la Repubblica, 14 agosto 2022
Un saggio su Donna Elvira Notari
Il suo nome è largamente sconosciuto, eppure è stata la prima donna regista del cinema italiano. Elvira Notari è una delle tante figure femminili invisibili del Novecento, scivolate silenziosamente nel retropalco della storia. Fu tante cose: attrice, sceneggiatrice, scrittrice, soggettista, film maker, anche grafica e pubblicitaria, segretaria e addetta commerciale, protagonista di un piccolo miracolo imprenditoriale nella Napoli giolittiana. Ma dei suoi documentari oggi non è rimasta traccia. E c’è voluta tutta la tenacia d’una giornalista, Flavia Amabile, perché venisse restituito a Elvira non tanto il suo posto nel mondo – indagato in questi anni da saggi specialistici – ma lasua voce irregolare, i suoi sentimenti irrequieti, l’insoddisfazione di moglie e di madre che sfida pregiudizi e abitudini consolidate (Elvira, Einaudi Stile Libero).
L’Elvira amorevolmente romanzata nel libro di Amabile non è solo la donna ribelle che si fa largo con grande fatica in un mondo maschile che non la vede, la evita e la giudica, perché questo è il destino delle pioniere di ogni tempo. Elvira è anche la compagna inquieta di Nicola, l’unico nome ufficiale della ditta famigliare. Ed è la madre che s’ammutina, la puerpera che alla fine della terza gravidanza – dopo Eduardo e Dora – sceglie di mandare la figlia Maria in un istituto di suore, scelta che ne colorerà il destino con l’ombra del tormento e della colpa. Il suo sogno era stato creare un’azienda che fosse anche una famiglia, uno splendido film in cui tutti potessero avere una parte. Ma la vita è imperfetta. E alla fine Elvira non può che prenderne atto, assecondando la sua sorte di donna libera e perdente, come liberi e perdenti erano stati molti dei suoi personaggi femminili. Sola, a Cava dei Tirreni, ospite del cugino parroco: l’epilogo ha il sapore della malinconia.
Notari era il cognome del marito, lei si chiamava Coda, figlia di madre sarta e di padre commerciante di tessuti. Una gran testa di ricci, indomiti come la sua indole. La prima volta che s’imbatte nella macchina delle meraviglie è un pomeriggio a Napoli, dove era approdata da ragazzina con la sua famiglia di Salerno. Elvira ha 27 anni e siamo all’alba del Novecento. Un signore dal sorriso irriverente le propone di vedere insieme altri film: è l’inizio di unastoria d’amore e d’azienda che scuoterà una città segnata dalla crisi industriale. Lui è Nicola Notari, un pittore specializzato nella coloritura delle pellicole fotografiche. Insieme avvieranno una casa di produzione cinematografica il cui successo varcherà l’Oceano. Dietro ogni trovata c’è sempre Elvira. Il suo senso pratico, la capacità organizzativa, anche l’azzardo. È lei che scopre tecniche di coloritura più veloci. Ed è sempre Elvira a intuire il potere della pubblicità. Niente la scoraggia. Ma chi l’ha detto che una donna non può scrivere storie e mettersi lei dietro la cinepresa? I vicoli di Napoli, le donne maltrattate, quel popolino di cui quotidianamente respira gli umori. I suoi film cominciano ad avere successo, prima in salette di periferia, poi al Salone Margherita. Infine viaggiano fino a New York, in particolare a Brooklyn, dove il popolo dei migranti l’acclama come custode della loro memoria.
Non c’è evento grande o piccolo della Storia che non veda Elvira in prima linea. Quando Nicola rischia la chiamata alle armi – siamo già alla Grande Guerra – s’inventa un film patriottico che commuove gli alti gradi dell’esercito: meglio lasciare il Notari dietro una cinepresa piuttosto che spedirlo al fronte. E al cospetto delle famiglie inferocite dei suoi adorati scugnizzi, ripresi in pose non proprio edificanti, improvvisa taglieri di pane e provolone a cui non si può resistere. Il suo genio multiforme anticipa i cambiamenti, percepisce il gusto del pubblico, s’oppone alla stupidità dei potenti. Capisce soprattutto che il cinema incanta le donne. E sono le donne a richiedere storie che parlino di loro, delle violenze, degli abusi, delle umiliazioni. E dei diritti acquisiti con il lavoro. Alle sue interpreti chiede naturalezza, il contrario delle dive del cinema muto appese ai tendaggi.
Ma il suo grande sogno è destinato a naufragare sotto il fascismo, che non ammette una rappresentazione del paese distante dall’agiografia e da una cultura patriarcale. Le forbici implacabili del censore inducono i Notari a una resa. Sui sessanta film della Dora Film calerà il silenzio, complice una dittatura abile nelle rimozioni. A Flavia Amabile il merito di averne recuperato la storia, con un buon passo narrativo e cura dell’ambientazione. E con la sensibilità che merita una pioniera che ha sacrificato sé stessa pur di varcare un confine prezioso per tutte le donne.