la Repubblica, 9 agosto 2022
La vela di Isgrò per l’Edipo Re di Pasolini
Una vela. Un’opera d’arte che si gonfia di vento e porta la barca al largo, in Laguna. La barca è quella di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigaina: l’Edipo Re. La vela è progettata e realizzata da Emilio Isgrò,85 anni: non vuol sentirsi dire che è un grande maestro né tantomeno che è uno degli ultimi – fa gesti scaramantici, ride – ma lo è. Qui bisogna immaginare la scena, in un tardo pomeriggio d’estate al largo di Poveglia, l’isola dei veneziani. La luce, soprattutto. Isgrò indossa una polo verde, salta da solo a bordo, non vuole aiuto. Viene a controllare «come è venuta» l’opera che Sibylle Righetti, Enrico Vianello e Silvia Jop, fondatori della Edipo Re impresa sociale, gli hanno commissionato per l’inaugurazione, a fine agosto, della nuova edizione della Mostra internazionale del Cinema. Sarà allora che il pubblico potrà vedere la vela da vicino: a Isola Edipo, evento nato piccolo e sottovoce che ormai da anni si è imposto come luogo cardine della Mostra: assegna un premio all’inclusione (quest’anno in giuria Filippo Timi, Chiara Civello e Elena Stancanel-li), fa una programmazione ricchissima (in questa edizione ospite d’onore Artavazd Ašotovi? Pelešjan, regista armeno) e sempre sold out di incontri, concerti, degustazioni, feste. Molto cinema, naturalmente, in collaborazione con le Giornate degli Autori. Sono tutti molto giovani, gli imprenditori veneziani che hanno immaginato un’Altra Venezia, come dicono: non solo e non più la celebrazione del passato ma una rete di artigiani, artisti, cooperative sociali capaci di disegnare la città del futuro. Prossimo passo, fra non molto, l’apertura di un luogo di approdo e di vita culturale a Pellestrina – una delle meraviglie incontaminate del mondo. È un patto tra generazioni, dunque, questo: tra nonni e nipoti. Torniamo a Isgrò, alla vela. Siamo al largo, c’è una tavola rotonda apparecchiata di lino bianco, a poppa e un giovane cuoco che ha preparato delizie, ma il maestro è inquieto, vuole prima di tutto vedere issata la vela dunque forza, comandante, vediamo questa pagina dell’Edipo cancellata fino a lasciare in evidenza due parole, solo due, in caratteri greci: Edipo tiranno. È quasi il tramonto. Passano battelli stracolmi di turisti, quelli che con musica altissima e guida dotata di megafono ti portano a fare il giro della laguna. Altri velieri, gommoni. Quando Enrico, il capitano, issa la randa per qualche minuto si fa silenzio. Tutto tace, tutti guardano. Tutto si ferma. Le cancellature nere sono come un alfabeto morse, viste da lontano. Quelle uniche due parole decifrabili il centro, il fuoco di ogni attenzione. Isgrò parla, con quell’accento di Sicilia, come se ogni parola fosse pronta per essere stampata. Sgrana frasi oracolari agetto continuo, «oggi tu puoi fare qualunque cosa ma tutte sono visibili, nessuna è invisibile, perché tutto si equivale». «Solo da altezze vertiginose puoi avere una visione verticale». «L’arte è sempre autoritaria, ma caritatevole: si nutre del dolore degli altri per restituire loro fiducia». La vela è bellissima, è un oggetto unico al mondo: un’opera d’arte viva. Uno dei ragazzi domanda a Isgrò quando ha cominciato a cancellare, e perché. «Io cancello per sottolineare. Per dare rilevanza alla parola. Solo quando occulti qualcosa riveli la sua importanza, e accendi luce su quello che resta». Andò così, racconta. Era il 1964. «Ho cominciato a cancellare libri e pezzi di giornale. Ero stato colpito dall’insorgere compatto della nuova società mediatica che era prevalentemente di tipo visivo. La pop art sul piano artistico, il cinema hollywoodiano, i fumetti. Ora: io capisco che gli americani che venivano dalla Calabria e dalla Sicilia, dalle campagne tedesche, gli ebrei di Odessa non fossero in grado di parlare l’inglese dunque l’unico modo che avevano gli americani per fare un popolo di gente che non parlava la stessa lingua era trasmettere visivamente un modo di pensare. Si trattava di analfabeti. Ma l’Europa, però, non era analfabeta.
E puoi tu cancellare la cultura scritta e imporre quella visiva senza uccidere la parola creatrice – la parola che genera il diritto, la poesia, nuovi universi, la parola che contiene il dubbio. Una responsabilità epocale. La civiltà verbale era in pericolo. Allora ho cominciato a cancellare parole: non per distruggerle ma per sottolinearne il valore. Se cancelli il superfluo dimostri quel che è necessario, dai spazio alla riflessione e al ragionamento, attivi il pensiero. Perché se uniformi le culture c’è solo la pace dei cimiteri. Il Talmud dice: dove c’è il conflitto là c’è Dio. Dio è la creazione, l’arte è la divinità degli uomini: l’arte deve generare conflitto, la cultura comune è la fine di ogni cosa. La fine della civiltà».
Decine di aneddoti meravigliosi su Pasolini, amico carissimo («mi diceva Isgrò, non sono d’accordo con te ma tu te lo puoi permettere, e rideva»), Andrea Zanzotto e Montale, il conte Loredan che lo sfidava a duello, i fascisti riuniti all’hotel Bauer, ma oggi, oggi, i giovani artisti «che sono i soli da cui ancora imparo». È atteso per la cena sul Canal Grande, dove due giovani imprenditori, Francesca Rinaldo e Alessandro Gallo, hanno investito larga parte dei proventi della vendita di un celebre marchio di sneakers per “tornare a casa”, restaurare Ca’ da Mosto e farne un hotel – The VeniceVenice, lo hanno chiamato – di stanze come pezzi unici, opere d’arte: qui Mitorai, qui Kounellis e Pino Pascali. Hanno scritto un manifesto sulla “post- venezianità”, che è quella cosa di prima: essere una città viva oggi, essere capaci di creare adesso qualcosa di contemporaneo che vada nel futuro. È iniziata così, dall’incontro tra Edipo Re e The Venice Venice, una collaborazione che prevede di realizzare una nuova vela d’arte ogni due anni. Da usare, naturalmente. Arte che muove le cose e le persone. Isgrò li ascolta, annuisce, poi dice: «Bello, ho visto che nelle stanza ci sono molti libri preziosi. Se volete potrei cancellarne alcuni e lasciarli qui. Che ne dite, vi piace? Se mi volete, io torno».