Specchio, 21 agosto 2022
Biografia di Mauro Coruzzi raccontata da lui stesso
Maurizio Umberto Egidio Coruzzi ha un nome d’arte, Platinette, e uno d’uso, Mauro. Per anni, quando c’era Platinette, non c’era Mauro, ma sempre, quando c’erano l’una o l’altro, c’era Maurizio. Quando si toglieva la parrucca, si abbassavano le luci, le cambiava la voce, diventava tutto grave, serio: finiva la festa.
Adesso si vede più Mauro che Platinette, talvolta una fusione di entrambi. Mauro assomiglia sempre di più a Philippe Noiret e Platinette sempre meno al «cartone animato» degli inizi, quando era la prima drag queen della televisione italiana, il primo travestito che non era ospite ma protagonista, conduttrice. La volle Maurizio Costanzo. Prima faceva la radio. Prima ancora, i giornali. Prima ancora, il fruttivendolo, a Parma, sua città natale dove vorrebbe tornare e aprire una libreria.
È vero che si può essere chiunque?
«Si può giocare a essere tante cose. Io ho creato un cartone animato, l’ho indossato, abbiamo fatto carriera. Ho vissuto il camp, l’esagerazione, e quando c’era il camp nessuno si poneva il problema dell’identità. L’altra sera guardavo un programma sulla transizione di genere su Raitre: a uno degli ospiti è stato chiesto come voleva essere definito, e ha risposto che dovevano essere gli altri a chiederglielo. Cosa?! Quindi quando conosco qualcuno, devo dirgli "Ciao, come vuoi che ti chiami?". Ma per carità. Che il prossimo sappiano almeno questo: chi è. Lo sappia e lo dica».
Ma sia comprensivo: è diventato difficile stabilire chi siamo.
«Non è una buona ragione per rinunciarci».
Lei sa come si fa?
«Le dico una banalità atroce: è dalla cultura che si deriva l’identità. Se io sono riuscito nella mia vita a vedere Fassbinder, a vedere i film di Visconti e a capirli, ad amare l’estetica, a leggere e amare Thomas Mann e Proust, ecco: so chi sono».
E le cose che ha fatto e che sa fare, i pregi e i difetti, la definiscono?
«So questo: non ho qualità o talento artistico ma desidero non essere ordinario, anche se mi rendo conto che in questo c’è molto di ordinario, perché non c’è niente di più normale di desiderare una vita unica. Però, di certo ho fatto scelte che mi hanno permesso e mi permettono quella libertà che mi fa dire che non hai fatto ciò che si sarebbe dovuto fare, ciò che ci si aspettava da me o dal mio personaggio. Ho lavorato per anni a Mediaset, e mi hanno dato del berlusconiano, io che Silvio Berlusconi non l’ho neppure mai visto».
E le hanno anche dato del fascista retrogrado reazionario omofobo. Lo sa?
«Anche omofobo? Ah sì?».
Ha espresso perplessità sul ddl Zan.
«E basta questo?»
Così pare.
«Ho anche accettato l’invito di Giorgia Meloni ad Atreju. Mi ha chiamato lei in persona, mi ha detto che avrebbe voluto che andassi a parlare delle ragioni di quelle perplessità e io, molto stupito di quell’invito, e pur temendo e provando una strana diffidenza all’inizio, ho accettato, ci sono andato e ho trovato una platea molto rispettosa e interessata».
Cosa non la convince dello Zan?
«Penso ci voglia una legge che punisca la discriminazione, ma quella l’avevo trovata malfatta e discriminatoria».
Ha detto che l’Italia non è un paese omofobo.
«E lo ribadisco. E non lo è mai stato. Paolo Poli ha fatto la carriera che meritava, e tutti sapevano che era omosessuale».
Però succede che dei ragazzini che si baciano per strada vengano aggrediti.
«E le donne vengono ammazzate. Ecco, io è questo che trovo intollerabile, atroce, ingiustificabile. I femminicidi aumentano, ci sono numeri orribili e la questione è scomparsa dalle agende della campagna elettorale. Io, come omosessuale, voglio combattere la violenza contro le donne. Non me ne frega niente di avere lo sconto Alitalia che sia uguale per le famiglie omosessuali e quelle eterosessuali: non mi sembra un obiettivo, eppure ho letto di grandi mobilitazioni per questo. La comunità omosessuale ed LGBTQ ha il dovere di combattere questa battaglia. Dobbiamo uscire dal seminato, e dobbiamo farlo tutti. Questo è un tema di tutti, una tragedia di tutti. Perché come omosessuale vengo sempre e solo interpellato per parlare di orientamento sessuale? Ma è poi così importante?».
Lei è di destra?
«Il solo partito che ho sentito vicino è stato quello Radicale. E mentre non riconosco più Emma Bonino, la vedo confusa, vedo in Cappato la stessa tenacia che aveva Pannella, lo stesso modo di fare politica. E poi Cappato porta avanti battaglie che ho a cuore».
Ha a cuore i diritti degli omosessuali?
«Proprio perché li ho a cuore ho accettato l’invito di Giorgia Meloni ad Atreju. Su quel palco, ho detto che quei diritti non possono essere appannaggio della sinistra, non possono diventare un punto identitario di una parte politica. I diritti non sono ideologici: sono diritti. La destra deve affrontare il problema, farsi carico di questa battaglia, perché ha elettori omosessuali (presuppongo che un omosessuale non sia necessariamente di sinistra). E quindi Giorgia Meloni avrebbe dovuta fare un’apertura ai diritti come la destra fece ai tempi della legge sulla violenza sulle donne, che fu votata trasversalmente. Se non sarà in grado di farlo, non si smarcherà dal passato».
Dal fascismo?
«Non c’è alcun pericolo di ritorno del fascismo: è morto e sepolto. Mi riferisco al passato in cui la destra ha permesso che i diritti civili diventassero una questione di sinistra».
Le piacerebbe se Meloni diventasse presidente del consiglio?
«Sarebbe una bella sfida. Sarei curioso di vederla all’opera: è pur sempre la persona che ha sfatato il mito del sessismo di destra, ha rimpicciolito tutti i maschi, li ha depotenziati. Qualche giorno fa leggevo un’intervista a Barbara Alberti, che amo e stimo, e aveva parole di elogio per Meloni. Lo avrei mai detto che Barbara Alberti avrebbe avuto parole buone per la leader di una forza di destra? No. E invece. E mi chiedo se la sinistra si domanda come mai non ha mai espresso un leader donna, e se è capace di darne conto, e soprattutto come mai non le venga chiesto di darne conto».
Che Italia vorrebbe?
«Un Paese colto, aperto, connesso. Si ricorda quando Matteo Renzi disse che era necessario connettere tutta l’Italia? Feci i salti di gioia. Eppure, io nelle gallerie dell’autostrada sento ancora soltanto Isoradio».
E Radio Maria.
«E Radio Maria, certo. Mi sono innamorato di Padre Nino perché è quello che sento, non perché sia bravo a condurre o far cantare. Mi piacerebbe che la modernità del Paese non passasse attraverso l’accomodamento personale, ecco. Che ci fosse una base tale per cui, per esempio, dal punto di vista tecnologico, fossimo davvero in grado di avere una connessione gratuita e non così frammentata. Invece, la questione viene derubricata e rimandata come fosse impossibile da risolvere. Ma se in galleria si sente Isoradio significa che non è impossibile far arrivare radio e internet in galleria, no?».
Andiamo avanti o indietro?
«Credo che conosciamo poco e sempre peggio quello che abbiamo alle spalle. I film di Barbra Streisand hanno trent’anni e nessuno ricorda le canzoni in cui Patti Pravo parlava di "io, lei, noi". Se sapessimo cosa abbiamo alle spalle, molte delle cose che oggi sembrano cruciali e ancora da conquistare, sono assodate. Sto rileggendo Tommaso Labranca, mi chiedo se il nostro tempo produrrà ancora uno scrittore così. Non dico un Moravia, ma uno così».
Lei si è diplomato con una tesina su Moravia.
«Io quando ho letto la scena della collana di Carla ne Gli indifferenti mi sono innamorato. Ho capito un mondo intero. E alla maturità portai anche una canzone di Vecchioni. La professoressa, che era una super borghese sempre impellicciata, mi diede fiducia».
Mi dica due artisti che ama di questo tempo.
«Madame. Eccezionale. Ed Eminem, che è il numero uno del rap mondiale, ed è bianco. E gliela fanno pagare per questo, ma non è un cortocircuito su cui le anime belle trovano da dire».
Chi è il suo migliore amico?
«È morto l’anno scorso. Suicidio. Non me ne capacito ancora».
Quando ha pianto l’ultima volta?
«Ieri, guardando il video della cagnolina della mia assistente, che adesso è in vacanza in Sardegna. Le sono molto affezionato, e ho paura che non mi riconoscerà quando tornerà a Milano. Sono proprio il cliché della finocchia anziana che va pazza per gli animali».
Lei non ci va in vacanza?
«Per carità. La peggiore perdita di tempo di tutte».
Lavora troppo.
«Meno di prima. Sogno una vita comoda, niente famiglia e niente figli. Vorrei vivere su una poltrona che sia fatta in modo tale da permettermi di fare anche i miei bisogni senza alzarmi. Però non smetterei di andare in bicicletta, ora che finalmente ci riesco, dopo aver perso tutti quei chili che mi impedivano di farlo».
Cosa la rende felice?
«Non sono in grado di dirglielo. La felicità la conosco molto da lontano, quindi quando ci penso, mi rendo conto che è come sognare di viaggiare sapendo che non lo farò mai».