11 luglio 2022
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Biografia di Lionel Jospin
Lionel Jospin, nato a Meudon (Île-de-France, Francia) il 12 luglio 1937 (85 anni). Politico. Ex membro del Consiglio costituzionale francese (2015-2019). Ex primo ministro francese (1997-2002). Ex ministro dell’Educazione nazionale (1988-1992) e della Gioventù e dello Sport (1988-1991). Ex primo segretario del Partito socialista (1981-1988; 1995-1997). Ex deputato (1981-1988; 1997) ed europarlamentare (1984-1988). «Sono un uomo rigido che si evolve, un austero che si diverte, un protestante ateo» • «È nato a Meudon, non lontano da Parigi. Suo padre è un istitutore socialista che ha in odio i comunisti da quando, nel 1939, Stalin si mette d’accordo con Hitler. Sua madre è una levatrice, melomane, una donna piena di curiosità. Lionel è il primo di quattro figli. Ha un fratello e due sorelle. Gli studi di Jospin sono orientati verso le lettere e il diritto. Avrebbe voluto diventare avvocato. Ma dopo il liceo frequenta a Parigi Sciences Po» (Arturo Guatelli). «All’inizio degli anni Sessanta non entra nel partito del padre dall’ingresso principale, ma, come dice Guy Mollet, attraversa gli scantinati della “pétite gauche”, della piccola sinistra ostile alla Guerra d’Algeria. Nel 1963, come per altri uomini politici francesi, c’è per lui la svolta dell’École national d’administration, la scuola dove si “costruiscono”, con una spietata selezione, i servitori dello Stato. Nel 1965, il giovane Lionel varca la soglia del Quai d’Orsay» (Ulderico Munzi). «Alla fine degli anni Sessanta il fratello Olivier lo mette in contatto con l’Organizzazione comunista internazionale (Oci), struttura clandestina nata da una scissione della IV Internazionale socialista. […] Alla testa del gruppo di matrice trotzkista, i cui membri sono per la maggior parte insegnanti, c’è Pierre Boussel, detto Pierre Lambert, con cui Jospin afferma di aver rotto politicamente nel 1982, e sul piano dell’amicizia personale quattro anni dopo. A contatto con Boussel J. perfeziona la sua formazione politica, intellettuale e personale. […] Fino al 1999, questo passato trotzkista viene taciuto, e, quando emergono le prime testimonianze, Jospin, all’epoca primo ministro, nega tutto, adducendo a pretesto una supposta confusione con il fratello Olivier, ma più tardi riconosce i suoi legami con l’Oci» (Fabrice d’Almeida). «Jospin ha giustificato la sua militanza trotzkista come un segno dei tempi: “Sono figlio dell’attacco colonialista di Suez e dell’invasione sovietica di Budapest, e questo era un modo per sottolineare due elementi essenziali del mio impegno: l’anticolonialismo e l’antistalinismo”» (Franco Fabiani). «I saloni dorati del ministero degli Affari esteri non gli si addicono. Detesta l’ipocrisia dei diplomatici, gli orpelli delle relazioni internazionali, la pomposità del cerimoniale. Chiede e ottiene un distacco. Va a insegnare Economia in un istituto tecnologico di Sceaux. Da professore, Jospin è più libero di fare politica, la sua vera passione. In quegli anni s’esaurisce l’autorità del generale De Gaulle. C’è stato il ’68, le fiammate di maggio. Jospin l’ha vissuto, ma non s’è gettato nella mischia. Da quella ribellione giovanile è però rimasto segnato, come se anche lui fosse salito sulle barricate del quartiere latino. Nel 1971, poco dopo il congresso di Épinay, Jospin conosce Pierre Joxe, che gli presenta François Mitterrand. Aderisce al Partito socialista. Entra in sintonia con l’allora primo segretario. Ne diventa rapidamente la voce più ascoltata. A François Mitterrand, che sta mettendo a punto la strategia per conquistare il potere, piace la facoltà di sintesi di Jospin. Ne apprezza anche il carattere sempre un po’ rigido, mai incline al compromesso. Per molti versi, Lionel Jospin è il contrappeso della spregiudicatezza mitterrandiana. La forza delle sue convinzioni serve per abbellire la vetrina socialista» (Guatelli). «Nel 1981, quando è eletto all’Eliseo, Mitterrand lascia il suo posto di segretario del partito a Lionel Jospin. […] Il neopresidente commenta la sua scelta con queste parole: “Sarà l’unico socialista a non rifugiarsi sotto il tavolo quando i comunisti alzeranno la voce”» (Munzi). «Svolge il suo lavoro con ordine, con diligenza, con una meticolosità rara fra gli uomini dell’apparato. È un interlocutore privilegiato dell’Eliseo. Ogni martedì mattina prende il breakfast con Mitterrand. Non c’è mossa del governo che prima non venga sottoposta al suo parere. Questa predilezione del presidente mette in crisi molti dignitari socialisti. Al termine di un’inchiesta su chi comandi in Francia, il settimanale Paris Match mette al primo posto Jospin. Il rapporto con François Mitterrand comincia ad appannarsi quando, per sostituire Pierre Mauroy, viene chiamato alla guida del governo Laurent Fabius. Lionel Jospin ingoia il rospo in silenzio, ma considera quella nomina un affronto personale. Sia pure con rispetto, prende le distanze dall’Eliseo. S’impegna a fondo all’interno del Partito socialista, ma non partecipa più alla gestione del potere. Anche durante la prima coabitazione – dal 1986 al 1988 – non s’agita troppo. Esce dall’ombra solamente quando nel maggio del 1988 si tratta di rieleggere François Mitterrand alla presidenza della Repubblica. Una questione di lealtà» (Guatelli). «Nell’86 cominciano i primi dissapori tra lui e Laurent Fabius, prediletto da Mitterrand e all’epoca primo ministro. Nell’88 abbandona la guida del partito e diventa ministro dell’Educazione nazionale, carica che terrà per quattro anni. Nel frattempo è protagonista di una furibonda battaglia contro Fabius all’interno del Ps. È l’epoca peggiore del partito e anche la meno gloriosa per quasi tutti i dirigenti, compreso Jospin. Si disputano l’eredità mitterrandiana senza esclusione di colpi. Jospin perde, comincia a criticare il vecchio presidente socialista, a rivendicare il diritto di “fare l’inventario” sulla sua azione. Nel 1993, il Ps subisce una sconfitta senza precedenti e Jospin non è rieletto deputato» (Giampiero Martinotti). «Lionel Jospin è in crisi. Una crisi tripla: politica, familiare e di salute. Il cordone quasi ombelicale che lo legava a François Mitterrand s’è definitivamente rotto. Sta per dividersi dalla moglie, una lacerazione familiare che lo turba. Ed è anche ammalato: soffre di tiroide, dimagrisce a vista d’occhio, viene operato. Nel 1993, quando non viene rieletto nel suo collegio di Tolosa, Lionel Jospin è agli sgoccioli. È un cadavere politico che cammina. Annuncia perfino il suo ritiro dalla vita pubblica: le delusioni lo hanno travolto. Non vede più nessuno, scompare dalla circolazione» (Guatelli). «In crisi, lontano dall’Eliseo e dal suo stesso partito, chiede un incontro ad Alain Juppé, all’epoca ministro degli Esteri. Considerata la sua carriera politica e la sua origine di funzionario del Quai d’Orsay, chiede di diventare ambasciatore in una capitale di prestigio. Juppé e il primo ministro Balladur rifiutano, perché lo credono finito. Si sbagliano di grosso» (Martinotti). «Su Jospin, i riflettori dell’attualità s’accendono nuovamente nel novembre del 1994, quando i socialisti si riuniscono in congresso a Liévin. È il momento dell’attesa. Tutti aspettano con ansia che Jacques Delors offra la sua disponibilità per essere candidato alla successione di Mitterrand. Anche Jospin lo spera, ma intuisce che nessuno riuscirà a convincere Delors, un uomo di cui conosce a memoria il carattere. Al congresso presenta un proprio contributo. È una voce solitaria, sincera e coraggiosa. […] Delors rinuncia, e lui, il mitterrandista critico, si prepara alla grande avventura. Solamente in febbraio riceve l’investitura del Partito socialista. La sua campagna elettorale parte in ritardo rispetto a quella dei suoi principali avversari, Jacques Chirac ed Édouard Balladur. Ma l’unità ritrovata dei socialisti è un buon viatico per Jospin, che al suo fianco, come portavoce, ha Martine Aubry, la figlia di Delors» (Guatelli). «La sera del primo turno, nessuno se l’aspettava, è in testa alla corsa. Sa di non avere speranze, ma si batte lo stesso come un leone per sbarrare il passo alla destra e al suo candidato, Jacques Chirac. Perde con un onorevole 47,4 per cento. Non poteva fare meglio. In un paio di mesi ha fatto dimenticare le derive mitterrandiane, ha presentato ai francesi un volto pulito, ha restituito dignità al socialismo. Ha soprattutto capitalizzato la sconfitta, facendone il suo bagaglio elettorale per l’avvenire. Tramontava la stella di François Mitterrand, sorgeva quella di Jospin. Il maestro morente, senza muovere un dito, aveva trovato il suo erede. Il fatto che fosse anche il suo allievo migliore vuol dire poco. Jospin avrebbe dimostrato in fretta che sapeva camminare da solo» (Guatelli). «La sinistra lo acclama nuovo leader e lui riprende in mano il partito, con l’obiettivo di modernizzarlo e di riportarlo al potere. […] Ha saputo costruire un’équipe efficace, capace di lavorare collettivamente, un gruppo di solisti di talento guidati da un direttore d’orchestra che non tollera stecche» (Martinotti). «Nell’autunno seguente un movimento sociale mobilita i francesi contro i provvedimenti del governo di Alain Juppé. Le manifestazioni di novembre e dicembre preludono a un’opposizione che sfocerà, nell’aprile 1997, nello scioglimento dell’Assemblea nazionale da parte del presidente della Repubblica Jacques Chirac. Le elezioni legislative anticipate segnano il trionfo della sinistra, e il 2 giugno Jospin è chiamato a formare il nuovo governo» (D’Almeida). «Jospin è stato fortunato, perché il suo arrivo al governo ha coinciso con una forte crescita e con abbondanti introiti fiscali. Ed è stato abile, perché ha favorito il potere d’acquisto delle famiglie per stimolare la ripresa e ha mantenuto le promesse sociali, combattendo con successo la disoccupazione. L’introduzione della settimana di 35 ore e le varie iniziative tendenti a dare (“d’ufficio”) un impiego ai giovani sono state fortemente criticate dal padronato e dagli economisti liberali. Ma l’opinione pubblica ha accolto con soddisfazione quei provvedimenti» (Bernardo Valli). «Quanto alle riforme della società, la Francia deve a questo governo il cosiddetto Pacs (pacte civil de solidarité) e il congedo per paternità. Il 20 febbraio 2002 […] Jospin annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali, pensando di prendersi una rivincita su Chirac» (D’Almeida). «La singolarità […] della sfida Chirac-Jospin consiste nel fatto che il primo è al tempo stesso il detentore del titolo e il capo obiettivo dell’opposizione; mentre Jospin, il challenger, deve difendere, in quanto primo ministro, il bilancio di cinque anni di governo. […] Il suo governo non ha certo sfigurato nel corso della conclusa legislatura, ma la coabitazione con un presidente della Repubblica moderato, e negli ultimi anni apertamente ostile, non ha favorito il già contenuto slancio riformista del leader socialista. […] Chirac è un personaggio. Jospin è un progetto» (Valli). «“Non dite ai miei amici che sono un riformatore: io credo di essere un rivoluzionario”. In senso moderno, intendeva Lionel Jospin, convinto di poter vincere la sfida d’una sinistra che governa, garantendo le conquiste sociali, ma imboccando con coraggio la strada delle riforme invocate dal mercato, dalle imprese, dalla società civile. È rimasto a metà del guado, finendo per scontentare i bobos e i prolos, come i francesi chiamano i ceti medi progressisti e gli strati popolari. Il signor “Ni Ni” (né, né), secondo il titolo di una fortunata biografia. Un primo ministro nella gabbia degli alleati di sinistra, sospinto dalle correnti liberiste, pressato da una conflittualità sociale riesplosa dopo gli anni di fortunata congiuntura economica. Per la prima volta, dicevano i sondaggi, la Francia è soddisfatta. Ma i sondaggi si sbagliavano, come l’opinione pubblica, come la cerchia d’intellettuali parigini, anch’essi un po’ miopi nell’osservare la pentola in ebollizione d’una Francia spaventata e scontenta» (Massimo Nava). Il primo turno delle elezioni presidenziali del 2002 (21 aprile) riservò infatti una grande umiliazione a Jospin, il quale, col 16,18% dei consensi, si attestò solamente terzo, non solo dietro il presidente in carica Jacques Chirac (19,88%), ma persino dietro il candidato del Fronte nazionale Jean-Marie Le Pen (16,86%), poi sconfitto da Chirac al secondo turno (5 maggio). Quello stesso 21 aprile 2002, «arrivato alle 19 con la faccia pallida nel suo quartier generale sotto le urla dei ragazzi socialisti che gridavano “président-président”, Lionel Jospin è ricomparso tre ore e mezza più tardi davanti a quegli stessi ragazzi annunciando il ritiro dalla politica: “Mi prendo tutte le responsabilità per la sconfitta, e alla fine delle elezioni presidenziali lascerò”. Abbracci, applausi, sudore e lacrime. In tre ore s’è consumata la tragedia della sinistra francese, battuta sul campo dal duce fascista Jean-Marie Le Pen, spinta fuori al primo turno dalla gara per le presidenziali. […] La verità è anche che la campagna elettorale di Lionel Jospin è stata disastrosa, zigzagante, incerta. Jospin è entrato in campagna con la più infelice delle espressioni: “Sono socialista, ma non ho un programma socialista”. Ne è uscito portando sul palco di Bordeaux a sostenerlo un leader della sinistra terzomondista e no-global come il sindacalista brasiliano Luiz Inácio da Silva detto Lula. E a Rennes ha invitato tutti i francesi a votare per lui perché la Francia non corresse un rischio-Berlusconi. Tra questi due estremi ci sono state vere gaffe, come quando parlando in aereo con i giornalisti ha accusato il suo avversario Chirac di essere vecchio e stanco. Quindici giorni dopo se n’è pentito e ha ritirato la sua parola, chiedendo goffamente scusa. Lionel Jospin, sconfitto da un vecchio arnese quasi nazista come Le Pen, si ritira la politica ed è costretto a votare per il “vecchio Chirac”» (Cesare Martinetti). «Dopo di allora Jospin riprese il suo ruolo di militante socialista, di editorialista, prima del palese sostegno offerto alla campagna elettorale di Ségolène Royal nel 2007. Riceverà in seguito, nel 2012, dal presidente Hollande la presidenza della discussa commissione sul Rinnovamento e sulla Moralità della vita pubblica in Francia, e nel gennaio 2015 sarà chiamato a sostituire Barrot nel Consiglio costituzionale. Nel 2010 aveva pubblicato un libro-intervista in cui aveva ripercorso la sua storia personale e la sua carriera politica, rivendicando le scelte compiute (35 ore, copertura medica universale, Pacs) e affidato a un film documentario, diffuso su una rete nazionale, lo stesso compito. Nel 2014 era stata la volta di un breve saggio su Napoleone, Le mal napoléonien, una requisitoria implacabile contro i mali del bonapartismo e soprattutto sulla figura storica del generale» (Ernesto Cilento) • Due figli, Hugo ed Eva, dalla prima moglie, la psicosociologa Élisabeth Dannenmuller. Dal 1994 è sposato in seconde nozze con la docente universitaria di Filosofia Sylviane Agacinski • «Si arrabbia, dicono, nel sentirsi definire “protestante austero”. Passi il primo: la sua famiglia ha origini ugonotte. Ma di tetra sobrietà non vuole sentir parlare: “Il mio carattere è gioioso, adoro le feste”» (Enrico Benedetto). «Certo, Lionel Jospin […] non ha nulla dell’ugonotto. Ma […] c’è […] una fiammella di rigore calvinista in lui, Si è manifestata […] quando [a metà anni Novanta – ndr] Ségolène Royal, una bella notabile socialista del clan Mitterrand, si fa fotografare da Paris Match subito dopo il parto con il neonato tra le braccia: “È un’attitudine indegna, indecente e inaccettabile”, sentenzia Lionel Jospin» (Munzi) • «La sua visione è universalista e umanistica, il suo approccio è tecnico, spesso difensivo. A proposito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, Jospin, divenuto primo ministro, si oppone all’eventuale menzione dell’“eredità religiosa”: “Il riferimento all’ispirazione religiosa dell’Unione […] solleverebbe per la Francia difficoltà di ordine costituzionale e metterebbe in discussione il carattere universale dei valori e dei diritti”. Il politico […] si professa “laico ma allo stesso tempo sensibile al fattore religioso”» (D’Almeida). «Il Partito socialista francese organizzò una manifestazione pubblica di sostegno a Khomeini il 23 gennaio 1979 presso la Maison de la Chimie. Lionel Jospin, lirico e mistico, citò in quell’occasione l’imam Ali: “Non essere né oppressore né oppresso. Devi essere il nemico di tutti gli oppressori e l’amico di tutti gli oppressi”. Il 14 febbraio 1979, i socialisti francesi salutarono la vittoria della rivoluzione islamica come “un movimento popolare senza precedenti nella storia”» (Giulio Meotti) • «Sportivo, amante di Fellini e di Visconti» (Guatelli) • «Un uomo […] senza carisma, al quale è difficile strappare un sorriso» (Martinotti). «È un personaggio intransigente. È molto più ancorato a sinistra di quanto lo fosse François Mitterrand. Ha scritto di lui Alain Duhamel: “Lionel Jospin ama la politica, ma vuole sempre avere le mani pulite. Non si vergogna del suo idealismo, anzi se ne mostra fiero e orgoglioso. È un tenore atipico: la vita pubblica lo seduce e lo inquieta. È semplice, riservato, ragionevole, energico e leale. Ma non lo si può toccare sul piano della morale: diventa intrattabile”» (Guatelli). «L’aspetto da professore un po’ antiquato, i toni venati da una retorica leggermente fuori moda, giudicati negativi dagli avversari, e da molti suoi compagni, sono apparsi col tempo i segni della sua principale virtù: l’onestà. Un’onestà semplice, cristallina, naturale» (Valli) • «Lionel Jospin è stato sempre un uomo molto rispettato all’interno del Partito socialista, mai veramente amato. Il suo individualismo, il suo carattere brusco e autoritario, la sua scarsa propensione a delegare, la sua convinzione di essere il migliore hanno spesso creato più di un attrito» (Martinotti).