La Stampa, 17 agosto 2022
Intervista a Max Giusti
In questo momento la cosa che lo fa più contento è avvertire l’affetto delle persone: «Succede che mi fermino per strada, che mi tocchino, magari senza nemmeno chiedermi un selfie, solo con la voglia di parlare. È una popolarità bella, e io me la tengo stretta». Nel nuovo capitolo della saga dei Minions, (Come Gru diventa cattivissimo da domani nelle sale con Universal) regala la voce, tra mille virtuosismi, al più noto super cattivo del mondo, sul palcoscenico del teatro Sistina, nella prossima stagione, sarà il Marchese del Grillo, eppure tutto quello che racconta, dalla sua infanzia ai primi successi in tv, restituisce un’impressione di semplicità cristallina, di autentica bonomia: «Adoro essere intervistato - confessa Max Giusti, (era stato ospite del Taormina Film Festival per il lancio del film) -, per anni sono stato io a intervistare gli altri, quando facevo Super Max a Radio 2, e a furia di chiedere cose alle persone, mi veniva da pensare "ma perché non c’è nessuno che chiede qualcosa a me? Adesso mi godo il mio momento, so che questo è un mestiere bellissimo, che ti fa correre, non sai nemmeno bene verso dove, e che non ti offre certezze, oggi mi sento più maturo, per un attore superare i 50 anni è importante, è il momento in cui realizzi gli errori, le cose belle, le cose mediocri, capisci come dosarti. L’unica cosa che non impari mai è smettere di sognare, come si fa a difendersi dai propri sogni?».
Il film racconta l’infanzia di Gru, i traumi e le amicizie che lo hanno segnato. La sua come è stata?
«Sono nato nel ’68 in via del Trullo 190, una borgata romana, vivevamo in un palazzo abitato da gente che veniva dalle più diverse parti d’Italia. La sera ognuno cucinava qualcosa, c’era un andirivieni di piatti e di signore che chiedevano ad altre di assaggiare le specialità del paese di provenienza. Era impossibile dire di no. Mia nonna rimproverava mia zia Daniela perché leggeva Lancio e passava la notte a girare i colli delle camicie perché non c’erano soldi per comprarle nuove. Poi, negli Anni 70, è arrivata l’austerity, di domenica si usciva in auto a targhe alterne, oppure in autobus. Noi lo prendevamo per andare al cinema, ricordo benissimo quando ho visto Pasqualino Settebellezze, c’erano un sacco di donne nude, ho avuto delle reazioni, ho capito che qualcosa mi piaceva, ma non sapevo bene perché. Forse tra qualche anno, con la demenza senile, mi succederà la stessa cosa».
Qual è stato l’insegnamento più importante che ha ricevuto dalla sua famiglia?
«In quegli anni i miei genitori cercavano il riscatto sociale, volevano costruire una vita migliore per noi, i valori fondamentali che i miei mi hanno insegnato sono il rispetto e la dignità».
C’è stato, per lei, un primo incontro artistico che ha lasciato il segno?
«Ho avuto la fortuna di fare due spettacoli con Gabriella Ferri, non ho mai incontrato un’altra artista che mi desse le stesse vibrazioni. Certe sere la vedevo arrivare stanca, spossata, magari anche non concentrata, poi saliva sul palcoscenico e si lasciava andare completamente, dava l’anima, sempre, in tutto quello che faceva. Dal punto di vista del lavoro la persona più importante per la mia carriera è stata Pietro Garinei, il primo che ha creduto in me, è venuto a vedermi in un teatro di Roma dove facevo uno spettacolo che proponeva la parodia del Grande fratello. Mi prese per Aggiungi un posto a tavola».
C’è stato, nella sua vita, un punto di svolta basilare?
«È successo mentre giravo la serie tv Raccontami, negli studi della De Paolis a Roma. Un giorno mi hanno fermato e mi hanno chiesto se volevo fare un provino per Affari tuoi. Ne avevo già fatto uno tre anni prima e alla fine mi avevano scartato, ci ero rimasto malissimo, e non volevo ripetere l’esperienza, prima ho detto di no, poi ho deciso di accettare e quella volta mi hanno preso. Da allora è cambiato tutto, il programma faceva 76 milioni di contatti a settimana, l’ho condotto per cinque anni di seguito, quasi 900 puntate».
È il doppiatore di Gru, come si è avvicinato al personaggio?
«Gru è una figura piena di sfaccettature, è cattivo, ma ha anche bisogno di essere accettato. Non sono mai stato un bello, ho avuto sempre qualche chilo in più e mi sono sentito ingombrante, la ragazza del terzo banco bionda con gli occhi azzurri che piaceva a tutti non mi ha mai guardato… ecco posso dire che con Gru ho in comune il bisogno di accettazione che, in fondo, è la ragione per cui sono salito su un palcoscenico a 16 anni. Anche adesso, se faccio un "live", ho sempre bisogno di una persona cara che mi venga a vedere, di qualcuno con cui poter dire "guarda, hai visto che ho fatto?", basta un piccolo sguardo di sufficienza per mettermi in crisi e farmi chiedere "in che cosa ho sbagliato?"».
In questo film Gru diventa cattivissimo. Per arrivare, nel suo mestiere, serve essere cattivi almeno un po’?
«Serve grinta, serve preparazione. In giro ci sono tanti attori e conduttori bravissimi, in questi anni non li ho mai guardati con malizia, se uno arriva è perché ha delle doti. Il mio segreto? Sapere che il mondo dello spettacolo può fare benissimo a meno di me, la differenza è che io faccio di tutto per far sì che questo non accada. No, la cattiveria non serve, se la usi ti torna indietro e poi non ti puoi più specchiare».