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 2022  luglio 01 Venerdì calendario

Biografia di Michele Santoro

Michele Santoro, nato a Salerno il 2 luglio 1951 (71 anni). Giornalista. Conduttore, autore e produttore televisivo. Politico. Ex europarlamentare (Pse, 2004-2005). «Io sono, da sempre, un forzato della libertà» (ad Anna Maria Mori) • «Il padre era ferroviere e comunista. Il figlio fu ribelle fin da ragazzo» (Giancarlo Perna). «Domarmi è stata per lui una necessità e una missione. […] Mi avrebbe voluto avvocato mio padre, e poi politico. […] Era preciso, ordinato, puntuale e odiava far debiti. Mia madre è morta per dargli un secondo figlio: per lui era irrinunciabile, nonostante le diagnosi che sconsigliavano un altro parto. A quel punto aveva messo da parte qualsiasi ambizione. Annotava le spese domestiche su un quadernetto e gestiva i figli, diventati cinque con l’aiuto di una seconda moglie, come fossero programmi scolastici, con l’unico obiettivo, raggiunto, di portarli alla laurea. Il suo mondo poggiava su quattro pilastri: la famiglia, il Sindacato, […] il voto al Partito comunista, […] l’Unione Sovietica. […] Dal suo punto di vista, studiando, raggiungendo l’indipendenza economica e facendo politica, se ne avessi avuto le qualità, avrei rinsaldato la sua fede nel progresso e contribuito all’avanzamento della causa della classe operaia. […] Era troppa la rabbia che mi portavo dentro e poco affascinanti gli obiettivi che mi proponeva. Altro che Sindacato, Partito e Unione Sovietica. Volevo tutto e subito; prima di ogni cosa, la libertà! […] Frequento il ginnasio quando piove, senza portarmi dietro libri o quaderni, e, il poco tempo che trascorro in classe, lo passo seduto in ultima fila a leggere L’amante di Lady Chatterley». «“Ero un tipo molto difficile, sempre al centro di quel poco di effervescenza che c’era nella scuola. […] Sono stato cacciato dal mio liceo, ho perso un anno e ne ho dovuti fare due in uno. Ma bene o male mi sono diplomato. Anche se con il minimo dei voti”. Politicamente? “Anarchico puro. Un disordinato, divoratore di letture della beat generation”. Eri un leaderino. “Ero molto popolare in città. Un capo vero. A Salerno, nel mio piccolo, ero adorato, avevo legioni di fan. Ai miei esami di maturità vennero ad assistere centinaia di persone”. Eri uno sciupafemmine già da allora? “Avevo il massimo della visibilità, ero di moda: era facile avere tutte le donne che volevo. Come succede ai fenomeni popolari, ai cantanti, agli attori”. Anche all’università andavi male? “Mai meno di trenta. Mi laureai in Filosofia con 110 e lode, prestissimo”» (Claudio Sabelli Fioretti). Ancora minorenne ma già molto attivo nel 1968. «“Ho nostalgia di quel periodo, al quale io lego soprattutto il ricordo di un grande cameratismo, di una bellissima vita di gruppo, di amicizia di tutti verso tutti. […] È quello che racconta meravigliosamente Sergio Leone nel suo C’era una volta in America…”. E sicuramente “c’era una volta un’estate”: […] la ricorda? “Sì, l’estate del ’69. Ero a un bivio: […] continuare a fare teatro (perché io facevo teatro, ma non Brecht, come hanno scritto, ché, anzi, Brecht, non l’ho mai recitato) o dedicarmi totalmente alla politica. Ricordo che ero impegnato con uno spettacolo: L’istruttoria di Peter Weiss. E volevamo dar vita a un circuito nazionale. Ma ho rinunciato. Ho sposato, come si diceva allora, ‘la causa della rivoluzione’”» (Mori). «Sei finito in Servire il Popolo, Aldo Brandirali, il movimento maoista italiano… “Ero giovanissimo, ubriaco della felicità di vedere questo movimento studentesco che si sviluppava, preoccupato di vederlo rifluire a causa dello spontaneismo. […] Anche tra i maoisti ero considerato un eterodosso. Le mie avventure sentimentali mi avevano fatto mantenere sempre un certo legame con la borghesia. I maoisti mi consideravano con sufficienza. E alla fine mi cacciarono”» (Sabelli Fioretti). «“Separo nettamente gli anni tra il Sessantotto e il Settantadue in due periodi. Il movimento studentesco degli inizi, che rappresentò a Salerno anche l’affermazione del diritto dei giovani alla felicità, alla libertà sessuale, a esprimere un proprio punto di vista in politica; e gli anni dei gruppi, in cui invece prevalse il dibattito su chi possedesse la linea giusta, che portò alcuni alla deriva terroristica”. E lei? “Io scelsi il Pci, confessando di non capirci più niente, di quello che stava succedendo, ed essendo convinto che non si poteva lasciare la città in mano al Msi di Almirante. Fui uno dei primi a livello nazionale che, essendo stato un leader, faceva quella scelta. […] Il Pci si trovò ad avere tra le sue fila a Salerno un gruppo di giovani di straordinaria qualità, ma li disperse praticamente tutti. Erano gli effetti di quello che allora si chiamava centralismo democratico e che finiva per selezionare i signorsì”» (Mario Avagliano). «“Un giorno, a un congresso, c’era anche Achille Occhetto, parlai ed ebbi un grosso successo, standing ovation e cose del genere. Il giorno dopo fui trasferito da Salerno a Napoli. Nel Pci di allora, se pensavi troppo con la tua testa, zac, te la tagliavano”. Ti hanno tagliato la testa, ma ti hanno mandato a Napoli. “A fare niente. Allora mi inventai una occupazione: la comunicazione. Per gli altri era inutile e sconosciuta. Riuscii a farla diventare importantissima. Poi cominciai a lavorare per la Voce della Campania, dove alla fine divenni direttore. Lo feci diverso, senza rispetto per le istituzioni”» (Sabelli Fioretti). «“Diventando direttore della Voce avevo abbandonato completamente l’attività politica e mi ero impegnato nel salvataggio del giornale con risultati straordinari. In pratica, un rotocalco assistito nato per iniziativa del Pci riusciva a vivere con le sue forze” […] Il partito intervenne per strozzare il bambino nella culla, bocciando la mia ristrutturazione. Mi dimisi con la morte nel cuore: come chi deve separarsi da un figlio. Era invece l’inizio di una grande carriera”. […] Come avviene il passaggio a Roma e nel 1982 l’assunzione alla Rai? “Quando si resta disoccupati, si fanno un sacco di cose. Lavoravo per Il Mattino e realizzavo sceneggiati radiofonici per la Rai collaborando con uno straordinario personaggio, Enrico Zummo. Nel frattempo ero parcheggiato a l’Unità, che non mi faceva scrivere. Nel consiglio d’amministrazione della Rai c’era il filosofo Beppe Vacca, che mi ha proposto di andare a Roma e io ho accettato. L’Unità si è liberata di me e io di loro. E ho fatto bene, visto che la redazione napoletana ha chiuso”» (Avagliano). Approdato su Rai 3, «diventa il conduttore di Samarcanda, una trasmissione di nicchia. Santoro la fa decollare con due o tre ritocchi: conduce in piedi e aizza le sue piazze di pseudo-casalinghe contro il politico di turno. […] “Il mio imperativo categorico, adesso, è combattere la mafia”, […] spiega a una cronista. […] Sono gli anni delle bombe contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: lui sceglie di scommettere sul sindaco di Palermo Leoluca Orlando, lo spara contro gli stati democristiani. Perde il controllo della sua creatura. Samarcanda chiude e lui va a fare campagna elettorale per Massimo D’Alema. […] In quegli anni la sua ombra è l’amico e dirigente Rai Giovanni Blasi. Sono inseparabili, ma Blasi è destrissimo e con Michele sono il rosso e il nero, come la trasmissione che il giornalista conduce in quei mesi. Il rosso e il nero diventa la metafora della sua vita e della sua tv: per primo sdogana Gianfranco Fini e molti ex missini invitandoli in trasmissione» (Giacomo Amadori). «La mia nomina come direttore del Tg3, già decisa dalla Rai di Letizia Moratti, venne cancellata da un intervento d’imperio del Pds. Era il 1995» (Andrea Marcenaro). «Mi risarcirono garantendo autonomia a Tempo reale. Appena Romano Prodi vinse le elezioni, la struttura fu sciolta» (a Stefano Lorenzetto). «Nel ’96, col governo Prodi, si insediò alla presidenza Rai lo scrittore Enzo Siciliano. Sentendo che si parlava di Michele, esclamò: “Michele chi?”. L’ego santoriano ne ebbe uno sturbo micidiale. Dal giorno alla notte, lasciò la Rai per Mediaset» (Perna). Per tre anni condusse Moby Dick, su Italia 1. «“Quando io lavoravo a Mediaset, mi facevano sentire un re. […] Ero la prova della loro indipendenza e imparzialità. Detto questo, non sono un eversore. Non ho mai dato al mio lavoro in Mediaset una interpretazione provocatoria nei confronti di Berlusconi”. Momenti di tensione? “Negarlo sarebbe una bugia. Quando facevo le trasmissioni su Dell’Utri, le tensioni c’erano”» (Sabelli Fioretti). Tornato in Rai nel 1999, prima su Rai 1 e poi su Rai 2 (Circus, Sciuscià, Il raggio verde), riprese a cannoneggiare contro Berlusconi, il quale, tornato nel frattempo al governo, durante una conferenza stampa tenuta a Sofia il 18 aprile 2002 lo accusò, unitamente a Enzo Biagi e a Daniele Luttazzi, di aver fatto un «uso criminoso» della televisione pubblica, esortando la nuova dirigenza Rai a «non permettere più che questo avvenga». «Scoppiò un pandemonio. Poiché il Berlusca aveva esternato da Sofia, dove era in viaggio ufficiale, si parlò di “editto bulgaro”. Michele […] reagì con un misto di aggressività e autocommiserazione. “Berlusconi è un vigliacco perché abusa dei suoi poteri per attaccare persone più deboli di lui”, disse, e cantò in assolo Bella ciao in tv. Avendo poi rifiutato un ridimensionamento delle sue presenze tv, la Rai lo mise da parte. Michele iniziò una geremiade durata tre anni: “La mia esautorazione è un crimine politico”, “Eliminare Santoro dalla tv è come bruciare i libri in piazza”, e via vaneggiando. […] Per colmare il vuoto, Michele si candidò con le sinistre alle europee del 2004. […] Fu eletto con 750 mila voti. Li tradì in capo a diciotto mesi. Stufo di essere “prigioniero” (testuale) a Bruxelles, si dimise dal Parlamento Ue, alla faccia degli elettori, per fare la sua rentrée in tv nello spettacolo Rockpolitik di Celentano (2005). Si pianse addosso tutta la serata, ma creò l’aggancio per il suo riapprodo in Rai» (Perna). Reinstallatosi su Rai 2, inaugurò la lunga stagione di Annozero (2006-2011), in cui, degnamente coadiuvato da Marco Travaglio e dal vignettista Vauro, cavalcò – e spesso alimentò, ricorrendo anche alle presunte rivelazioni di vari personaggi improbabili, tra cui Massimo Ciancimino e Patrizia D’Addario – tutte le questioni più controverse e clamorose dell’attualità politica, riscuotendo puntualmente grandi ascolti e ancor più grandi polemiche. Lautamente rescisso nel 2011 il rapporto con la Rai, dopo un periodo di proficue sperimentazioni tra internet, radio, Sky e televisioni locali, Santoro approdò su La7 con Servizio pubblico, che il 10 gennaio 2013, nell’imminenza delle elezioni politiche, regalò alla rete il primato assoluto d’ascolti (8.670.000 spettatori, pari al 33,58%), tuttora imbattuto, ospitando Silvio Berlusconi. «Ti accusano di aver resuscitato Berlusconi con la famosa puntata di Servizio pubblico in cui il Cavaliere spazzolò la sedia di Travaglio. In campagna elettorale… “Quel gesto fu un segno di disprezzo. Solo in Italia avrebbe potuto portare consenso: nelle democrazie più evolute si sarebbe rivelato un boomerang. […] Certo, lui era partito molto giù di morale quella sera, poi si è caricato nello scontro, durante la trasmissione. È stato un climax. Vatti a rivedere la curva degli ascolti: qualcosa tipo Italia-Germania 4-3”. Vedi che l’hai galvanizzato tu? “Gli ho fatto da Gerovital. A un certo punto mi si avvicinò per dirmi: ‘Ma quanto ci stiamo divertendo?’”» (Pietro Senaldi). Simul steterunt, simul ceciderunt: abbandonata polemicamente anche La7, tra il 2016 e il 2019 condusse sulle reti Rai (Rai 2 e Rai 3) programmi di scarso successo (Italia, M, Volare), mentre stringeva e poi scioglieva una collaborazione con il Fatto Quotidiano e girava persino un documentario sui giovani camorristi, Robinù. Da ultimo è tornato ad apparire in televisione in qualità di ospite di trasmissioni giornalistiche altrui, dapprima, nel pieno della pandemia da Covid-19, sostenendo che «il pensiero critico non trova cittadinanza», e più di recente, in alcuni dibattiti sulla guerra russo-ucraina, distinguendosi per prese di posizione fortemente antiatlantiche. «È significativo che io non abbia una trasmissione, nonostante migliaia di persone scrivano sui social che mi vorrebbero in tv. Ho lottato tanto contro le censure di Berlusconi e mi trovo a subire la censura di chi di fatto controlla la Rai da anni, il Pd. Non ha più sezioni sul territorio, le ha in Rai» (ad Antonio Bravetti) • Nel 2021 pubblicò presso Marsilio Nient’altro che la verità, in cui, oltre a riferire il contenuto dei suoi colloqui col sicario mafioso Maurizio Avola (presunte rivelazioni incluse, aspramente contestate da più parti), ricostruisce parte della propria biografia parallelamente a quella del criminale • Due figlie: Luna, avuta dalla prima moglie, Tonia Cardinale, conosciuta nell’ambito della militanza nel Pci e sposata solo con rito civile, e Micol, avuta dalla seconda e attuale consorte, Sanja Podgajski, psicologa slovena, conosciuta durante le selezioni per Samarcanda e sposata nel 1997 anche con rito religioso (officiante il cardinale Ersilio Tonini, testimone dello sposo Maurizio Costanzo) • Ad Anna Maria Mori confessò di aver «paura della fotografia: della fotografia in generale. Io non voglio farmi fotografare, non amo rivedermi in fotografia, e non riguardo mai neanche le cose che ho fatto in tv…» (persino al secondo matrimonio, infatti, pretese non fosse scattata alcuna fotografia) • «Ho sempre amato i Beatles più dei Rolling Stones; così come amo De André molto più di Guccini…» • «Ha nostalgia dei politici di ieri? “Li ho combattuti, da Giulio Andreotti a Bettino Craxi. Ma non c’è paragone con i nani di oggi”. […] Mi dia una definizione di Berlusconi. “Uomo di straordinaria intelligenza, che nel 1994 fu capace come nessun altro d’intuire una svolta epocale. Aveva promesso la rivoluzione liberale, e invece è stato ingoiato dalla burocrazia immobile”» (Lorenzetto). «Di Berlusconi mi sorprende la tenacia. Lui è uno straordinario ballerino della politica: ballerebbe il tip-tap sulla sua tomba. Ha un’irriducibile vitalità. Invidiabile, soprattutto da persone della mia età» (a Fabio Martini). «Gli auguro lunga vita: umanamente mi è sempre stato simpatico. E credo che la cosa sia reciproca, o almeno così mi ha sempre manifestato quando ha potuto. Anche se bisogna stare attenti: lui è capace di ammazzarti mentre ti sorride» (Senaldi). «Giuseppe Conte è stato mitizzato: è una persona di buona volontà, ma senza statura politica. […] Draghi nasce per dare certezze sul piano internazionale, per essere sicuri di dove vanno soldi e investimenti. […] Letta è il Draghi del Pd. […] Ormai il Pd sembra un sindacato del ceto medio, una corporazione» (Nello Trocchia). «Da 15 anni non abbiamo un governo espressione del voto popolare, e meno della metà degli aventi diritto va alle urne. Questa democrazia, che difendiamo anche con le armi, non mi pare scoppi di salute» (a Maurizio Caverzan). «Fonderà un partito? “Se dovessi decidere di farlo, convocherò una conferenza stampa. Prima di allora, mi rifiuto di rispondere a questa domanda: lede i miei diritti di cittadino”» (Bravetti) • «Lei ha avuto ospite Briatore. È vero che siete amici? “Non ho la fortuna di frequentare le sue iniziative turistiche, ma lo trovo schietto e simpatico. Conosco i suoi limiti, ma rispetto chi crea reddito e lavoro. Sono un anarchico, non un moralista”» (Aldo Cazzullo) • «Michele Santoro e Flavio Briatore sono della stessa pasta. Due populisti di successo: uno opera nel mondo dell’ideologia, l’altro nel mercato del lusso, ma il settore è lo stesso, quello dell’entertainement. Si accompagnano a belle donne, a un soddisfatto accenno di pinguedine, tendenza cafonal (più evidente in Flavio), tendenza noia (più evidente in Michele). […] Due corpi che si fondono in una sola anima. Questo succede quando si esercitano tutti gli stili del decadimento, compreso il successo» (Aldo Grasso) • «Gigi er bullo» (Beniamino Placido). «La tv di Santoro è barbarie, un marchingegno in tutto simile alla gogna, che intrappola i suoi fedeli spettatori nella festa degli inganni» (Giuliano Ferrara). «Campione assoluto del ribellismo plebeo e dello show militante, […] grande professionista della demagogia mediatica. […] Santoro […] da sempre è in missione per conto del suo Ego: vuole raddrizzare il mondo attraverso la tv» (Grasso). «Il partigiano Bella ciao sembra un uomo fatto di fuoco. E invece, quando è fuori dal campo della lucetta rossa delle telecamere, diventa di ghiaccio. Riesce a far convivere sinistra e destra, a passare da Rai a Mediaset, a far digerire gli accenti da tribuno del popolo con abiti firmati da grandi stilisti» (Primo Di Nicola e Denise Pardo). «Si considera un campione della libertà di stampa. Ha detto di sé: “Quanto più Santoro c’è sui canali Rai, tanto è più libero il Paese”. Ha aggiunto: “Nella storia della Rai io sono stato quello che ha spostato sempre più avanti il confine della libertà”» (Perna) • «Niente di cui pentirmi. E non mi ritengo un giustizialista» • «Il suo maestro chi è stato? “Angelo Guglielmi, il direttore di Rai 3. Tu parlavi e lui intanto soffiava su una carta velina, come se fosse un’armonica. Era il suo modo di ascoltarti”. […] Con la televisione si è arricchito? “No, benché mi descrivano come un plutocrate. Mi sono liberato dal bisogno, anche di lavorare”. […] Si considera obiettivo? “Onesto. Non racconto cose false”. Si è definito “un uomo ambiguo”. “Ho sfaccettature complicate. Non smentisco chi mi dà del comunista. Ma credo nel mercato e nella meritocrazia”. […] Si ritiene vanitoso? “No. Tutt’al più, presuntuoso”. Eppure si tinse di biondo i capelli per sembrare più giovane. “Mi ero distratto e il parrucchiere me li schiarì troppo”. […] Come s’immagina da vecchio? “Cioè come mi vedo oggi? La vecchiaia è una brutta bestia. Non temo la morte, e infatti ho sempre rifiutato la scorta. Mi spaventa la decadenza fisica”» (Lorenzetto).