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 2022  agosto 07 Domenica calendario

È morto il piccolo Archie Battersbee

OGGIX
I fiori, le candele, una spilla con l’angelo custode su un’altare fai-da-te creato ai piedi della statua della regina Alessandra. Davanti alle telecamere lei, Hollie Dance, la madre che per il figlio Archie ha lottato anima e corpo sino a ieri, quando il bambino si è spento al Royal London Hospital di Whitechapel. «Such a beautiful boy», ripete. Ha gli occhi gonfi e i lineamenti morsi dal dolore. «Sono la mamma più orgogliosa al mondo, sono così orgogliosa di essere sua madre. Ha combattuto sino alla fine». 
Era iniziata a casa sua, nell’Essex, con un gioco sui social dall’esito tragico, si è conclusa ieri alle 12:15 in un letto d’ospedale l’odissea di Archie Battersbee, 12 anni, in coma irreversibile dal 7 aprile. Il ragazzino è spirato circondato dalla famiglia 135 minuti dopo che i medici hanno sospeso le cure. Non servono parole. L’aspetto della madre racconta tutte le tappe di una storia fatta di speranze impossibili, di ricorsi estremi e di una verità che da quel giorno di aprile, che oggi sembra così lontano, non è mai cambiata: per Archie, stando ai medici, non ci sono mai state possibilità di ripresa. Quello che già le prime verifiche avevano indicato – ovvero che non ci fosse attività cerebrale – era stato confermato da diversi esami, in particolare la risonanza magnetica. 
Già a giugno un giudice dell’Alta Corte aveva concluso dagli esami che il bambino era «morto». Ogni proroga sarebbe stata «futile» e non nell’interesse del paziente. Ma come può un genitore accettare che per un figlio che è sempre stato sano – un ragazzino simpatico, pieno di energia, bravissimo in ginnastica, appassionato di arti marziali – non ci sia più nulla da fare quando sembra solo immerso nel sonno? Come si fa a non sperare in un miracolo? Come già il caso di Charlie Gard, di Alfie Evans e di Tafida Raqeeb, quella di Archie è una storia che da una parte ha commosso il Paese, dall’altra ha riaperto il dibattito sul modo in cui vengono decise le cure di pazienti terminali minorenni. È giusto che siano i tribunali a stabilire a chi dare ragione quando i genitori non sono d’accordo con le terapie consigliate dai medici? 
Assistita dal Christian Legal Centre e Bruno Quintavalle, l’avvocato che aveva già aiutato i genitori del piccolo Alfie, morto nel 2018, la madre di Archie ha tentato di tutto. Prima ha ostacolato la risonanza magnetica – il timore era che spostando il figlio si potessero peggiorare le sue condizioni – poi ha impugnato la legge per prolungare le cure. Si è rivolta all’Alta Corte, alla Corte d’Appello, la Corte suprema, le Nazioni Unite e la Corte europea per i diritti dell’uomo. Dopo l’ultimo no, è tornata in tribunale per chiedere che il figlio fosse trasferito in un hospice per malati terminali. Aveva già trovato il posto: una struttura dove ad Archie sarebbe stato consentito di morire in giardino, «circondato dal verde, scoiattoli e uccellini». Il giudice però ha vietato lo spostamento: non era scontato, si legge nei documenti, che Archie sarebbe riuscito a raggiungere l’hospice. Non era stabile. 
Il bambino, così, ha trascorso le sue ultime ore nell’ospedale dove era giunto il giorno dopo l’incidente e contro il quale i genitori hanno combattuto per alcuni mesi. Il direttore medico Alistair Chesser ha voluto ringraziare i dipendenti del reparto di terapia intensiva che hanno accudito Archie, sottolineando che medici, infermieri e personale di supporto hanno lavorato «con grande compassione in circostanze spesso difficili e angoscianti». «Questo tragico caso – ha aggiunto – non ha solo sconvolto la famiglia, ha anche toccato il cuore di molte persone in tutto il paese».
Stando alla professoressa Ilora Finlay, membro della camera dei Lord ed esperta di medicina palliativa, il governo britannico avrebbe intenzione di lanciare presto un’inchiesta su come vengono gestiti casi come questi e introdurre una mediazione indipendente tra ospedale e genitori. «Una battaglia come questa – ha precisato – non aiuta nessuno, quando ci sono di mezzo gli avvocati diventa difficile per le due parti comunicare».