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 2022  agosto 19 Venerdì calendario

VOLETE SAPERE COME SI E' ARRIVATI ALLA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI? A CAZZO DI CANE - VERDERAMI: "UN MINISTRO DEL CONTE-BIS RICORDA COME, A OTTOBRE 2019 DOVE CHE LA RIFORMA ERA STATA APPROVATA, SI FERMO' A PARLARE CON FRACCARO DICENDOGLI: 'CHE ERRORE AVETE FATTO'. E IL GRILLINO RISPOSE: 'MA CHI POTEVA IMMAGINARE CHE IL PD L'AVREBBE FATTO PASSARE COSÌ'. SI IPOTIZZAVA CHE SI SAREBBE ANDATI PER LE LUNGHE. INVECE NO: IL PD, CHE PER TRE VOLTE AVEVA VOTATO CONTRO LA RIFORMA, ALLA QUARTA CAMBIO' POSIZIONE..."  -

Con il taglio dei parlamentari il 25 settembre cambierà la storia della politica italiana. Ma quella che rappresenta a tutti gli effetti una svolta epocale non sarebbe che una «riforma per caso». Almeno, stando al racconto di un autorevole ministro, presente anche ai tempi del Conte due e testimone di un episodio che cambia radicalmente la narrazione sull'epopea giallorossa e sul provvedimento bandiera del grillismo.

Il ministro ricorda come a metà di ottobre del 2019, dopo che il Parlamento aveva definitivamente approvato la riforma, al termine di una riunione di governo si fermò a parlare con l'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Fraccaro: «Che errore avete fatto», gli disse riferendosi alla riduzione dei parlamentari. E il grillino rispose a bruciapelo: «Ma chi poteva immaginare che il Pd l'avrebbe fatto passare così».



È vero, in estate il «taglio» era stato il cuore dell'intesa tra il Movimento e i Democratici per formare un governo e sbarrare la strada delle urne a Salvini. Ma tutto lasciava supporre che - prima dell'ultimo passaggio della riforma in Parlamento - i dem avrebbero chiesto il varo dei correttivi necessari a garantire la tenuta del sistema: dalla modifica dei regolamenti per Camera e Senato fino alla legge elettorale proporzionale.

Insomma, si sarebbe andati per le lunghe. E se non si fosse arrivati alla fine del percorso, i dirigenti di M5S - come riconosce oggi uno di loro - già ipotizzavano di sventolare quella bandiera nella successiva campagna elettorale, «un po' come la sinistra aveva fatto per vent' anni con il conflitto d'interessi contro Berlusconi».

Invece no. Il Pd, che per tre volte aveva votato contro la riforma, alla quarta cambiò posizione. Non senza mal di pancia interni. In pochi in Parlamento si opposero a quella «mutilazione della Costituzione», come disse al Senato Bonino, allora anche a nome di Azione. Sarà stato per il fatto che all'epoca Conte era considerato il «punto di riferimento» del progressismo, ma nel Pd fu il solo Guerini - durante un dibattito politico in una riunione di governo - ad esprimere il suo dissenso.

Certo in quella sede non si segnalò in suo sostegno il ministro del Sud Provenzano, compagno di partito, che l'altro giorno in un'intervista al Corriere ha di fatto sottolineato gli effetti negativi della riforma. Il titolare della Difesa invece rese pubblica la sua posizione nell'estate del 2020, quando si avvicinava il referendum ma dei «correttivi costituzionali» e della proporzionale non c'era traccia: «Non c'è una nuova legge elettorale, non c'è un nuovo sistema bicamerale. Così com' è questa è solo una concessione alla demagogia».

Il 21 settembre però la «demagogia» stravinse con il 70% di «sì»: all'epoca i tardivi ripensamenti di Berlusconi e Renzi, che condannarono la «riduzione della democrazia in Parlamento», furono sommersi dal coro (quasi) unanime a favore di una riforma che - per dirla con Di Maio - avrebbe fatto «risparmiare soldi» e garantito «leggi scritte meglio».



Da allora sono passati due anni e due governi, ma le modifiche sono rimaste come le opere pubbliche: incompiute. La riforma dei regolamenti parlamentari è stata varata solo a Palazzo Madama, con rischi elevatissimi nella prossima legislatura per l'iter dei provvedimenti e per la stessa vita del futuro governo.

Non è stata ridotta la quota dei delegati regionali per l'elezione del presidente della Repubblica, indispensabile per compensare il taglio di deputati e senatori. Non è stato modificato il conteggio su base regionale dei voti per l'elezione alla Camera Alta. E non è stata cambiata la legge elettorale, perché quando Letta sostituì Zingaretti al Nazareno accettò l'invito della «orbániana» Meloni ad Atreju e lì affossò il proporzionale per rilanciare il Mattarellum.



Così la riforma nata per «caso» affida ora al caso la tenuta del sistema, tra il silenzio di chi avrebbe potuto far sentire la propria voce e l'ammissione di colpa di alcuni dirigenti democrat, consapevoli che il «taglio» era stata solo una folgorazione sulla via di Palazzo Chigi: «Siamo un partito di atei praticanti».Ai quali verrà più complicato intestarsi la battaglia per difendere la «Costituzione più bella del mondo» dagli attacchi della destra. «Perché finora è stata la sinistra a cambiare la Carta. E lo ha fatto sempre in peggio», ha detto il costituzionalista Celotto presentando il suo romanzo Fondata sul lavoro: «Prima modificò il Titolo V per inseguire i leghisti.

Ora lo ha fatto con il taglio dei parlamentari per inseguire i grillini». «Lo avete fatto voi», ha detto Letta ai compagni di partito dopo lo scontro sulle liste. Vuol dire che il segretario del Pd è contrario alla riforma?