Corriere della Sera, 17 agosto 2022
Lo sfogo di De Sica: «Sui social è pieno di cafoni»
«Ma certe persone non si so’ rotte le p... di pubblicare quello che mangiano, mentre ballano abbracciati e poi si odiano, le panoramiche delle discoteche tutte uguali, i tuffi dai motoscafi di lusso comprati facendo i buffi (in romanesco: i debiti, ndr)?».
Se lo è chiesto Christian De Sica su Instagram: uno «sfoghetto momentaneo», per dirlo alla sua maniera; in piena estate, e con le bacheche in effetti traboccanti di selfie di ogni genere. E subito è scoppiata la polemica. Specie per la chiosa del post.
«E basta – ha infatti aggiunto l’attore —. Ma possibile essere diventati così cafoni?». Domanda legittima, per carità; ma che rilanciata da quello che è stato il re dei cinepanettoni (insieme a Massimo Boldi, che qui non si vuole togliere niente a nessuno), e prima ancora di una certa disincantata commedia italiana, ha naturalmente sollecitato qualche interrogativo.
Ma come, tu quoque?
In rete, c’è chi apprezza e si fa una risata; c’è chi invece bacchetta. I tuffi dai motoscafi? Ecco qualcuno ci rivede Sapore di mare, 1983, (e il Felicino Carraro interpretato proprio dal Christian nazionale). E i motoscafi di lusso? Ecco Natale a Miami, anno 2005, con le disavventure di Giorgio Bassi, alias sempre il nostro De Sica. Insomma, quello sfogo, sembra già una trama, così autonoma e così completa... Però. Però è anche vero che naturalmente l’attore non è il personaggio che interpreta. E Christian lo abbiamo conosciuto: sempre elegante e distinto; sempre, e pur sempre, il figlio del grande Vittorio.
E per altro lo stesso De Sica, che è personaggio assolutamente complesso e poliedrico (presentatore e cantante; ma anche attore drammatico, come nell’esperienza del 2009 in Il figlio più piccolo), parlando dei suoi ruoli interpretati nei cinepanettoni, è sempre stato chiaro: «Faccio personaggi palazzinari, misogini, che straparlano, ma io non sono quei personaggi. Per far ridere devi rappresentare il demonio, San Francesco e Padre Pio non fanno ridere. A volte ci siamo spinti un po’ troppo, questo a tratti è terrificante, però le parolacce le chiama il dialetto. L’intellighenzia e i teorici del cinema non possono parlare bene di questa roba, hanno fatto l’esegesi di Bergman per anni, come potrebbero? Quindi non dovrebbero parlarne. Questi panini si devono vendere e se si vendono non fanno male, fanno audience. E magari fanno anche da volano per gli altri film, per la macchina del cinema». Insomma, uno «sfoghetto». Che magari era solo nostalgia...