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 2022  agosto 22 Lunedì calendario

Il tesoro della Real Casa sepolto in Bankitalia

La vertenza giudiziaria sulla proprietà del tesoro della Corona è solo agli inizi, ma promette di crescere quanto prima l’interesse per la questione dei gioielli che il Ministro della Real casa, Falcone Lucifero, per ordine di re Umberto II di Savoia - che il 13 giugno 1946 partiva per l’esilio a Cascais - depositò in Banca d’Italia, presso il Servizio Cassa centrale, perché fossero poi consegnati «a chi di diritto». Una formula risultata magica, ma paralizzante sulla quale, per quasi ottant’anni, si è esercitata la burocrazia senza giungere ad alcuna conclusione mentre la durata del deposito si incammina a battere ogni record temporale determinando un primato assoluto a livello mondiale. Prova migliore non si sarebbe potuta avere della potenza delle formule, che avrebbero fatto invidia alla Sibilla cumana, e delle riflessioni alla Don Ferrante manzoniano (il quale inseguiva un dilemma sulla peste, se sostanza o accidente, senza decidere alcunché fino a quando fu colto dal morbo e ne morì).
GIOIELLI SENZA LUCE
La burocrazia, a tutt’oggi, pur non potendo smentire che, in base alla parte che è rimasta in vigore della XIII Disposizione transitoria della Costituzione, i gioielli e quant’altro contenuto nei plichi consegnati e verbalizzati sono stati avocati dallo Stato, tuttavia non è stata in grado di stabilire il ministero o i ministeri ai quali spetti l’amministrazione di tali beni e nel cui bilancio debbano essere iscritti. Più in generale, non ha saputo (o voluto) decidere di ordinare al depositario il trasferimento dei beni. Dunque essi sono ancora in cauta custodia della Banca d’Italia, la quale è da supporre legittimamente attende che sia sciolto l’arcano della competenza sulle gioie in questione. Si discute pure sul loro valore, formulando cifre che vanno dai 300 a pochi milioni, ma si discetta anche sullo stato ipotizzato della conservazione perché, secondo alcuni esperti, i gioielli o alcuni di essi non possono stare molto tempo custoditi senza prendere luce. Alcuni giustamente vorrebbero che i gioielli fossero esposti in una mostra, essendo beni pubblici e, quindi, accessibile dovrebbe esserne la visione a tutti i cittadini. Quando Mario Draghi ricopriva la carica di governatore della Banca d’Italia, interessato al problema fece presente che l’Istituto non poteva prendere una decisione, essendo un mero depositario, ma comunque attivò l’allora Presidenza del Consiglio perché finalmente si arrivasse a una soluzione. Sono trascorsi quasi 16 anni, ma ancora si attende che si stabilisca la titolarità del conferimento ministeriale e, dunque, continua il regime di deposito a Palazzo Koch.
In questo quadro, a dir poco singolare e paralizzante, sopravviene ora la decisione degli eredi di Casa Savoia i quali hanno chiamato lo Stato in giudizio rivendicando la proprietà dei gioielli perché, secondo loro, non sarebbero coperti dalla predetta Disposizione costituzionale in quanto si tratterebbe di beni strettamente personali, donde traggono anche la conseguenza che, in ogni caso, la Disposizione stessa sarebbe in contrasto con altre norme della Carta, a cominciare da quella sulla proprietà privata.
L’OCCASIONE DI DRAGHI
Si tratta, in effetti, di argomentazioni singolari a cominciare da quelle su di un asserito conflitto tra norme della Costituzione - esposte solo ora, mentre l’avocazione dei beni non ha distinto in base alla loro provenienza, ammesso, ma non concesso, che si possa parlare a ragione di beni privati e non della Corona, come agevolmente è, invece, sostenuto da chi ha fatto una ricostruzione storica della loro provenienza. Si sarebbe potuto cogliere l’occasione di Draghi Presidente del Consiglio, ricordando che, come si è detto, era stato lui, da governatore, a sollecitare l’intervento di Palazzo Chigi. Ma la promozione dell’iniziativa giudiziaria può legittimare, in attesa delle decisioni, un alt a una decisione amministrativa o comunque giustificare un tale stop che, magari, fosse voluto per altre ragioni. Siamo ancora alla frase di Churchill dell’indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma.
E’ pensabile che ci si svegli una buona volta da questo torpore della non decisione? Ragioni di dignità nazionale lo imporrebbero. A maggior ragione per il carattere pubblico dei beni in questione, per la loro storia, per l’affermazione, che essi indirettamente rappresentano, della Repubblica.