Il Messaggero, 20 agosto 2022
Intervista a Milo Manara
«Il 20 agosto è una data che non dimenticherò mai. Ero a Roma, in quello scenario meraviglioso che è Piazza di Siena, alla prima di un balletto dedicato a Fellini, di cui avevo curato le scene e i costumi. Quando mi dissero che Hugo Pratt era morto, sono rimasto scioccato. Non ce l’ho fatta a salire sul palco, a prendere gli applausi». A parlare è Milo Manara, che ricorda il creatore di Corto Maltese, a 27 anni dalla morte. Il 30 agosto uscirà per Rizzoli Lizard Panamericana, una raffinatissima nuova edizione piena di contenuti extra di due graphic novel disegnate da Manara, di cui Pratt curò le sceneggiature: El Gaucho, del 1991, e Tutto ricominciò con un’estate indiana (1983).
Quanto è importante Pratt nella storia del fumetto italiano?
«Moltissimo. All’epoca era in corso la transizione tra il fumetto per ragazzi e quello per adulti, soprattutto attraverso Diabolik e i suoi vari epigoni - Jolanda, Isabella, Satanik, Kriminal - che si basavano su un certo tipo di erotismo che allora veniva ritenuto scandaloso. Hugo Pratt e Guido Crepax sono stati i primi a proporre un fumetto che fosse anche culturalmente per adulti».
Possiamo dire che con Pratt, Crepax e anche Manara, nasce il fumetto d’autore, in Italia?
«Soprattutto con loro. Io sono venuto dopo, ma sono un buon testimone. Umberto Eco diceva: Se voglio distrarmi leggo Engels, se invece voglio impegnarmi leggo Corto Maltese».
Non faccia il modesto. Tutto ricominciò con un’estate indiana è considerato un vero capolavoro del fumetto italiano.
«Sì e non solo italiano, è stato pubblicato in tutto il mondo e penso sia stato molto importante, perché la storia su cui era costruito era un bellissimo romanzo»
Ispirato alla Lettera scarlatta di Hawthorne, peraltro.
«Esatto, Hawthorne, ma anche i grandi narratori americani della frontiera, come James Fenimore Cooper. Allora, si faceva una netta distinzione tra letteratura di impegno e di evasione e quest’ultima - considerata malissimo - era stata abbandonata. Pratt ha avuto il merito di riprendere questa tradizione».
Il suo tratto già allora è caratterizzato da questa sensualità imbevuta di forme classiche, quasi rinascimentali. Non trova?
«Sì, ma non ho mai frequentato scuole di fumetto».
Però ha studiato storia dell’arte.
«Il fumetto mi ha permesso di utilizzare lo studio accademico in una forma nuova. In particolare, l’Estate indiana è stata una grandissima scuola perché mi ha costretto, seguendo una sceneggiatura bellissima, ad adattare velocemente il disegno alla storia».
Lei inaugura questo tratto molto sensuale che però non scivola mai nel volgare. Come mai?
«Sarà perché sono consapevole che nel nudo c’è felicità, gioia, o anche dramma, ma mai volgarità».
Ha fatto molto discutere la sequenza muta iniziale dell’Estate indiana, che nel 1983 raccontava uno stupro. Oggi si potrebbe ancora disegnare?
«Non so se si potrebbe fare, ma sicuramente ci si metterebbe nei guai. Ovviamente lo stupro è un qualcosa di orribile e di condannabile, ma nel caso dell’Estate indiana era commesso da due ragazzi molto giovani, che avevano una loro cultura: l’ho disegnato come fossero degli animaletti felici che trovavano naturale, vedendo una bella ragazza, corteggiarla in modo molto spiccio e arrivare a violentarla. Lei, ovviamente, non è assolutamente un animaletto felice e deve subire questa violenza».
Si è mai sentito censurato?
«Proprio nell’Estate indiana in alcune edizioni è stata cancellata una scena in cui il vecchio prete seduce la ragazzina. Poi ho subito una censura politica di cui sono molto fiero: al tempo dell’apartheid, in Sudafrica sono stati messi all’indice tutti i fumetti della serie di Giuseppe Bergman. Nei Borgia - scritta da Jodorowsky, non da me - c’è un episodio molto truculento, si vede un sacchetto pieno di testicoli: negli Stati Uniti quella tavola è sparita. Intendiamoci, io ero d’accordo: per me l’editore è un complice».
Tra tutti i personaggi che ha incontrato nella sua vita, chi è stato il più importante?
«Certamente Fellini: ha avuto un enorme impatto su di me. Quando è uscita La dolce vita non avevo l’età per vederlo, ma poi da 8½ in poi, ha formato il mio immaginario, i suoi film sono diventati l’appuntamento più importante».
Ha finito per disegnare i film che avrebbe voluto girare lui. Perché?
«Sì prima ho lavorato con lui per Viaggio a Tulum e poi per Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. Negli ultimi anni, non riusciva a trovare produttori».
A cosa sta lavorando adesso?
«A tradurre in graphic novel Il nome della rosa. È una richiesta che mi è stata fatta dalla sua casa editrice, La nave di Teseo. So che Umberto Eco apprezzava anche il mio lavoro, oltre a quello di Hugo Pratt. Lui non c’è più, ma nel suo libro c’è già tutto».