Il Messaggero, 18 agosto 2022
Intervista a Beppe Fiorello
In questi giorni, nell’irriconoscibile Roma svuotata, Beppe Fiorello va in giro alla ricerca dei luoghi che hanno fatto da sfondo ai film del passato: Io la conoscevo bene, Mamma Roma, Accattone...«Che nostalgia per quel grande cinema», sospira, «lo studio senza sosta». Ora, a 53 anni, alle spalle tanti successi da attore nelle serie spacca-ascolti come Salvo d’Acquisto, Giuseppe Moscati, Volare (faceva Domenico Modugno), I fantasmi di Portopalo, Beppe, fratello minore dello showman Rosario ma capace prestissimo di volare con le proprie ali, ha deciso di colmare la lacuna: ha debuttato nella regia con il film Stranizza d’amuri, ambientato nella sua Sicilia, titolo rubato a un brano di Franco Battiato. Racconta un fatto di cronaca: l’omicidio di due adolescenti gay avvenuto a Giarre, Catania, nel 1980 e rimasto impunito. Ma subito dopo quella tragedia nacque l’Arcigay (all’inizio si chiamava Fuori) per proteggere i diritti degli omosessuali. Prodotto da Ibla e RaiCinema con la partecipazione di Fenix Entertainement, il film è interpretato dai debuttanti Samuele Segreto, 18, e Gabriele Pizzurro, 17, accanto a Simona Malato, Enrico Roccaforte, Fabrizia Sacchi. Già venduto in mezzo mondo, uscirà nel 2023 con Bim, anticipa Fiorello al Messaggero.
Stato d’animo?
«Sono felice, ancora molto coinvolto. Il film è davvero poetico e io non smetto di ritoccarlo, nemmeno fossi Leonardo che contempla senza fine la sua Ultima cena».
Chi glielo ha fatto fare di buttarsi nella regia?
«Delle forti spinte emotive: la necessità di raccontare una storia di odio e pregiudizi, sentimenti ancora tragicamente attualissimi, la voglia di conoscere meglio la vicenda di quei due ragazzi che volevano solo essere liberi di amarsi, il desiderio di partecipare al cinema italiano di Serie A di cui, sia detto senza polemiche, non ho avuto l’onore di far parte fino in fondo. Avrei voluto dare di più».
Non le hanno perdonato il successo in tv?
«Un po’ è andata così, ma non mi lamento. Ho lavorato con grandi registi come Tornatore, Crialese, Winspeare, Torre e in fondo il cinema che piace a me l’ho fatto in tv interpretando storie di impegno e denuncia. Ora la regia rappresenta la mia seconda vita nel cinema. In attesa di tornare in tv con una bellissima serie, ancora top secret, ho già pronto un nuovo film dietro la cinepresa: una storia di lupara bianca nella Sicilia degli Anni ’70».
Stranizza d’amuri parla di pregiudizi: lei ne ha subìti?
«Sì, i più netti riguardavano il fatto di essere il fratello di Rosario: qualcuno pensava che avessi fatto l’attore approfittando del suo successo... Ma questo preconcetto mi ha corazzato, ha forgiato il mio carattere. Il debutto nella regia ha infatti richiesto coraggio».
Rosario ha visto il suo film?
«No, ma non l’ha visto ancora nessuno».
Quando ha capito di avercela fatta, di avere una sua identità inattaccabile?
«Nel mio mestiere, che oscilla tra successi e baratri, non senti mai di essere arrivato. Ma una cosa l’ho capita: fare la regia mi si addice perché ho uno spirito aggregatore, amo creare squadre di persone intorno ad un progetto».
Le è dispiaciuto venire attaccato quando, un mese fa, ha fatto il madrino al Gay Pride di Palermo?
«Sono felice di aver deluso qualcuno. Certi pregiudizi erano forse compensibili 50-60 anni fa quando la società si stava evolvendo. Oggi sono inaccettabili».
Perché il suo film è dedicato a Battiato?
«È il mio idolo. La sua canzone racconta un amore impossibile al tempo di guerra e anche i due gay uccisi hanno vissuto una guerra. Un giorno, alle 5 del mattino, passeggiando sulla spiaggia di Donna Lucata nella mia Sicilia, incontrai Battiato. Con un filo di voce lo apostrofai: Maestro!. E lui mi offrì un caffé a casa sua. La sua musica è la colonna sonora della mia vita».