https://www.indygesto.com/dossier/10129-lasciate-stare-michele-bianchi, 15 agosto 2022
Su Michele Bianchi
Una sezione dell’Anpi calabrese lancia una proposta bizzarra: trasformare il mausoleo funebre dedicato al quadrumviro fascista morto nel 1930 in un “Museo” antifascista. «Meglio convertire le statue che abbatterle», argomentano. Ma la violenza alla storia contenuta nella richiesta dei “partigiani” rischia di diventare un’offesa gravissima alla memoria…
Il primo errore è nel titolo: Statua fascista da riconvertire. In realtà, come si apprende dall’articolo di Stefania Sapienza apparso su Il Quotidiano del Sud del 5 luglio 2020, il target polemico è il mausoleo funebre dedicato Michele Bianchi, una bella torre bianca che svetta sul Colle Vastia di Belmonte Calabro, un borgo bellissimo della costa tirrenica cosentina.
Il quadrumviro Michele BianchiTutti gli altri errori, non pochissimi, sono contenuti nell’articolo della Sapienza, che riporta un comunicato con cui la sezione Antonio Gramsci dell’Anpi chiede al sindaco di Belmonte la «riconversione» del mausoleo dedicato al quadrumviro fascista in «un Museo delle lotte contadine, dei tanti confinati che i fascisti mandarono in Calabria e dei morti per mano fascista avvenuti partendo dalla dall’uccisione di Paolo Cappello a Cosenza».
Già, spiegano i neo-antifascisti, che tentano con questa proposta di riallacciarsi a modo loro all’ondata iconoclasta di Black Lives Matter: meglio riconvertire le statue che imbrattarle o buttarle a mare.
Siamo davvero sicuri che le cose stiano così? Evidentemente, gli autori del comunicato non conoscono molto bene la differenza tra ornamento e monumento.
Il primo è di solito un oggetto che serve a decorare un ambiente (o un paesaggio) sulla base di criteri estetici.
Il secondo, invece, ha a che fare con la memoria. Un monumento può essere persino bruttissimo (e la monumentaria spesso abbonda di obbrobri, come ricordano ad abundantiam gli scampoli di socialismo reale sopravvissuti negli arredi urbani dell’Europa orientale), proprio perché la sua funzione non è l’abbellimento ma il ricordo: di un personaggio, di un evento di una cosa.
Michele Bianchi (il primo a sinistra nella foto) durante la Marcia su RomaDunque: il mausoleo funebre dedicato a Michele Bianchi fu eretto per ricordare il Michele Bianchi fascista e uomo di Stato. La sua funzione è questa e la riconversione è impossibile, pena la rimozione del personaggio e della sua storia.
Perciò è inaccettabile – a livello culturale – l’ulteriore proposta della sezione Gramsci: «Se lei è d’accordo, noi come Anpi locale e nazionale, possiamo fornirle, oltre i libri, storici studiosi dell’Università della Calabria per la ricostruzione storica degli eventi con foto e documenti ed esperti dell’arte museale per rimodulare tale mausoleo, visitato, oggi, solo da qualche nostalgico fascista e che invece potrebbe diventare luogo delle visite che rivitalizzerebbero un paese come Belmonte Calabro togliendogli la cappa e il marchio che purtroppo si porta da decenni».
Inutile dire che la proposta contiene, neanche troppo tra le righe, un abuso pubblico della storia.
Che lo scopo sia questo, lo rivelano altri due passaggi del comunicato.
Ecco il primo: «Potremmo far confluire centinaia di testi sul fascismo costituendo, quindi, una biblioteca dell’antifascismo».
Ecco il secondo: «Due visibili iscritti al Pnf assassinarono l’eroe Giacomo Matteotti proprio durante la segreteria di Michele Bianchi».
Un bellissimo scorcio panoramico di Belmonte CalabroUna struttura museale con annessa biblioteca dedicata a Bianchi sarebbe una buona proposta. Ma dovrebbe essere realizzata da un comitato scientifico selezionato con tutti i crismi, a partire dall’imparzialità, che di sicuro in questo caso non è una virtù dell’Anpi: la storia è storia, non è antifascismo.
Perciò chiedere a storici professionisti di creare una biblioteca sull’antifascismo, come ha fatto la sezione Gramsci, significa chiedere loro di non fare il proprio mestiere.
Il secondo passaggio è la classica illazione buttata lì per dire che, poiché fascista, Bianchi era anche un cattivone.
In questo caso, dall’abuso si sconfina nell’ignoranza.
Michele Bianchi fu un personaggio di enorme complessità: già socialista (e in tale veste sodale di Arturo Labriola, redattore dell’Avanti! e fondatore di varie testate), sindacalista rivoluzionario e massone dichiarato di Piazza del Gesù, appartenne a quella generazione di passaggio del movimento operaio che anticipò il fascismo, contribuì a fondarlo o, più semplicemente, vi confluì non senza un serio travaglio ideologico.
In tutto ciò, Bianchi era, come suole dirsi, in buona compagnia: i fratelli Alceste e Amilcare De Ambris, Edmondo Rossoni e Filippo Corridoni. In pratica, quanto di più avanzato il mondo sindacale italiano potesse offrire all’epoca.
Di nero, Bianchi aveva solo la camicia, perché la sua politica di sviluppo della Calabria fu piuttosto rossa e anticipò la successiva politica lanciata dal centrosinistra nel dopoguerra: l’uso delle opere pubbliche come volano di sviluppo, il disegno razionale del territorio (l’idea della grande Cosenza, su cui si sprecano tanti fiumi di retorica nel capoluogo calabrese fu sua) e il potenziamento delle risorse ambientali (si pensi ai lavori imponenti avviati e realizzati in Sila).
L’articolo de Il Quotidiano del Sud con la richiesta dell’AnpiSe si volesse davvero tracciare un parallelo tra Michele Bianchi e la successiva classe di governo antifascista, si potrebbe fare un nome illustre: Giacomo Mancini, anch’egli non a caso ministro dei Lavori pubblici.
Significherebbe dire che Mancini, sotto sotto era fascista? Falso. Oppure che Bianchi era ancora socialista? Non del tutto vero.
Significa, più semplicemente, che la storia non è fatta solo da faglie, come quella fascismo-antifascismo, ma presenta anche continuità, a volte prevalenti.
Una di queste continuità la colse Pietro Ingrao – del cui antifascismo non si può dubitare – il quale scrisse nella sua autobiografia Volevo la luna: «Cosenza, che Michele Bianchi ha voluto bella». Il complimento all’urbanista, in un momento storico in cui gli urbanisti sarebbero diventati protagonisti della ricostruzione del Paese, superava l’avversione nei confronti del fascista.
Evidentemente, gli antifascisti di ieri, che rischiavano la pelle contro un fascismo vivo e pericoloso, erano migliori degli antifascisti di oggi, che blaterano contro i fantasmi,
Certo, è gravissimo che il monumento a Michele Bianchi non sia valorizzato a dovere e sia, quasi con cadenza annuale, il teatro delle carnevalate di alcuni ragazzotti con cappellano lefebvriano al seguito.
Ma sarebbe altrettanto grave l’accoglimento della proposta dell’Anpi, tanto più che non esiste tuttora una seria monografia scientifica su Michele Bianchi. E di sicuro tali non possono essere considerati i saggi dedicati ad argomenti vari (il sindacalismo, il nazionalismo e il fascismo di periferia) in cui si parla anche di Bianchi, la memorialistica degli eredi del quadrumviro o, peggio ancora, il libello fazioso, velenoso e datato di Enzo Misefari (Il quadrumviro col frustino), raro esempio di paccottiglia vintage di certa sinistra anni ’70.
La copertina del libello di MisefariMichele Bianchi non fu una di quelle glorie locali di cui si riempiono la bocca molti amministratori di provincia. Fu un personaggio di primissima grandezza, un punto di congiunzione tra la Calabria e la grande storia. Lo stesso, prima di lui, si può dire, ad esempio, del cardinale Ruffo, il protagonista dell’insorgenza antigiacobina nel Regno di Napoli: il fatto che egli abbia represso nel sangue la Rivoluzione Napoletana non toglie una virgola alla complessità di un personaggio tutto da approfondire.
E considerazioni simili possono valere per il già menzionato Mancini e per il superbig democristiano Riccardo Misasi.
Alla luce di tutto questo, emerge un’altra scorrettezza nella proposta della sezione Gramsci: l’arruolamento degli studiosi dell’Unical per un’operazione politica di parte, che risulta speculare alle carnevalate neofasciste.
Un’altra immagine d’epoca di Michele BianchiInfatti, prima di chiedere certe cose, ci si dovrebbe ricordare che l’Unical, come tutte le istituzioni di alta cultura, è finanziata con i quattrini di tutti per produrre conoscenza e non polemica. E tantomeno propaganda.
La stessa cosa vale per gli amministratori, specie quelli degli enti locali, a cui tocca l’onere (e l’onore) della custodia di simboli collettivi la cui portata va ben oltre le loro comunità: certi monumenti sono dei collegamenti tra i loro territori e il mondo, perciò è il caso di evitarne l’uso (e, si ripete, l’abuso) politico o la svalutazione: fa impressione lo spettacolo del mausoleo di Michele Bianchi pieno di nostalgici del nulla, anche per motivi anagrafici; ne farebbe altrettanta l’idea del mausoleo strumentalizzato per condannare acriticamente la personalità a cui si ispira.
Il peggio, però, sarebbe vedere il mausoleo, piccola traccia della grande storia, ridotto a location di sagre della polpetta o del pomodoro (a proposito: quello di Belmonte è una prelibatezza) e altre amenità gastro-campaniliste.
L’unica salvezza è la storia, che paghiamo tutti – anche inconsapevolmente e controvoglia – con le nostre tasse. È chiedere troppo che l’Anpi o chi per esso rinunci alla chincaglieria e faccia proposte serie?