Specchio, 21 agosto 2022
Teresa Ciabatti ricorda i suoi anni ’90
«Per chi aveva vent’anni gli anni Novanta sono stati anni grandiosi. C’erano delle premesse magnifiche, la sensazione che uno poteva essere tutto, diventare tutto. Però nell’arco del decennio è arrivata la risposta, non abbiamo dovuto aspettare trent’anni. Abbiamo capito che avremmo fallito, che non avremmo costruito un granché rispetto ai nostri genitori. L’inizio e la fine nello stesso decennio». Teresa Ciabatti, scrittrice e giornalista, ha un giudizio impietoso del decennio che l’ha vista ventenne.
Che risposta è arrivata?
«Le grandi aspettative che avevamo sono svanite. Andavo a scuola a Roma, ci eravamo trasferiti da Orbetello. Quartiere Parioli. Nel ’92 esplode Mani Pulite. Ecco mi capitava di conoscere persone che avevano i padri che erano stati coinvolti nell’inchiesta, non era una cosa così drammatica. C’era l’idea che tutto sarebbe passato, finito bene, almeno tra noi ragazzi. Ricordo lo choc del suicidio di Raul Gardini. I capitani meravigliosi, vincenti, invincibili non solo cadevano e non si rialzavano ma si toglievano la vita. Storie significative anche per il nostro destino».
Cioè?
«Io partivo con dei sogni, mi vedevo scrivere, ero sicura che fosse possibile realizzarmi. Invece è stato faticosissimo e se devo dire la verità non sono realizzata neanche oggi. Certe volte mi chiedo cosa lascerò di concreto a mia figlia».
Nel suo caso certamente qualcosa lascia...
«È un discorso più pezzente. Cosa ho comprato con il mio lavoro? Niente. Le lascerò la casa che ho ereditato dai miei genitori. L’unica vera eredità che avrà sono le bambole Reborn, quello è stato il mio investimento. A sei anni mi chiese Gabriela, costava 1200 euro, non l’ho comprata optando per un’imitazione. Poi nel tempo ne ho comprate altre e le ho impedito di regalarle. Le ho detto questo è quello che mamma ti lascerà. E pensare che negli anni Novanta ero sicura di poter costruire un impero!».
Addirittura.
«Erano gli anni dei soldi facili, così venivano raccontati. Sono nata e cresciuta a Orbetello però mi capitava di andare a feste in case di 1500 metri quadri. Era tutto spropositato negli Anni 90. La cosa stupenda, che mi ha fatto molto ridere, è che ho ritrovato in vendita quella reggia e l’agente immobiliare mi ha raccontato che non la possono vendere a prezzo pieno perché in gran parte abusiva! C’era un pensiero megalomane. La caduta per questo è stata più traumatica».
A breve sarebbe cominciato il "sogno" berlusconiano, la discesa in politica.
«Il berlusconismo per chi era ragazzino, cresciuto con quella televisione era la prosecuzione di una storia. Cominciavi a capire che era tutto un contenitore vuoto. Mi è capitato di fare un reportage su Non è la Rai. Quello è un grande simbolo di un’epoca. Un programma che oggi non sarebbe possibile. Un programma per adulti non per ragazzini. Guardi oggi queste creature che pensavano di aver risolto la vita, in tante venivano dalla periferia, quasi nessuna di loro ce l’ha fatta ad andare avanti. Quasi tutte sono tornate alla vita di prima. Quel programma racconta bene le illusioni di allora. Pensavamo che tutto fosse a portata di mano. Io volevo fare la giornalista. Non trovavo niente, forse perché non conoscevo nessuno. Oggi con i social almeno questo è cambiato e chi ha talento viene fuori. Trovi spazio, è un sistema più democratico. Poi forse non mi ero ancora trovata io, del resto mi sono trovata tardissimo, ho capito tardissimo chi sono. C’è un episodio che la dice lunga su quanto non ci capivo nulla del mondo».
Quale?
«Facevo lettere, stavo sempre a casa e mia madre tutti i giorni mi diceva "ma dai cerca di stringere amicizia con qualcuno". Quasi mi obbliga a fare un corso di teatro e mi ritrovo in una palestra a San Lorenzo. Eravamo nove, dieci. Io assolutamente negata. Però trovo la mia "missione". Faccio amicizia con un ragazzo con l’accento molto romano che mi raccontava che veniva dalla periferia e aveva una famiglia numerosa e siccome era un corso a pagamento comincio a incazzarmi e la mia missione diventa tirare via questo ragazzo dal corso. Gli dicevo guarda questo corso che dà illusioni a dei poveretti che non faranno mai niente. Sulla base dei miei principi di provincia per i quali l’attore doveva essere bellissimo e già realizzato a 23 anni, comincio a dare il tormento a questo ragazzo. Lo chiamavo tutti i giorni e gli dicevo: "Tu devi lasciare, non farai mai niente con quell’accento romano". La faccio breve, era Ascanio Celestini. Vedevo lustrini, ero abbagliata dalla mia educazione. Ero una cretina di Orbetello che guardava la televisione. Ero caduta nel berlusconismo con tutte le scarpe ».
C’è qualcosa che rimpiange?
«Non rimpiango la giovinezza, sto benissimo ora, direi che ero fatta per la mezza età. Rimpiango solo le persone che non ci sono più. Certo economicamente stavo meglio ma il benessere rimbambisce, dunque niente rimpianti. Però c’è un oggetto di cui vado molto fiera. Mi sono ritrovata non so perché diversi quadri di Amintore Fanfani. Forse era amico di mio padre. In un momento di crisi economica volevo venderli ma non sono valutati granché e ho rinunciato. Ma ho un’opera che non venderei per nessuna cifra: un quadro con la Torre di Pisa dritta!».