il Giornale, 22 agosto 2022
Ritratto al veleno di Rula Jebreal
La bellezza per le donne a volte è una condanna. Più spesso una benedizione. Per Rula Jebreal, la seconda. Ma sarebbe sessista alludere che in Italia Paese in cui si diventa star mediatiche per molto meno – si possa sfondare in tv grazie all’aspetto.
Aspetta, cosa hai detto in un’intervista a proposito dei network americani? Che «là l’ambiente è più competitivo, devi essere super-preparata». L’Italia: Paese di sessisti, razzisti e anche giornalisti improvvisati... Chissà perché tanta gente ci vuole venire.
Rula Jebreal, di origini palestinesi, nata a Haifa, terra del profeta Elia, dell’high-tech e dei pompelmi rosa, da cui una predisposizione alle note quote, figlia di un imam sufi, guardiano della moschea al-Aqsa e cresciuta nella parte est di Gerusalemme, una bellezza da Mille e una nota di agenzia, grazie a una borsa di studio, è arrivata in Italia prestissimo, a Bologna, dove si laureò in Fisioterapia. E si è affermata in poco tempo in un sistema dei media, come il nostro, non particolarmente competitivo e dove non occorre essere così preparati nei ruoli di giornalista, scrittrice e conduttrice tv. Doppia cittadinanza (israeliana e italiana) e quattro lingue (italiano, inglese, ebraico e arabo), a noi Rula Jebreal contemporaneamente commentatrice politica e modella per l’azienda di borse Carpisa – fa venire in mente quelle protagoniste dei blockbuster americani, genere disaster movie, che a 25 anni sono bellissime, elegantissime, palestrate, laureate in Fisica nucleare, colte, intelligenti, capelli impeccabile, che citano Aung San Suu Kyi e intanto salvano il mondo dalla catastrofe. Qualcosa fra una bond girl e un’analista del Pentagono. Ma quella, come si dice, è Hollywood... E infatti lì, accanto al produttore Harvey Weinstein, ci arriverà, più tardi. «Ciao, Rula! Ma che bello! Ci sei anche tu?». «Yes, #MeToo!».
#MeToo, catcalling, bodyshaming, lotta al patriarcato, militante del «Movimento palestinese per la cultura e la democrazia», musulmana laica e talebana dello ius soli, splendida agit-prop del neofemminismo vittimista che non sbaglia mai, Free Palestine e «The future is female», a Rula che è il nome di una tribù beduina dove comandavano le donne, nomen Oman bastarono meno dei sei giorni del conflitto arabo-israeliano per conquistare La7. Nel 2002 fa un’apparizione all’Infedele di Gad Lerner, talk show a quasi esclusiva presenza maschile in cui pure Rula si trova benissimo: sono ancora lontani i tempi della battaglia No women no panel. Della sua comparsata, anche per via dello share, se ne accorsero in pochi. Ma fu notata da Franca Fossati (femminista storica, militante in Lotta Continua), capo autrice di Otto e mezzo: è lì, ospite di Giuliano Ferrara, che esplode il fenomeno Rula. Piace all’ambasciatore israeliano a Roma, piace alla sinistra filopalestinese, piace al direttore del TGLa7 Giulio Giustiniani, piace all’editore Marco Tronchetti Provera, piace al gran consigliori della rete Paolo Mieli, e piace anche ai telespettatori. Piace, insomma, a tutti. Che in latino si dice Omnibus. Un paio di anni e Rula Jebreal conduce il programma di attualità politica alternandosi con Antonello Piroso. Ma si sa, le convivenze televisive, soprattutto maschio-femmina e più ancora maschio-femminista, sono difficili. Alla fine, però, vince la professionalità. Antonello Piroso diventa direttore del TG, a Rula Jebreal non viene rinnovato il contratto. Come dice un ex collega: «Non sapeva niente, non studiava, era arrogante, ma aveva una capacità di tenere lo schermo incredibile».
E così si riparte da Annozero, con Michele Santoro, anno catodico 2006. Da lì Rula Jebreal è una star delle cronache politiche, fra difese appassionate della causa palestinese, bersaglio di attacchi razzisti l’abbronzatura rinfacciatale dal Ministro Calderoli a Matrix e misogini (ma noi ci dissociamo dalla battuta di Gene Gnocchi: «Renato Brunetta, pizzicato in un fuorionda mentre dava della gnocca senza testa a Rula Jebreal si è scusato spiegando che si sbagliava: La Jebreal non è poi così gnocca»), reportage mediorientali, un dimenticabile programma del 2013 condotto maluccio con Michele Cucuzza sui campi profughi, Mission, il maggior fiasco della stagione di Rai1, le intemerate, fra il talk e lo show, sull’immigrazione, la religione, i diritti delle donne, la crociata contro il maschio bianco – «Non urlare addosso a una donna come me, questa si chiama violenza!» – fino a scalare lo zenit della popolarità che, per paradosso, da noi si raggiunge scendendo una scala: quella di Sanremo, con il suo catechismo femminista di festival e di militanza. È stato l’altro ieri, edizione Amadeus 2020.
Oggi Rula Jebreal è una splendida signora di 49 anni con un profilo Twitter che annichilisce – «Visiting Professor, The University of Miami. Author. Foreign Policy analyst» collabora a prestigiosi fogli americani, New York Times, Washington Post, Time – «Ma come ha iniziato a fare la giornalista negli Stati Uniti?», «Ho chiesto un colloquio con Tina Brown, direttrice di Newsweek. Mi riceve e dice: hai cinque minuti per convincermi a metterti sotto contratto. Ho risposto: parlo arabo e ebraico, posso portarti un’intervista alla vedova di Moshe Dayan, intervistare donne siriane stuprate, posso scrivere sugli scandali di Berlusconi...», mentre noi, che arriviamo da Busto Arsizio, abbiamo faticato anni a farci ricevere dal direttore della Prealpina – vive tra New York e la Florida, tornando in Italia a trovare la figlia Miral.
Perché intanto anche la vita privata è da rotocalco: una relazione con l’artista bolognese Davide Rivalta, fidanzata del conte Pietro Antisari Vittori, compagna per alcuni anni del pittore e regista Julian Schnabel, il quale gira il film Miral, prodotto da Weinstein, tratto dal romanzo di Rula; poi moglie nel 2013 del banchiere draghiano Arthur Altschul Jr., da cui divorzia nel 2016 dopo una relazione con Roger Waters, e ormai la vita è un red carpet, jet set internazionale, dal rione Monti alla casa al Greenwich Village, Save Gaza, quote rosa e Galil Mountain Rosè dell’Alta Galilea, ben ghiacciato. Da dissidente a mainstream, da Rosa Luxembourg del Monte Carmelo alla più affettata bourgeois bohemian. Al-Jazeera, kefiah, yacht e intifada.
Palestinese ma israeliana, determinata, per alcuni cinica, permalosa («You’re blocked. You can’t follow or see @rulajebreal’s Tweets»), volto tv, romanziera (dicono con ottimi ghost writer), Rula Jebreal è una giornalista impegnata su temi scottanti e di grande attualità, ma ideologica. Cara Rula, perché ti sei affrettata a postare il video della giovane Meloni filomussoliniana, ma non hai speso neppure un tweet su #SalmanRusdhie? Eppure è stato colpito da un estremista di una religione che conosci bene...
Rula of Engagement. Mai farle domande antipatiche se sei maschio, bianco, etero, cisgender.
Poi certo, la cosa di boicottare una trasmissione perché gli ospiti sono tutti uomini, povero Zoro, ma presentare il proprio libro al Circolo Canottieri Aniene, che non accetta donne fra gli iscritti ed è il posto più #tuttimaschi del mondo – poteva essere gestita meglio.
Comunque, visto che in Italia i candidati al premierato sono sempre uomini, ed è fondamentale invece che ci sia anche una donna, speriamo che Rula sostenga la Meloni.
E per il resto, ogni uomo ha il suo punto debole. Il nostro è Rula Jebreal.