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 2022  agosto 10 Mercoledì calendario

Una pastora in Val di Fiemme

“Io e le mie figlie ci occupiamo del gregge in tutto e per tutto. Mia figlia ora dorme in un van per stare vicina alle pecore perché c’è il lupo. Adesso siamo quasi arrivate in montagna e poi per un paio di mesi siamo ferme. Portiamo le reti con la macchina, poi sulle spalle. Cambiamo il recinto, in estate anche un giorno sì e un giorno no. In autunno andiamo a pascolare nei prati sfalciati d’estate. C’è tutti i giorni qualcosa da fare: una pecora che ha male al piede, quella che non lascia mangiare gli agnellini, le caprette da mungere”. Chiara Trettel e le sue tre figlie gestiscono un allevamento di mucche e un gregge di 150 pecore in Val di Fiemme. Ma essere donne allevatrici non sempre è facile e i pregiudizi sono all’ordine del giorno.
Come le piace definire il suo mestiere?
Io ho un gregge di pecore, ma non saprei se definirmi pastora o allevatrice perché quando è inverno sto in stalla, quindi non sono pastora transumante tutto l’anno. Lo faccio in estate sui pascoli di montagna. Da parecchi anni, da maggio a novembre.
Per lei è importante declinare il nome della sua professione al femminile?
Certo, pastora! Ho tre figlie, una mi aiuta con le pecore e le altre vanno in stalla. Lavorando e vedendo le capacità che abbiamo sia io che le mie figlie nel gestirci – un piccolo gregge, ma comunque è tosta –, tengo alla declinazione femminile proprio perché vedo che il pastore uomo tende a minimizzare sulle mansioni. Non si tratta solo di andare al pascolo. Io e le mie figlie ci occupiamo di tutto, dalla tosatura alla cura della salute dell’animale, dagli spostamenti al cambio recinto. Ci piace arrangiarci. Non è solo star là a stare sedute sul prato a guardare che mangino, insomma. È tutta la cura del gregge. Quindi sì, pastora.
Com’è nata la sua passione?
Nasco in una famiglia di contadini. Mio papà è contadino. La passione per gli animali l’ho ereditata da lui. Le parlo di passione perché questo non è un lavoro che mi permette di mantenermi totalmente. Sono sempre andata in stalla con mio papà. Poi mi sono sposata, ho avuto le bambine. Quando poi le bambine sono diventate grandi, ho iniziato ad aiutare un ragazzo che non aveva esperienza con le pecore in malga, le pecore non le aveva mai viste. L’anno dopo ho deciso di andare io, perché volevo mettermi un po’ in discussione e provarci. Ho capito che era proprio una cosa che mi piaceva. All’inizio andavo con le pecore di mio papà, poi ho iniziato ad avere anche le mie. Mio papà era contento. Ho avuto tanti problemi… c’è stato un anno che ne avevo 50 e me ne sono tornate 30, poi me le sono allevate con il biberon. Tanti sacrifici. Adesso in questi ultimi due o tre anni inizio ad avere le mie soddisfazioni, ne ho 150 mie.
Le hanno mai detto che il suo non è un lavoro da donne?
Tanti, anche adesso. Tutti i giorni. Io non ho tanta autostima, però posso dirti che sono stata molto tenace in questa cosa, non mi sono arresa, ho potuto dimostrare nel mio piccolo di essere capace, e ho avuto grandi soddisfazioni. Alcuni altri pastori vedono il tuo successo e aspettano il tuo fallimento. Ma io non ho di sicuro bisogno che un uomo mi dica che le mie pecore sono belle. Tendono a vederti come una donna forte e poi ti snobbano.
Di solito si distingue tra lavoro di forza e cura…
Questo è tutti e due. Ti fanno credere che ci sia bisogno di un uomo, ma possiamo farcela invece. Vorrebbero far passare il messaggio che è un lavoro prettamente maschile e che la donna non abbia davvero le capacità. Invece vedo che anche in questo lavoro con gli animali la nostra sensibilità di donna aiuta. Il momento del parto noi lo viviamo diversamente; poi lasciamo la pecora tranquilla con il piccolo da qualche parte. Se io sto facendo strada e una pecora partorisce mi fermo. Magari un uomo lo vede più come un impedimento. Io non metterò mai la mia pecora in difficoltà, piuttosto mi metto io perché penso che anch’io ho avuto delle figlie. Loro hanno diritto ad avere i loro momenti.
Cosa vorrebbe dire a una bambina che vorrebbe fare questo mestiere?
Non è un lavoro per tutti. Deve essere una passione. Ci sono momenti molto duri: devi cercare da mangiare per loro, proteggerle dal lupo, quando c’è la neve devi stare sotto la neve, la pioggia e il temporale. Ti metti a servizio del tuo animale. Sono cresciuta in una famiglia piuttosto maschilista, invece posso dire che dopo la mia esperienza ho capito che abbiamo tante risorse e che una donna ce la può fare benissimo, non vedo differenza. Io chiedo aiuto così come un uomo può chiedere a me. Ma non mi sento meno di un pastore uomo.