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 2022  agosto 06 Sabato calendario

Torna il reportage di Norman Mailer su Ali-Foreman

Ali ha lasciato il palazzo, Foreman si è ridicolizzato fra eterni ritorni e bistecchiere, il pugilato sopravvive nell’ombra: chi saprebbe dire entro cinque secondi il nome del campione dei massimi? Tempo scaduto. Mobutu ha fatto check out (l’ho personalmente scortato mentre faceva chemioterapia a Losanna), Kinshasa non è mai più stata il centro del mondo, come accadde alle locali quattro di notte del 30 ottobre 1974. Eppure l’eco della rissa nella giungla ancora risuona. L’ultima vibrazione è la ripubblicazione del libro che vi dedicò Norman Mailer, con il titolo originale: The Fight. L’articolo determinativo suggerisce che quello sia stato IL combattimento definitivo, così come per molti Italia-Brasile 3 a 2 è stata LA partita, e Borg-McEnroe a Wimbledon 1980 IL match di tennis. Analogamente, quello di Mailer è ritenuto IL Reportaage.
A distanza di tempo possiamo chiederci quanto ci sia di vero, nell’uno e nell’altro caso. Ovviamente la risposta sì alla prima domanda aiuta la seconda: la grandiosità del soggetto non può che favorire quella del racconto. Va ricordato che la “rumble- in- the jungle” fu anche una finalissima tra massimi scrittori. Erano presenti, tra gli altri, Hunter Thompson, come sempre stordito, e George Plimpton, come sempre signorile. Norman Mailer era ritenuto il campione in carica perché, come non manca di ricordare, aveva ricevuto un anticipo record di un milione. Ai due pugili ne andavano cinque, rischiando molto più che una stroncatura. La cintura del vincitore è stata di recente venduta per sei: né l’arte né la fatica valgono un feticcio. Come se la cavò il vecchio Norman? Non male.
Gli si dovesse trovare un avversario per la finalissima toccherebbe aFrank Sinatra ha il raffreddore di Gay Talese, il longform pubblicato daEsquire. Anche Ali aveva il raffreddore, poi andò a combattere e a vincere. Perfino chi ritiene di aver appena subito uno spoiler può leggere questo libro, chi detesta il pugilato, chi pensa che Ali sia stato immaginifico ma arrogante (come Maradona, come Mourinho). Il combattimento, quello avvenuto sul ring, occupa appena 40 delle oltre 250 pagine. Le prime 190 sono dedicate all’attesa. Ed è quella a dare la dimensione dell’evento. Poi i fatti tentarono di pareggiarla, ma è legittimo pensare che qualsiasi altro esito avrebbe comunque decretato che quella era stata The Fight.
Cercando un aggettivo che descriva il racconto di Mailer viene in mente “febbricitante”. Soffre di afa, del rinvio, di vaccini e mali che gli sopravvivono, di eccessi, di alcol in sere tropicali. Gronda sangue, paura, spacconeria. Si affida a riti propiziatori, magie fai da te che inducono l’autore ubriaco a passare per due volte da una camera all’altra aggrappandosi a un divisorio senza ringhiera per vedere se ce la farà: prima lui, poi Ali.
Con l’ingenuità del tempo, che non prevedeva l’autofiction, Mailer si mette tra i personaggi, chiamandosi per nome, con amore e squallore. Si diverte a lanciare metafore come pugni, molte a sfondo sessuale, alcune scatologiche, certune inarrivabili: Foreman «andò giù come un maggiordomo sessantenne grande e grosso che ha appena udito una notizia tragica». Anche lui, come Ali, inizia l’incontro con una serie di “diretti destri”, i colpi più rischiosi. Li sferra descrivendo memorabili personaggi di contorno. Su tutti svetta Bundini, inventore della frase «vola come una farfalla, pungi come un’ape», il gran cerimoniere preso a schiaffi per aver insistito sulla vestaglia sbagliata eppure riconquistato da una frase complice di Ali. Poi Elmo Henderson, all’angolo di Foreman, con la sua nenia «la pulce a sorpresa, vagiù alla terza ripresa». E tutti a sgolarsi con quel ritornello Boma Ye,uccidilo, che cantavano per esorcizzare la paura che a finire ammazzato fosse il proprio uomo. Foreman poteva uccidere, ma Ali poteva farti morire: di vergogna, di rabbia, di scorno.
Mailer invoca la legge nera della forza. Scrivendo a distanza di tempo è per sé che lo fa: per trovare nelle parole che sceglie l’energia necessaria a rappresentare quei due uomini che a pagina 191 infine cominciano a duellare con il corpo e la mente. Che quella notte per la prima volta Ali non abbia danzato è una mezza verità. Da giorni aveva ballato con la propria ombra, rappresentandosi al di qua dei limiti che avrebbe superato, allenandosi come una controfigura, correndo svogliato, declamando poesie da “pessimo Genet”. Stava preparando la più grande e riuscita delle finte. Annodava le corde a cui si sarebbe appoggiato per combattere. Andava al fondo di sé per riemergere. Mailer sostiene che fu una partita a scacchi, ma sulla scacchiera c’era un solo re. Non era Mobutu «il gallo che non lascia intatta nessuna gallina» e usava la violenza da mandante. Non era Don King, nonostante il nome. Non era Norman. Nessuno di loro o di noi è mai stato re, tranne Ali.