Corriere della Sera, 7 agosto 2022
Tutto sul caso di Archie Battersbee
La foto con i tre gelati in mano, la foto con la medaglia vinta al torneo di ginnastica, quella in tuta e treccine, l’altra a petto nudo con una piccola croce al collo mentre fa i muscoli e mostra un’esile tartaruga accanto alla mamma orgogliosa che fa il selfie, fino alle immagini più recenti scattate al letto d’ospedale, lui intubato, con i capelli più lunghi e i peluche sul cuscino.
In questi mesi il volto di Archie Battersbee, insieme con la sua storia, sono diventati una presenza familiare su media e social di tutto il mondo. Certo, soprattutto in patria: ieri, nel giorno in cui hanno staccato la macchina dell’ossigeno, il Times di Londra in una pagina interna aveva il francobollo del suo ritratto con l’immagine forse più vista, i capelli biondi pettinati per bene e l’aria seria, quasi interrogativa: l’articolo del Times era schiacciato tra un raduno di sgargianti Rolls Royce d’altri tempi e la storia di un quindicenne i cui forti malditesta erano stati diagnosticati dai medici come segni di Long-Covid, mentre erano i sintomi di un tumore benigno rimosso in extremis dopo sette ore di sala operatoria.
Nessun intervento in extremis di medici o giudici ha cambiato la storia di Archie Battersbee, nessun colpo di scena ha prodotto uno sperato, impossibile lieto fine. Non ha mai ripreso conoscenza, Archie. I suoi occhi non si sono mai riaperti dal 7 aprile di quest’anno, da quando la madre, Hollie Dance, l’aveva trovato privo di sensi in cima alla scala, «con qualcosa di stretto sulla testa» come ha ricordato la Bbc in queste ore. Per giorni, per settimane, il caso di Archie è stato furtivamente e giustamente catalogato in due parole, «incidente domestico». Una tragedia spuntata d’improvviso nella tranquilla cittadina di Southend nel placido Essex, la storia di un fantastico ragazzino come tanti, adorato e adorante, con la passione per la ginnastica e le arti marziali, un ragazzino di passaggio in quella terra di mezzo dove i fili dell’età si ingarbugliano e ci si vede bambini e grandi insieme, con il coniglietto Simeone da coccolare e l’accesso ai social per restare «collegati» agli amici e sfidare il mondo.
L’allarme, lo strazio, l’ambulanza, la corsa all’ospedale locale, poi il trasferimento nella capitale, al Royal London Hospital in qualche modo intonato a quel suo nome da principino (Archie come il figlio di Andrea e Megan). A Londra la vicenda sanitaria di un giovane uomo con il tronco encefalico che non mostrava segni di vita si è intrecciata sempre più con la vicenda giudiziaria degli adulti intorno, i suoi familiari distrutti, i medici, i magistrati. Dalle corsie dell’ospedale alle aule di Corti più o meno alte e persino europee, fino all’Onu. E sempre ritorno: al suo capezzale, alla madre sempre presente e al padre più taciturno, al volto di Archie con gli occhi chiusi, i capelli lunghi, un tubicino nel naso e uno più grande in bocca, le medicine e le macchine accese per tenere sveglio il suo cuore.
Il dolore è sfociato in «battaglia legale». I familiari chiedevano più tempo: per Archie, per loro stessi. I medici parlavano sulla linea tracciata da Dominic Wilkinson, che insegna etica medica all’Università di Oxford e che alla Bbc ha detto: «A cosa serve la medicina? A farci stare meglio. Ma a volte tutto ciò che può fare è prolungare il processo della morte. A volte la medicina fa più male che bene».
I magistrati, in vari gradi di giudizio, negli ultimi due mesi hanno ribadito quanto stabilito da una corte a fine maggio, sulla scia del parere dei medici, dopo l’esito della risonanza magnetica: «Archie è morto».
Nella storia del ragazzino di Southend, la vicenda giudiziaria ha preso e il centro della scena. Cosa avremmo fatto, al posto di Hollie e Paul, i suoi genitori? Ma la fine di Archie non può farci dimenticare il suo ritrovamento in cima alla scala di casa, con qualcosa stretto sulla testa. Non l’ha dimenticato Hollie Dance, che due giorni fa parlando alla radio ha implorato tutti a neutralizzare il pericolo delle sfide mortali che si accendono sui social.
Non ci sono prove, ma Hollie crede che il suo Archie abbia voluto partecipare al «blackout challenge», una sfida di sopravvivenza che corre sottotraccia tra il miliardo di utenti di TikTok. Se ci interroghiamo sull’ultimo respiro di Archie, non dimentichiamo il suo ultimo gesto.