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 2022  agosto 04 Giovedì calendario

Elezioni Usa di midterm: istruzioni per l’uso

Le “Elezioni di metà mandato” (“Mid Term Elections”) – che così vengono denominate perché in calendario dopo due anni dalla data novembrina (nel 2020, il 3) nella quale, nel bisestile precedente, sono stati votati i “Grandi Elettori” che nel seguente dicembre (essendo la nomina non popolare e diretta ma “di secondo grado”) hanno poi, “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì” di quel mese (nel 2020, il 14), effettivamente provveduto alla scelta del Presidente – sono in questo 2022 fissate all’8 del penultimo atto mensile (le precedenti, il 6 novembre 2018).
Questo in quanto il relativo disposto di legge – si vota per le incombenze con destinazione Casa Bianca in un solo giorno a partire dal 1848 – recita a loro riferimento non poi da sempre che devono avere luogo “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre”, coincidente – appunto e lo ripeto – con la metà del quadriennio di permanenza in carica del Capo dello Stato.
Servono tali adempimenti per eleggere tutti i componenti della Camera dei Rappresentanti (dal 1911, quattrocentotrentacinque) il cui mandato è biennale e che in questo modo vengono chiamati perché si intende “rappresentino” il popolo, nonché un terzo dei Senatori (divisi a tal uopo in “classi”) che, da quando nel 1959 l’Alaska e le Hawaii sono entrati a far parte dell’Unione rispettivamente quali quarantanovesimo e cinquantesimo membro, due essendo gli eletti in ogni Territorio, sono cento.
Sarà il centodiciottesimo Legislativo (il riferimento è alle votazioni camerali) – visto che il primo si insediò l’1 aprile del 1789 – e si riunirà in Washington il 3 gennaio del 2023. (Contemporaneamente, molti gli Stati – trentasei su cinquanta – nei quali i cittadini eleggono i Governatori e non decisamente pochi quelli che rinnovano i locali Parlamenti e i rappresentanti di Contea).
Sono ovviamente le “Mid Term” un “momento” politico di vero rilievo, implicando necessariamente, anche, un giudizio degli elettori (“normali”, con l’iniziale minuscola, non “Grandi”) sull’operato della Amministrazione in carica.
Attualmente, al Senato i Repubblicani e i Democratici sono alla pari: cinquanta scranni a testa.
Considerato però che sulla base del dettato costituzionale guida l’alto consesso con diritto di voto in caso proprio di parità il Vice Presidente, sono invero quivi gli Asinelli (il nobile animale in questione è il simbolo dei Dem) a prevalere sugli Elefantini (è il pachiderma invece l’emblema dei Rep).
Alla Camera la maggioranza appartiene ai primi consistendo di duecentoventidue seggi contro duecentoundici, due essendo gli scranni vacanti.
Ove mai l’Amministrazione Biden l’8 novembre perdesse si verificherebbe qualcosa di non assolutamente straordinario visto che la Presidenza – all’un partito o all’altro appartenente, si pensi che Franklin Delano Roosevelt fu sconfitto nettamente nel 1938 e nel 1942, venendo di contro e di nuovo poi personalmente rieletto nel 1940 e nel 1944 – in molteplici precedenti circostanze a metà mandato è stata battuta e che la successiva situazione è talmente nota da essere rappresentata dalla espressione gergale “Anatra zoppa”, decisamente per questo in difficoltà quanto al volo.
Considerando che, benché il Bicameralismo USA venga ritenuto “perfetto” tale non è essendo competenza del Senato la ratifica di molte nomine di eccezionale rilievo (i Giudici della Corte Suprema come quelli Federali per cominciare, e si guardi cosa ha voluto dire il fatto che Donald Trump, contando sui suoi Laticlavi repubblicani a quel mentre in maggioranza, abbia potuto nominare alla massima Corte ben tre conservatori con le conseguenze già viste e le prospettive prevedibili), è in particolare al suffragio senatoriale che si dovrà guardare.
Usualmente, l’affluenza ai seggi nelle “Medio mandato” è inferiore a quella delle cosiddette Presidenziali. Ma quest’ultima considerazione in tempi nei quali tra infinite polemiche e accuse in specie dei Repubblicani il “voto postale”, articolato a volte differentemente dagli Stati, va aumentando a dismisura può infine non trovare assoluta conferma.
In prospettiva 2024, non è detto affatto che una battuta d’arresto democratica nelle “Mid Term” del più volte citato 8 novembre implichi una sconfitta nel futuro voto per White House. È storicamente verificato (importante ma non decisivo, comunque) che le Amministrazioni degli Asinelli sono assai difficilmente defenestrabili ad opera degli Elefantini mentre è più facile (ma non ci riguarda nella situazione data) il contrario. I Democratici in sella a Washington – da quando, dal 1856, il confronto è tra i due partiti che ben conosciamo – hanno perso difatti solo
nel 1888, per “Grandi Elettori”, con un Grover Cleveland comunque in grado di prevalere in termini di voto popolare nazionale, e nel 1980, con Jimmy Carter travolto da Ronald Reagan.
Per conoscenza, gli esponenti del Grand Old Party – GOP, come è anche chiamato il partito repubblicano – che sedendo a Washington e cercando conferma hanno fallito sono stati nel 1892, Benjamin Harrison, nel 1912, William Taft, nel 1932, Herbert Hoover, nel 1976, Gerald Ford, nel 1992, George Herbert Bush, nel 2020, Donald Trump.
Non infine che abbia altro che una significanza diciamo così storica rilevante, ma il Presidente che sarà eletto nel 2024 – salvo morte o dimissioni, facendo gli scongiuri – sarà il più importante protagonista dei festeggiamenti del 2026 correndo il 4 luglio di quel futuro anno il Duecentocinquantesimo Anniversario della Dichiarazione di Indipendenza!
Una “chicca” quanto al fatto che si affermi che le cosiddette Presidenziali (in verità, in quella occasione Stato per Stato, in proporzione al numero degli abitanti come risultano dai Censimenti che alla bisogna si effettuano dal 1790 ogni decennio, si votano i “Grandi Elettori”, Delegati Nazionali che poi davvero eleggeranno il Capo dello Stato) coincidono dal 1792, quando ebbero luogo le seconde in ordine di effettuazione, “con l’anno bisestile” dato che il 1792 lo era e che essendo il mandato quadriennale altrimenti non potrebbe essere.
Ebbene, secondo la Riforma del Calendario voluta da Papa Gregorio XIII nel 1582, gli anni di fine secolo con naturale finale zero sono bisesti solo se perfettamente divisibili per quattrocento, come il 2000.
Pertanto, tale coincidenza non c’è stata nel 1800 e 1900, anni nei quali il 29 febbraio non è apparso!