successo di Bitcoin. Un’indagine della Federal Trade Commission americana ha stabilito che il 98% di questi strumenti è una truffa.
In Italia il caso più recente è quello della New Financial Technology, società di Silea, su cui indaga la procura di Pordenone. La Nft garantiva ritorni mensili del 10% sul capitale investito grazie a degli algoritmi proprietari in grado di comprare e vendere asset digitali su diverse piattaforme di scambio. All’inizio la Nft pagava. Poi, lo scorso giugno, ha smesso di farlo. Conti dei clienti chiusi e manager spariti. Ora si ipotizza che dietro questa società non ci fosse altro che uno schema truffaldino, dove le cedole venivano date con i soldi arrivati dai nuovi investitori, e non da algoritmi, forse mai esistiti. In altre parole, uno schema Ponzi.
Secondo le associazioni dei consumatori con la Nft di Silea potrebbero essere andati in fumo almeno 100 milioni di euro. Soldi che possono sembrare addirittura nulla se si guarda oltreconfine. Qualche esempio. Con uno schema identico la bulgara Onecoin ha fatto sparire 6 miliardi di dollari presi da investitori americani e cinesi. L’indiana Bitconnect 4. La rumena Bitclub 3. Una lunga lista che vede almeno 7 casi di truffe superiori al miliardo.
«Truffe cripto? In realtà così diamo un nome diverso a un fenomeno già noto. Si tratta di schema Ponzi. I guadagni promessi dal mondo cripto hanno solo fatto riemergere un meccanismo già collaudato». Antonio Simeone, amministratore delegato di Euklid, fondo di algotrading, è tra i massimi esperti in Italia di investimenti e criptovalute. Sui suoi canali social ha spesso messo in guardia dalle truffe che girano nel mondo degli asset digitali. «È difficile fermarle», ammette. «Spesso tutto si gioca sulla comunicazione, sulla fiducia che si ha nei confronti di un amico, di un parente, di qualcuno che per qualche motivo ci convince», ragiona. Alla base «la speranza di guadagnare molto come chi è riuscito a farlo prima, sperando che non sia troppo tardi».
Avidità. Poi subentra altro. «Spesso una volta convinti che il mondo delle cripto sia meglio di quello della finanza tradizionale è come convincersi di un’ideologia. Alimentata dalla comunicazione, dai social, da bravi comunicatori che assicurano che la nuova Eldorado sostituirà l’intero sistema finanziario», spiega Simeone. «È un Far West di informazioni e nuovi prodotti, non ci sono regole». E nel Far West, sono spesso i più piccoli a farne le spese.
La Nft non è un caso isolato. Nelle ultime settimane, solo per rimanere in Italia, è emerso il caso Juicy Fields, società che prometteva ritorni del 66% investendo in cannabis tramite cripto. Anche i fondatori di questa società sono spariti, e i conti dei propri clienti congelati. A Firenze lo scorso maggio è cominciato il processo per il caso Bitgrail: 130 milioni in cripto spariti, di cui prima il proprietario della società ha denunciato il furto tramite un attacco hacker, ora è a processo per bancarotta fraudolenta perché gli inquirenti ritengono che il furto l’abbia causato lui. Se le accuse fossero confermate si tratterebbe della più grande frode nel mondo delle criptovalute fatta in Italia. Per ora.