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 2022  agosto 20 Sabato calendario

Il Giappone vuole che i giovani bevano più birra

Kanpai in giapponese significa “bicchiere vuoto”. È l’espressione con cui si brinda nel Sol Levante, celebre in buona parte dell’Asia orientale. Ma in madrepatria la si sente pronunciare sempre meno, in particolare tra i giovani. Con grande scorno del fisco, che tra l’onda lunga delle restrizioni Covid e il trend demografico negativo sta vedendo diminuire il gettito garantito dal consumo di bevande alcoliche. Ecco allora che l’Agenzia delle entrate di Tokyo ha pensato di lanciare una campagna per incoraggiare i giapponesi a bere più alcol. Un’idea che può apparire paradossale a molte latitudini e da cui il ministero della Salute ha preso le distanze ricordando i rischi di un consumo eccessivo di alcol, ma che ha l’obiettivo di rimpinguare le casse dello stato in difficoltà con una ripresa economica post pandemica più difficoltosa del previsto, anche per gli effetti della guerra in Ucraina.
Il programma si chiama “Sake Viva”. Con sake in Giappone ci si riferisce all’alcol in generale, mentre la celeberrima bevanda ottenuta dalla fermentazione di riso, acqua e spore koji viene chiamata nihonshu. La campagna chiede alle persone nella fascia d’età tra i 20 e i 39 anni di presentare proposte per contribuire a rivitalizzare la popolarità delle bevande alcoliche. C’è tempo fino al 9 settembre per presentare idee su nuovi servizi, prodotti, design, metodi promozionali e tecniche di vendita che stimolino il consumo alcolico anche in modalità domestica. Una necessità sorta con la pandemia che ha cambiato le abitudini sociali dei giapponesi, abituati a bere soprattutto nelle serate di gruppo. Per questo l’Agenzia delle entrate si aspetta proposte che includano l’utilizzo dell’intelligenza artificiale o del metaverso. Lecito aspettarsi di vedere presto uno dei popolarissimi virtual idol nipponici sponsorizzare una bottiglia di shochu, distillato di orzo, riso o patate dolci tra i 20 e i 40 gradi. La fase finale del concorso si svolgerà a novembre a Tokyo, col vincitore che riceverà i fondi per commercializzare il suo progetto.
Bere alcolici ha sempre fatto parte della cultura giapponese, come sanno gli amanti dei film di Yasujiro Ozu o a chi è capitato di trascorrere un fine settimana in una delle grandi città del Paese come Tokyo o Kyoto, dove è frequente vedere anche eleganti manager annegare nell’alcol una settimana di overworking. I nomikai, i party alcolici tra colleghi solitamente organizzati negli informali bar izakaya, sono considerati momenti importanti della vita lavorativa perché vengono associati ai concetti di “unione” e “onestà”. Tanto da aver prodotto il neologismo nommunication, cioè comunicare attraverso il bere (nomu). Oltre alla birra, l’alcolico più diffuso, il Giappone è diventato celebre anche per i suoi whisky di alta qualità, vincitori di numerosi premi internazionali e ormai considerati spesso alla pari di quelli scozzesi.
Ma il consumo di alcol è in costante diminuzione. L’assunzione media di alcolici per adulto in Giappone è scesa da 100 litri all’anno nel 1995 a 75 litri nell’anno fiscale 2020. Con conseguenze sul gettito. Le tasse sui prodotti alcolici rappresentavano il 5% del totale delle entrate fiscali nel 1980, il 3% nel 2011 e il 2% nel 2020, anno in cui le vendite di birra sono crollate del 20% a causa delle restrizioni anti Covid. E il trend di decrescita pare accelerare, visto che in poco più di un anno il dato ha perso un ulteriore 0,3%.
Tra le cause c’è anche il processo demografico. Secondo le stime della Banca Mondiale, quasi un terzo (il 29%) della popolazione giapponese è sopra i 65 anni: la percentuale più alta al mondo. Tanto che negli scorsi anni il governo ha rotto un tabù, rilassando le regole di immigrazione in un paese tradizionalmente conservatore e molto compatto dal punto di vista etnico. Sforzi per ora frustrati dalla pandemia e che potranno dare frutti solo nel medio-lungo periodo, non prima di vedere altri botte di assestamento alla terza economia mondiale che continua a essere caratterizzata da un deficit di bilancio ormai cronico e da un debito pubblico al 266% del Pil: il più alto al mondo tra i paesi sviluppati. Qualche kanpai in più può aiutare il Giappone a tornare a crescere. Sobriamente.