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 2022  agosto 09 Martedì calendario

Un seggio sicuro per l’ego di Mauro Masi

Chissà quante volte glielo hanno chiesto vellicandone l’ego, non piccolo già di suo. Ma adesso pare proprio giunto il momento del grande salto e lui che è stato anche parà in una vita precedente, non vede l’ora: per Mauro Masi grand commis di Stato in servizio permanente ed effettivo è già pronto un posto sicuro nel Parlamento che verrà. Lo danno per certo anche alle latitudini abruzzesi e non solo perché è presidente del consiglio di amministrazione della Banca del Fucino, sede vista Ara pacis a Roma ma radici nella Marsica. O perché Gianni Letta suo grande amico da sempre (almeno come il faccendiere Luigi Bisignani a cui intercettato quando era dg in Rai aveva confessato: “Se io metto Cicciolina che fa le pompe ad un toro faccio il 30%…”), è considerato una divinità tra la natìa Avezzano e l’Aquila.
Ma perché l’Abruzzo nelle previsioni della vigilia sarà un Eldorado di collegi sicuri per il centrodestra e per Fratelli d’Italia in particolare che a quanto pare, nonostante i non eccellenti rapporti con l’ex consigliere Rai Giampaolo Rossi, reclama l’iconico Masi per l’uninominale al Senato. E lui che ha collezionato già tante poltrone senza riuscire mai a dire di no è tentato eccome dopo la delusione da ultimo per la corsa alla presidenza della Lega serie A (andata poi a Lorenzo Casini, giovane braccio destro del ministro dem Dario Franceschini) e l’anno scorso quando si era fatto inutilmente avanti per un altro giro nella sua amatissima Rai dove non fu per la verità affatto amato. Segno che i tempi in cui si autodefiniva un palindromo “buono per la destra e per la sinistra”, visto l’apprezzamento riscosso dagli Andreotti e dai De Mita prima, dai Lamberto Dini e dai Romano Prodi poi e più di tutti dai Massimo D’Alema per tacere dei Silvio e della corte di Letta zio e Bisignani, sono ormai un ricordo.
Meglio dunque cambiare aria e scendere nell’agone politico dove esistono ancora poche, ma solide certezze: una è che Silvio Berlusconi è tornato a ripromettere dentiere per tutti in vista del 25 settembre, l’altra è che gli amici non restano mai a piedi, il che è la quasi garanzia di uno scranno a Palazzo Madama per i baffi curati, l’abbronzatura perenne e i capelli tinti di Masi, eterno bel Cecè (il copyright è di Giampaolo Pansa) con la passionaccia “per la gnocca” (parole sue) almeno quanto per i gessati e i Ray-ban a specchio che ha collezionato come gli incarichi: da ultimo lo strapuntino alla Banca del Fucino e quello da millemila anni in Consap. Ma tutto iniziò in Bankitalia nell’anno del Signore 1978.
Civitavecchiese di nascita, settant’anni il prossimo 26 agosto, Masi sposato e padre di due figli si laurea in giurisprudenza nel 1977 con 110 e lode e nel 1978 entra in Banca d’Italia. Ma già nel 1988 viene distaccato alla presidenza del Consiglio dei ministri come consigliere per la comunicazione economica. È però con l’allora direttore di Bankitalia Lamberto Dini, chiamato al Tesoro da Berlusconi nel ’94, che si consuma anche il grande salto di Masi che lo segue prima al ministero e poi nel 1995 a Palazzo Chigi come portavoce. Da quel momento per lui solo incarichi di altissimo prestigio fino al trionfo del 2005, quando Silvio B. lo chiama direttamente a sé come Segretario generale di Palazzo Chigi.
Bontà sua però l’anno successivo è pure nominato capo di gabinetto dal vicepremier Massimo D’Alema che di Masi si fida al 100 per cento e pace se almeno una volta alla settimana, come raccontarono le cronache dell’epoca, varcasse il portone di Palazzo Grazioli per andare a rapporto da Berlusconi nel frattempo diventato capo dell’opposizione. Che infatti tornato a Palazzo Chigi lo rivuole Segretario generale ma soprattutto dal 2009 direttore generale della Rai: di Masi a Viale Mazzini si ricordano tre cose, la telefonata in diretta nel gennaio 2011 per dissociarsi da Anno Zero – Santoro e Travaglio pretendevano di occuparsi di Ruby e delle cene eleganti di Arcore –, la condanna per danno erariale per 100mila euro nei confronti della stessa Rai, e il plebiscito con cui è stato sfiduciato dai giornalisti del servizio pubblico.