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 2022  agosto 07 Domenica calendario

Fabrizio Gifuni: “Sono un attore maratoneta”

L’attore come “maratoneta”, il lavoro sul territorio come ricerca di “senso”, la passione per i ruoli politici che si ferma davanti alla “confusione tra realtà e rappresentazione”. Fabrizio Gifuni è a Casacalenda, paesino dell’entroterra molisano (il cui nome in questi giorni evoca curiosamente l’attualità politica) dove da 20 anni si svolge “Molise Cinema”. A lui il Festival ha dedicato un libro (L’attore maratoneta, a cura di Federico Pommier Vencelli, direttore del Festival, e di Boris Sollazzo) e una retrospettiva (ieri è stato intervistato da Marco Damilano dopo l’episodio di Esterno Notte su Aldo Moro). Tasselli di un puzzle che si va componendo.
“Io ho caratteristiche fisiche e caratteriali più vicine a un maratoneta che a un centometrista. Ma credo che in fondo il percorso di qualunque interprete si veda dopo alcuni decenni”. Il tempo lungo, lento è entrato con forza nelle nostre vite con la pandemia, cambiando bruscamente una direzione di marcia. “Ho sempre pensato che bisognasse avere il coraggio di prendersi il tempo e non di farsi mangiare dal tempo”.
Il maratoneta soffre della crisi del 36esimo chilometro. E anche Gifuni ha avuto la sua: “Avevo consumato molte energie e avevo bisogno di riprendere le forze. È successo prima de La Belva, un film di azione in cui dicevo una ventina di battute in tutto e il corpo comunicava il resto. Questo film mi ha aiutato molto”.
“Mi interrogo da sempre sul senso di questo bellissimo gioco che è il mio lavoro”. Da qui, si torna al territorio. A Casacalenda, ma anche a Lucera, in Puglia, dove Gifuni da 6 anni porta gratuitamente le stagioni teatrali. “Quando abbandoni un territorio, quello diventa una palude e a quel punto arrivano i coccodrilli. Nel nostro Paese si dà troppa importanza ai grandi centri e ci si dimentica del resto”. Mentre racconta l’entusiasmo e la passione messi in circolo, Gifuni si dà del romantico da solo. Ma poi trova il filo: “È una sorta di volontariato civico, fa parte di quella ricerca di senso personale e professionale. “È un lavoro politico” perché “tutto è politico. Come diceva Carmelo Bene, ‘io la poesia l’ho già detta. Ora voglio ‘fare’ insieme agli spettatori’”.
Molte delle interpretazioni più importanti di Gifuni sono politiche, fino ad arrivare a quella di Aldo Moro, scarnificazione di sé per dar vita a un personaggio. “Il caso Moro è stato un punto di svolta storico ed esistenziale”, dopo il quale “il nostro Paese non è più stato lo stesso”. Ma alla domanda su quale politico contemporaneo vorrebbe interpretare, non sa rispondere. “Negli ultimi anni si sono talmente confusi i ruoli tra politica e spettacolo che la maionese è impazzita. Prima – come Shakespeare nell’Amleto – il teatro poteva smascherare il potere. Ora si fatica a distinguere i ruoli”. Insistiamo, neanche Mattarella? “Lui è già il più bravo di tutti, magari tra una ventina d’anni”.