Corriere della Sera, 14 agosto 2022
La rincorsa spasmodica di Lotito a un seggio
Dice Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc, tifosissimo della Lazio, che se dipendesse da lui un posto in lista per il presidente Claudio Lotito ci sarebbe di sicuro: «Io lo candiderei, se potessi». Ma ci sono dei problemi e anche Cesa non ha più grande voce in capitolo nelle faccende del centrodestra. Lo stesso Lotito, al telefono da Cortina, lo ammette: «Quanto manca alla chiusura delle liste? Si chiude il 21 agosto, giusto? E allora posso dire tranquillamente che non corro, se non mi fanno correre. Ma io non sono in spasmodica attesa...». Le cronache degli ultimi 4 anni, però, raccontano una storia diversa. E cioè che quel seggio Lotito l’ha spasmodicamente rincorso. Prima ha chiesto (e ottenuto) una candidatura al Senato con Forza Italia nel 2018, poi – dopo la mancata elezione – ha ingaggiato una dura e lunga battaglia di ricorsi con il Senato, reclamando il posto assegnato a Vincenzo Carbone (ex FI, poi passato a Italia viva e ora rientrato con gli azzurri) in ragione di un presunto errore di calcolo. La Giunta per le elezioni gli diede ragione, l’Aula lo rimandò alla Giunta, la Giunta alla fine gli ha dato ragione di nuovo, poi però tutto si è fermato. «Dunque – sospira il presidente – una ricandidatura adesso me l’aspetterei, un giorno qualcuno prese anche l’impegno». Racconta, però, che finora nessuno l’ha chiamato: né Berlusconi, né Salvini, né la Meloni. Lui motteggia: «Come si dice? Dove non può il Re, può il Fante». Neppure Lotito però ha chiamato Arcore: «Neanche mi risponderebbero. Eppoi lo sanno chi sono».
Qual è dunque il problema? «Queste sono elezioni complicate – dice il presidente della Lazio —. C’è stata una significativa contrazione dei posti a disposizione, perciò vige il principio: mors tua vita mea. Io dopotutto sono un esterno, rappresento l’intruso...». Eppure c’è chi ha scritto che in queste ore il presidente non si limiti affatto a contemplare le Dolomiti dalla finestra, ma anzi si stia dando molto da fare, a suon di telefonate con Roma, pressioni sugli amici, sfuriate. E addirittura avrebbe offerto Francesco Acerbi, prestigioso difensore della Lazio e della Nazionale, al Monza di Galliani e Berlusconi, in cambio della candidatura nelle liste di Forza Italia. Seggio di scambio.
«Io non ho mai barattato niente con nessuno. Ho già dato ai miei legali il mandato per una denuncia penale e civile. Noi trattavamo la cessione di Acerbi quando c’era ancora il governo Draghi e poi il nostro giocatore non ha mai sposato l’idea di andare al Monza». Capitolo chiuso? «No, perché questa è una manovra per rendermi ancora più antipatico e quindi stoppare sul nascere ogni idea di candidatura. Cosa si dice, in fondo, di me? Lotito non lo votano i romanisti e manco i laziali. E invece non è vero. Ma che io non sia così ben accetto dentro il Palazzo non è un mistero...».
Forse però non è del tutto vero, se per consentirgli di ottenere quel seggio al quale sembra tenere come a uno scudetto all’epoca votarono per lui con il centrodestra anche 7 senatori del Pd («Pur di toglierne uno a Italia viva», lamentò Renzi). E così, dopo 4 anni e tanti soldi spesi (nonostante il soprannome di «Lotirchio», per conquistare quel posto da senatore pagò le consulenze di illustri giuristi: Federico Tedeschini, Giovanni Maria Flick, Cesare Mirabelli, Massimo Luciani), oggi Lotito è lì che aspetta una telefonata: «Io sono un uomo di fede e dico sempre che non si può andare in Paradiso a dispetto dei santi. Aspetterò il 21 agosto in religioso silenzio, poi però tirerò le mie conclusioni. Il Vangelo ci chiede di porgere l’altra guancia, è vero, ma prendere schiaffi non fa piacere».