Corriere della Sera, 6 agosto 2022
Il carteggio prezioso tra Longhi e Zeri
È apparso di recente un importante carteggio: un fittissimo scambio di lettere, essenzialmente su temi di studio, tra Roberto Longhi e Federico Zeri — Lettere (1946-1965) Silvana Editoriale —. Curatore e anima dell’iniziativa è Mauro Natale, docente a Ginevra ed esponente di spicco egli stesso di quella originale corrente italiana di critica d’arte che ebbe come riconosciuto capofila appunto Roberto Longhi, innovatore geniale e fondatore di riviste importanti, nonché, in tempi difficili, docente di fascino. Il progetto – spiega il curatore in prefazione – era stato concepito poco dopo la scomparsa di Zeri (ottobre 1998) e trova ora la sua realizzazione assumendo come materiali da offrire, criticamente curati, al lettore gli scambi epistolari avvenuti tra i due tra il 1946 e il 1965. Il materiale proposto, che affronta questioni storico-critiche e anche organizzative (si pensi al problema del recupero e riassetto dei beni culturali italiani nel dopoguerra) è stato opportunamente selezionato. Abbiamo dunque in questo volume un nuovo capitolo, largamente inedito, della critica d’arte in Italia nel ventennio della ricostruzione postbellica.
Federico Zeri, le cui virtù come scopritore di falsi (per esempio il «trono Ludovisi») sono ben note, fu anche un epistolografo torrenziale: ben al di sopra della media, pur in un’epoca in cui la lettera, scritta (magari vergata a mano) e spedita, non era stata ancora soppiantata dal «comodo» telefono o addirittura dalla evanescente «posta elettronica». Certo, «omnia orta occidunt» per dirla con Sallustio: e dunque anche la lettera (alla cui storia Armando Petrucci dedicò anni addietro un saggio memorabile) è finita. Finita come genere letterario oltre che come materialità. Dunque finché esistono, negli archivi pubblici o privati, documenti del genere, è lavoro benemerito, per la ricerca storica e non solo, pubblicarli e commentarli. Questo imponente carteggio appare perciò tanto più prezioso.
Di questa raccolta, come s’è detto selettiva, si può dire che integra, anche grazie all’assiduo e ben scelto materiale iconografico di commento, quanto l’opera edita dei due corrispondenti attestava: la forza convincente di un metodo di indagine. Chi scrive queste righe di presentazione dell’imponente volume ebbe occasione in passato, e nel quadro di tutt’altra indagine, di studiare la figura di un allievo, morto giovanissimo, di Longhi, Alberto Graziani, che dall’insegnamento universitario bolognese di Longhi fu portato ad abbracciare una seconda vita: da acuto lettore qual era di frammenti su papiro recanti testi nuovi in greco antico a storico-filologo dell’arte italiana tra fine del Medioevo e l’età della Rinascita. Di Alberto Graziani (morto trentenne nel 1943), allievo molto apprezzato da Longhi, si parla più volte in questo volume, sia nell’introduzione di Mauro Natale che nel Carteggio. Uno dei temi per i quali se ne parla, oltre alla tesi di laurea pubblicata postuma da Longhi (su Bartolomeo Cesi), è la vicenda della – più volte prospettata e a lungo non realizzata – pubblicazione degli altri scritti di lui. Apparvero, alla fine, nel 1993, per la Nuova Alfa Editoriale, a cura della vedova e con una premessa di Ezio Raimondi, che metteva giustamente in relazione le due passioni di Graziani: la filologia sui testi e la filologia sui dipinti.
Da questo carteggio apprendiamo che ad un certo momento (lettera di Zeri a Longhi dell’11 marzo 1953) era prevista ancora una volta la pubblicazione degli scritti di Graziani nella collana della rivista «ParagoneArte». Zeri approva decisamente l’idea (p. 399), auspica un adeguato corredo di illustrazioni e teme però che la pubblicazione possa andare troppo per le lunghe. (Effettivamente, vien da dire, ci vollero altri quarant’anni: Longhi era morto a Firenze il 4 giugno del 1970).
Cogliamo l’occasione della pubblicazione di questa raccolta epistolare per segnalare un desideratum della scienza. Quando ormai era passato sotto la guida di Longhi, Graziani aveva dato, alla nascente rivista del suo amato primo maestro bolognese, il grecista papirologo Goffredo Coppola (1898-1945), «Sileno», un articolo in cui dava conto del suo lavoro – che sarebbe diventato un lavoro di laurea ove egli avesse perseverato nel greco – sui frammenti fiorentini del cosiddetto «Storico di Ossirinco» (in realtà Teopompo di Chio). La rivista non giunse alla stampa, rimase in bozze. Coppola aveva dato un preannuncio molto ben fatto nell’agosto 1939 sul quotidiano «Il Popolo d’Italia». Nel 1943 Graziani morì, l’Italia si disfece, Coppola si schierò con Salò e fu fucilato a Dongo. Di quelle bozze si persero le tracce. Ma forse esistono ancora da qualche parte. Dissotterrarle sarebbe un omaggio, meritato, a Graziani, ma anche a Coppola e, altrettanto a Longhi.