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 2022  agosto 17 Mercoledì calendario

Le elezioni come ufficio di collocamento

«Tengo famiglia». Un dato di fatto, un tratto antropologico (di lunga durata), un tema politico a tutti gli effetti (sfociante spesso nel malcostume). La “questione parentale” in Italia è un prisma con tante facce, e – tramontata la società cetuale – riaffiora immancabilmente sotto le vesti delle varie Parentopoli. Il Sud Europa, si sa, è la culla delle tribù, dei clan e del familismo, tendenzialmente amorale (per citare la celebre, e un po’ datata, formula di Edward Banfield), che può farsi pure disinvoltamente e direttamente immorale. La nostra è una delle nazioni che vanno più agevolmente a nozze con l’antipolitica; e, dunque, talvolta, su questo soggetto si registra pure qualche eccesso di sensibilità, facendo, così, irrompere nel dibattito una certa qual tendenza al savonarolismo e a un’indignazione moraleggiante degna di miglior causa.La candidatura del parente di chi già detiene una carica importante nel mondo politico identifica una prassi assai diffusa anche stavolta, alla vigilia delle elezioni del 25 settembre. Un autentico partito trasversale, dove non esiste colore od orientamento “ideologico” che tenga al punto di immunizzare rispetto alla pratica (o alla “tentazione"). E non c’è neppure tematica di genere che faccia davvero la differenza, dal momento che nelle liste dei vari partiti trovano spazio “mogli/compagne di” come pure “mariti/compagni di” e “figli/figlie di” (e i rumors dei palazzi romani insinuano anche “amanti – di ogni sesso – di”, ma ci fermiamo qui perché la “calunnia è un venticello” e qui ci sforziamo, invece, di fare analisi). E lo diciamo proprio per introdurre un po’ di “political correctness” in un contesto molto scivoloso, nel quale basta poco per travalicare la cronaca o la critica ed entrare nelle paludi della misoginia e del sessismo.Scorrendo i nomi che scenderanno nell’agone delle politiche 2022, da giorni tiene banco una polemica sulla presenza di Michela Di Biase (moglie di Dario Franceschini) e di Elisabetta Piccolotti (moglie di Nicola Fratoianni). Una querelle che trova alimento anche nel centrosinistra, dove le esclusioni dal posto in lista o la corsa obbligata in collegi che si presentano come mission impossible – specie alla luce dei timori crescenti di una valanga neroverdeblu di destra nelle urne – rendono gli animi assai esacerbati. Il giudizio di tanti oscilla così vorticosamente, arrestando le sue lancette sull’epochè, fra l’idea che la candidatura costituisca il corretto riconoscimento di una militanza di lungo periodo (che precede l’incontro con il leader e il passaggio alla condizione di compagna di vita) e la domanda se le valutazioni di opportunità non suggerissero comunque agli eredi della sinistra della “questione morale” di operare scelte differenti.Ma poi, a relativizzare, come sempre in Italia, c’è giustappunto la constatazione del “così fan tutti”. Nella Lega si leva, infatti, qualche voce di protesta – senza esagerare, trattandosi dell’ultimo partito “lenin-stalinista” – perché un collegio sicuro è stato assegnato ad Andrea Barabotti, che del Carroccio è attivista effettivamente da tanto tempo, ma di cui non si può non notare anche il fatto che si tratta del compagno della pasionaria salviniana Susanna Ceccardi, l’europarlamentare già protagonista del tentativo (fallito) dell’assalto al “palazzo d’Inverno” della Regione Toscana. E che dire delle parlamentarie del Movimento 5 Stelle, convertitesi nuovamente in una sorta di “familiarie”, nelle quali si sono messi in lizza numerosi parenti di chi già ricopre un ruolo, da Davide Buffagni (fratello di Stefano) a Samuele Sorial (fratello dell’ex deputato Giorgio), da Ergys Haxhiu (compagno della ministra uscente Fabiana Dadone) a Paolo Trenta (fratello dell’ex ministra Elisabetta)? E, ancora, last but not least, si deve citare il capogruppo alla Camera di Fdi Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni, e pilastro di un inner circle dove i connotati endogamici si spiegano anche con la natura di “polo escluso” della destra postmissina, e con la sindrome di accerchiamento che i suoi dirigenti, oggi pronti a espugnare per la prima volta palazzo Chigi, hanno vissuto in maniera particolarmente sentita.In alcuni di questi casi – e, paradossalmente, soprattutto da parte di alcune forze di ascendenza populista che avevano tuonato contro il professionismo politico – agisce l’istinto “umano troppo umano” di utilizzare le elezioni come un ufficio di collocamento, ancor più nello spaventevole orizzonte di destino della jobless society. In altri ancora gioca la concezione di una blindatura del potere per consanguineità, garanzia della sua tenuta e dell’osservanza fedele delle decisioni. L’impressione è, così, quella di politiche familiari che rischiano di fare rima con quelle dinastiche “di antico regime”. E, allora, bisognerebbe tenere anche a mente che le società democratiche sono quelle dove il merito dovrebbe prevalere sul retaggio e il lignaggio “di sangue”. Specialmente quando il consenso e la legittimazione generale calano, e il numero degli astensionisti aumenta.