Corriere della Sera, 17 agosto 2022
Gli italiani migliori dei partiti
Si direbbe che l’Italia proceda a due velocità in quest’estate elettorale: gli aventi diritto al voto dimostrano di saper leggere la realtà meglio di coloro che si candidano a essere votati. Per capire come ciò sia possibile basta seguire le mosse degli uni e degli altri, passo dopo passo, in rapporto al contesto europeo che il Paese è oggi chiamato ad interpretare.
Gli italiani nelle città, nei distretti produttivi e persino nei luoghi di vacanza stanno dimostrando una capacità di adattamento e reazione ai grandi choc che è passata ingiustamente sotto silenzio. Oggi molto di quel che accade in Europa arriva in Italia condensato in un numero: il prezzo del gas – principale fonte di energia nel Paese – che ieri è arrivato a costare quasi dodici volte i livelli ritenuti normali fino a poco tempo fa, un mai visto prima. Quanto a questo, l’Italia è fra i Paesi che negli ultimi mesi ha prodotto le risposte più convincenti e non solo per la capacità del governo di Mario Draghi di assicurare un riempimento degli stoccaggi più rapido che in gran parte dell’Unione europea. Anche le famiglie, i lavoratori autonomi, gli imprenditori e i loro dipendenti stanno facendo la loro parte.
N on si spiega altrimenti perché in luglio l’Italia, senza misure vincolanti del governo, sia riuscita a ridurre i consumi di gas di quasi il 30% rispetto a un anno fa: più di Germania, Francia, Spagna e molto più della media europea. Soprattutto è notevole che lo abbia fatto con una flessione di appena 1,2% della produzione industriale, segno che gli italiani si sono adattati a fare (quasi) altrettanto con molto meno. Lavorano di notte per tenere spenta l’aria condizionata nel capannone, magari. Ma hanno capito la situazione e aggiornato i loro software rapidamente.
Già, e i partiti? Non è altrettanto chiaro che si stiano mettendo al passo. Sarebbe facile misurarli dalla riproposizione un po’ stanca dei soliti cavalli di battaglia, dalla «flat tax» alla dote per i giovani, fino all’intramontabile passione grillina per bonus e sussidi. Prendiamo invece un criterio preciso: come si pongono rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) le due grandi coalizioni che si candidano a governare il Paese? In fondo si tratta della grande scommessa europea di questi anni e naturalmente sul Recovery entrambe sono pronte a giurare, ingolosite dalla prospettiva di gestire gli oltre 200 miliardi. Eppure, non appena si cerca dietro la facciata del grande consenso bipartisan per l’Europa, si presenta un reticolo di incoerenze e ambiguità. Le si riscontrano nei silenzi sulla spending review prevista con il Piano di ripresa, così come nell’azione dei partiti in questi ultimi mesi o nei programmi diffusi fino ad ora, spesso privi di cifre.
Ci sono casi in cui entrambi i grandi schieramenti si sono messi di traverso, in queste settimane, rispetto allo spirito o alla lettera del Pnrr. Il 2 agosto il disegno di legge sulla Concorrenza – una pietra miliare delle riforme del Recovery – è stato approvato in Parlamento monco di uno dei passaggi importanti proposti dal governo: l’obbligo per gli enti locali di giustificare prima all’Antitrust qualunque decisione di affidare senza gara un contratto di servizio a una società da esso controllata. Quell’idea serviva a far sì che aziende private capaci, intraprendenti e magari nuove – estranee alle reti clientelari – avessero almeno una chance di poter competere per offrire ai cittadini una raccolta dei rifiuti o delle mense scolastiche migliori e a costi più bassi. Sarebbe stata una svolta per centinaia di sistemi economici locali, in linea con le riforme richieste dal Pnrr. Ma la proposta è stata depennata da centrodestra e centrosinistra, entrambi felici di poter continuare a gestire il loro potere amministrativo nel vecchio modo.
Un altro esempio di postura ortogonale al Recovery da parte di tutti, ma proprio tutti (terzo polo incluso), lo si è avuto il 9 agosto. Il Parlamento ha approvato la riforma della giustizia tributaria che dovrebbe rendere più rapide e certe nell’esito le liti con il fisco. Ma lo ha fatto insieme – o grazie – all’introduzione di una sanatoria, pur parziale, delle decine di migliaia di contestazioni oggi aperte in Corte di Cassazione: basta che l’Agenzia delle Entrate abbia perso una sola volta su un singolo punto delle contestazioni in qualche grado di giudizio e si potrà liquidare il tutto a un quinto del costo. Emblematico poi che si siano tenute fuori dalla sanatoria le questioni europee – dogane, Iva, aiuti di Stato – perché lì Bruxelles si sarebbe messa di traverso. Tutto questo cedere alla tentazione dei colpi di spugna è incoerente con l’obiettivo del Pnrr di ridurre l’enorme evasione italiana. Lo è ancora di più l’idea proposta dal centrodestra della «pace fiscale», eufemismo per indicare un ritorno alla stagione dei condoni. Con il Recovery, l’Italia è impegnata a ridurre l’incidenza dell’evasione del 3% entro un paio di anni: ma perché i cittadini dovrebbero prendere sul serio la legge e il fisco, se sanno che poi comunque tutto si aggiusta?
Disarmante poi la rivolta dei sindacati contro la figura del «docente esperto» prevista dal Pnrr, cioè la possibilità di dare un aumento sostanzioso a ottomila insegnanti l’anno che affrontino un rigoroso percorso di aggiornamento. È una delle chiavi del Recovery per trasformare in meglio la scuola italiana, ma su questo è il Pd che tace e omette il suo appoggio.
Così le forze che si candidano a guidare gli italiani sembrano rinunciare in partenza a parlare ai loro spiriti migliori. Offrono devozione a parole all’Europa e al Pnrr, ma non cultura del merito, concorrenza, educazione al rispetto della legge e delle tasse. Non a caso il 40% degli elettori – cifra record – non vuole votare o non sa per chi farlo: in quest’estate elettorale, i partiti stanno sottovalutando gli italiani.