il Giornale, 20 agosto 2022
Quell’Hitler alla Picasso
Una pipa in bocca, labbra carnose e occhi azzurri incorniciati da lunghe e femminee ciglia e poi un serpente a definire i contorni del viso, su fondo verde: potrebbe essere questo il ritratto di Hitler firmato da Pablo Picasso. Il condizionale è d’obbligo, ma molto c’è da raccontare su questa tela, finora inedita e non catalogata, presentata due giorni fa durante la conferenza internazionale «L’arte in fuga da Hitler», al Castello dei Conti Brancaleoni di Piobbico, nelle Marche.
La notizia non è passata inosservata e anche se non vi è ancora la completa certezza che il dipinto in questione sia stato realizzato dalla stessa mano che ha concepito quel capolavoro di denuncia contro il nazifascismo che è Guernica, come si fa a non guardare con interesse a questo lavoro e a non porsi alcune domande? Alcune le ha anticipate, presentando il suo studio durante la conferenza, Annalisa Di Maria, esperta d’arte e studiosa del Centro per l’Unesco di Firenze: davvero siamo davanti a un nuovo Picasso, a un Picasso così irriverente e pungente da avere l’ardire di ritrarre il Führer proprio nel modo che lui avrebbe più odiato? Gli elementi non mancano, anche se non ci sono firme autografe – cosa strana, per il narciso pittore di Malaga – e dall’analisi è stato rilevato anche un rifacimento del bordo esterno causato probabilmente dall’usura. E se la celebre firma che conosciamo, quel «Picasso» con lo svolazzo, fosse proprio stata fatta lì? L’ipotesi è suggestiva, anche se appare improbabile che lo stesso artista non mai abbia fatto menzione di questo suo lavoro così particolare (parliamo pur sempre del ritratto di Hitler). Tuttavia, se ci fermiamo allo stile, la compatibilità con la mano di Picasso appare straordinariamente buona: potrebbe essere uno dei tanti esempi di ritratto che il fondatore del Cubismo realizzava a metà degli anni Trenta, ispirandosi alle scomposizioni geometriche di Paul Klee, di cui peraltro era molto amico. Lo studio stesso delle linee (la bocca e la pipa, in particolare) e di vari elementi del quadro (il naso, gli occhi) rimandano allo stile picassiano e dai rilevamenti sui pigmenti la datazione potrebbe oscillare tra il ’35 e il ’37.
Le date sono importanti. Il 26 aprile del 1937 Guernica veniva bombardata e la mattanza ispirò a Picasso il celeberrimo capolavoro composto, con i suoi 27 metri quadrati di tela, in un febbrile slancio emotivo in soli due mesi per essere poi mostrato al mondo, quale monito e accusa, all’Esposizione Universale di Parigi. In quello stesso anno, in una sorta di guerra estetica (ma per nulla fredda), a Monaco di Baviera furono allestite due mostre, per volere di Hitler: la prima, «La grande esposizione di arte germanica», per esaltare l’«arte ariana», apollinea e perfettamente fedele al regime; l’altra per condannare, anzi per deridere la cosiddetta «arte degenerata», che comprendeva opere di molti tra gli avanguardisti europei dell’epoca, come Otto Dix, Marc Chagall, persino Van Gogh, accompagnati non da didascalie tecniche, ma da commenti come «ciarlatani», «incompetenti». Tra i movimenti che Hitler odiava maggiormente c’era proprio il Cubismo, e tra le firme più invise quella di Picasso, del quale non tollerava la deformazione delle figure, private di ogni idealizzazione, così scomposte sulla tela, spesso abbruttite e deformi. Per Hitler – che con Herman Goering sognava, anche grazie ai saccheggi nelle case dei collezionisti ebrei, di erigere un «nuovo Louvre» a Linz, sua città natale – l’unica arte degna di questo nome era quella classica, cui gli artisti di regime erano obbligati a rifarsi. Picasso ebbe il merito di capire, meglio e prima di altri, che l’ossessione di Hitler per l’arte antica e ancor di più il terrore per le nuove avanguardie che si moltiplicavano in Europa e in America era ben più che una questione di forma. Parliamo dello stesso Adolf Hitler, pittore velleitario e mediocre, che da giovane fu rifiutato per ben due volte all’Accademia di Vienna: ora gli si parava l’occasione per rifarsi dell’umiliazione subita e per imporre la sua univoca immagine del mondo, cancellando tracce estetiche a lui non conformi.
La dichiarazione di guerra all’arte degenerata dimostra l’ansia di Hitler verso tutto ciò che non riesce a controllare e, forse, a comprendere fino in fondo. Le mostre didascaliche volute dal Führer non sono riuscite nell’intento di derubricare le avanguardie a movimenti minori: come questo inedito ritratto dimostra, l’arte di opposizione al totalitarismo resta ancora oggi un documento di straordinaria potenza. Pablo Picasso lo spiegherà meglio nel ’45: «La pittura non è fatta per decorare appartamenti: è uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico».
E allora torniamo a osservare questo ritratto: Hitler, proprio lui che non tollerava il fumo, che odiava l’odore di tabacco e chi ne dipendeva, appare immortalato con una bocca deforme e una enorme pipa, gli occhi guardano nel vuoto, inermi, il naso aquilino cui tanto teneva è storto, un viscido serpente definisce lineamenti ambigui (come le ciglia esagerate). Ci troviamo dinnanzi a una feroce, a tratti persino gagliarda, critica al Führer e questo ritratto-parodia, incredibilmente rimasto nascosto fino a oggi, è un capolavoro di ironico e coraggioso dissenso, chiunque ne sia l’autore.