Corriere della Sera, 20 agosto 2022
Abituiamoci a siccità e nubifragi
Non c’è nulla di innaturale nel tempo che fa, piuttosto fenomeni tipici dell’atmosfera diventano più intensi e violenti, a causa dei cambiamenti climatici, spiega al Corriere Antonio Navarra, fisico e presidente del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici. L’Italia è sulla linea del fronte .
Violenti nubifragi al Nord, trombe d’aria in Toscana, temperature bollenti al Sud. Cosa sta succedendo?
«C’è un contrasto tra una massa d’aria molto fredda che viene dal Nord Europa e una molto calda che stava su tutto il Mediterraneo. Così nascono le precipitazioni: quando l’aria fredda incontra una massa di aria umida e calda, fa condensare l’acqua e piove. È come una pentola che bolle in cui si creano e muoiono vortici e altri fenomeni tipici dell’atmosfera».
Fenomeni parecchio violenti in questi giorni…
«Più ampio è il contrasto di temperatura fra le due masse d’aria, più i fenomeni sono violenti. In questi giorni il Mediterraneo era “maturo”, aria e suolo erano eccezionalmente caldi, le temperature marine molto alte, e alla prima incursione di un vortice di aria fredda si sono create le precipitazioni estreme, che sono una funzione dell’energia presente in atmosfera».
Come si spiega l’Italia spaccata in due?
«La frontiera, il fronte fra queste due masse d’aria, in questi giorni passa dal centro d’Italia. Metà del Paese sta sotto l’aria fredda e l’altra metà sotto quella calda. Sul bordo, che non è ovviamente tirato con il righello, si sono verificate le manifestazioni più estreme».
Domanda di rito: colpa del cambiamento climatico?
«Il tema è delicato perché il clima è definito statisticamente dall’insieme delle “abitudini” dell’atmosfera. Cioè, con che frequenza e intensità accadono fenomeni di questo tipo. Un singolo evento non spiega il clima, però i nostri studi indicano che l’aumento dei gas serra rende questi fenomeni più probabili. La domanda che in questo momento impegna tutta la ricerca scientifica è quante probabilità ci sono che la prossima estate sia uguale a questa».
Estate da record isolata o preludio delle estati future?
«Esatto. L’asticella che definisce le abitudini dell’atmosfera si sta spostando, lentamente. Siamo già arrivati ad un punto in cui un’estate come questa non sarà più estremamente rara? Dobbiamo trovare ancora la risposta».
Non se la sente di affermare che questa è la nuova normalità meteorologica?
«No, è ancora presto. D’altra parte, questo tipo di fenomeni ormai viene previsto bene nel range di 5-7 giorni dai servizi meteo. Siamo attrezzati per affrontarne nel breve periodo gli effetti. Dobbiamo però cominciare a considerare con grande serietà l’effetto combinato di lungo periodo, ad esempio sulla progettazione di grandi infrastrutture nei prossimi 30-40 anni».
L’Italia deve fare anche i conti con la sua storia, con il campanile di San Marco che rischia di sgretolarsi sotto il nubifragio ad esempio. Come proteggere l’esistente?
«Sono sicuro che gli ingegneri troveranno le soluzioni, abbiamo già molte informazioni su come potrebbero cambiare i parametri di comportamento dell’atmosfera. Ora bisogna valutare i rischi e implementare le misure necessarie. L’incertezza maggiore però non riguarda l’atmosfera ma quanta CO2 emetteremo nei prossimi decenni».
Quali sono le maggiori fragilità dell’Italia?
«Il cambiamento climatico porterà un aumento delle temperature e una diminuzione delle precipitazioni, oltre all’aumento della variabilità. La questione principale sarà quindi lo stress sulle risorse idriche. Oltre all’aumento del livello del mare».
È vero però che l’area del Mediterraneo è quella che soffre di più in Europa?
«Il Mediterraneo è molto vulnerabile. È una zona di confine storica, economica, geografica, politica e anche meteorologica. Perché si trova al bordo tra le regioni tropicali e quelle temperate. Per farla semplice, d’estate siamo in Africa, d’inverno siamo in Europa. Ma basta poco per spostare il bordo, allungando ad esempio il periodo estivo secco e accorciando il periodo umido e invernale, che poi è il motivo per cui le precipitazioni diminuiscono».
Rischiamo di diventare un Paese tropicale?
«Il rischio è che il periodo estivo mediterraneo, che più o meno va da aprile a settembre, si allunghi. Con temperature più alte e precipitazioni più basse. Soprattutto nelle zone centro-meridionali d’Italia. Questo è lo scenario, l’incertezza riguarda l’entità di questo cambiamento. È tempo di agire per far sì che abbia il minore impatto possibile sulla nostra economia, sui tessuti sociali, sulle comunità».
Che tempo farà nei prossimi giorni?
«Per il weekend questi fenomeni estremi dovrebbero attenuarsi notevolmente».