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 2022  agosto 21 Domenica calendario

Gli ucraini fanno male ai russi con i droni

I droni sono come una fionda, possono far male al gigante. Lo insegna il conflitto in corso con l’ultimo strike messo a segno dagli ucraini nella base russa di Sebastopoli. Il loro velivolo ha volato sulla Crimea occupata, ha superato le difese nonostante la bassa velocità ed ha finito la sua traiettoria su un edificio del sito militare. E poco importa se la versione di Mosca sostiene di averlo abbattuto, la sua missione l’ha comunque portata a termine, ha raggiunto il bersaglio. 
Per gli esperti potrebbe trattarsi di uno Skyeye 5000, prodotto in Cina per l’impiego civile, con una capacità di carico di 20 chilogrammi, e un costo al di sotto dei 10 mila euro. Oppure di un PD-2 locale, con carico di 3 chilogrammi e raggio operativo di 200 chilometri circa. Parliamo di prezzi minimi rispetto alle conseguenze: l’esplosione, la colonna di fumo, la sfida nel cuore della Marina russa in un settore critico, l’imbarazzo delle autorità davanti agli occhi dei cittadini. Kiev, ma anche gli invasori, hanno trasformato mezzi per il mercato industriale e persino amatoriale, in armi «economiche». 
Soluzioni in corsa per aumentare le possibilità di spiare e attaccare. Spinti dalle necessità, hanno cercato ovunque e il mercato cinese è stato pronto a rispondere con un’offerta ampia. La resistenza, partita in svantaggio rispetto alla potenza del neo-zar, ha recuperato terreno. Ha creato team speciali dotati di piccoli droni per azioni dietro le linee, quindi ha alzato il livello dotandosi di macchine più grandi. La Turchia ha venduto molti dei suoi TB 2, altri sono stati forniti con raccolte di fondi all’estero, altri ancora sono arrivati con i pacchetti d’aiuti garantiti dall’Occidente. I velivoli radiocomandati sono diventati i protagonisti di missioni in profondità: uno sarebbe stato usato per centrare una raffineria a Rostov mentre il TB2 si è distinto nelle operazioni a sud con un ruolo diretto o semplicemente per distrarre lo schermo dell’aggressore. 
Le installazioni della Flotta del Mar Nero sono entrate nel mirino. Già settimane fa un ordigno volante – forse manovrato da sabotatori – aveva rovinato la festa della Marina esplodendo nel cortile della caserma e costringendo i militari a cancellare la cerimonia. Sabato il raid documentato anche da video circolati poi sul web, presunto attacco coinciso con la conferma del cambio della guardia proprio ai vertici della Flotta. 
L’ammiraglio Viktor Sokolov ha preso il posto di Igor Osipov, l’alto ufficiale che ha dovuto subire molte umiliazioni. Il Moskva affondato, un’unità d’assalto anfibio distrutta così come un paio di vedette, l’abbandono dell’Isola dei Serpenti e la rinuncia ad uno sbarco sulla costa di Odessa con le unità sempre molto al largo per stare lontane dai missili anti-nave. 
L’Ucraina prosegue nella strategia di logoramento, con gli strike e i bombardamenti mirati con conseguenze su logistica e rifornimenti proprio in Crimea. I collaboratori di Zelensky hanno ribadito che queste missioni proseguiranno a lungo, vogliono portare il «caos» e alimentare il senso di insicurezza. Rientra in questo quadro un attentato (fallito) contro il sindaco pro-russo di Mariupol. Da notare: l’intensificarsi delle incursioni è stato accompagnato da articoli ampi sui media occidentali a rimarcare le nuove difficoltà della Russia. 
In questa fase gli ucraini hanno ripreso l’iniziativa e hanno imposto la loro narrazione. I raid servono anche a questo: bilanciano i magri risultati per la resistenza sul terreno e «nascondono» la mancata offensiva su Kherson. Gli osservatori segnalano peraltro un rallentamento delle operazioni da parte degli invasori che hanno provato ad avanzare nel settore orientale con qualche «guadagno tattico» minore. In compenso hanno rivendicato l’uccisione di un centinaio di nemici, compresi 20 volontari americani, nell’area di Kharkiv. L’alternanza di giudizi è una costante in un conflitto dove i fronti cambiano di poco.