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 2022  luglio 15 Venerdì calendario

Biografia di Maurizio Minghella

Maurizio Minghella, nato a Genova il 16 luglio 1958 (64 anni). Criminale. Assassino seriale. Ergastolano, attualmente recluso nel carcere di Pavia. «Mai frequentato prostitute, mai rapinato, mai ucciso. I miei scooter? Me li hanno rubati e non ho mai fatto denuncia… tanto non serve a nulla. Mi hanno riconosciuto? Qualcuno mi vuole incastrare…» • «Padre e zio alcolisti, penultimo di 5 figli, il “Mostro di Bolzaneto” nasce nel ’58 a Genova da parto distocico, con taglio cesareo e asfissia neonatale. Ricoverato nei primi due mesi di vita per rachitismo, trascorre un’infanzia caratterizzata dal palese ritardo nello sviluppo psicomotorio: deambulazione a 22 mesi, linguaggio a 20 mesi, enuresi notturna. Anche la famiglia si disgrega: quando lui compie sei anni, le violenze del padre provocano la fuga della madre. Con i figli va a convivere con uno straccivendolo, alcolista, ex detenuto per tentato omicidio» (Gianluigi Nuzzi). Anche costui «aveva l’abitudine di picchiare lei e i suoi ragazzi, contribuendo a fomentare le prime idee omicide di Maurizio (“Sovente ho sognato di strozzarlo con una corda”, avrebbe raccontato)» (Federico Ferrero). «I primi segni di instabilità, li mostra […] a 11 anni: “Disturba la scolaresca di proposito – scriveva la maestra delle elementari – per uscire in giardino. Prende i compagni per il collo e tappa loro naso e bocca in modo che non possano gridare”. Viene quindi mandato alla “Scuola speciale per anormali psichici”, ma in nove anni di studi rimane al palo: non supera la seconda elementare. A 12 anni gli vengono somministrati i primi psicofarmaci e si ribella: inizia a scippare donne e anziani. Nella prima anamnesi del ’75 viene descritto come un soggetto umorale, che lamenta un’inferiorità dovuta agli insuccessi scolastici. “Timido e inibito, suggestionabile e influenzabile – scriveva il medico –, con una intelligenza nettamente inferiore alla norma”. Nel ’78 viene respinto dal servizio militare per “insufficienza mentale – si legge nel foglio matricolare – in personalità dai tratti abnormi”. Superato lo scoglio della leva, si sposa “per scommessa, insomma per caso”, come ammise poco dopo, con una ragazza di 17 anni che diverrà eroinomane e dipendente dagli psicofarmaci» (Nuzzi). «Sposò una minorenne che abortì spontaneamente, e quella “fontana che grondava sangue, nella quale provavo a immergere le mani per fermarla”, secondo la sua versione, contribuì ad accrescere le sue devianze. […] All’inizio di tutto era solo un tipico bullo di periferia. “Travoltino della Val Polcevera” era il nomignolo di Minghella, […] cresciuto nelle case popolari di Bolzaneto, a Genova. Di Tony Manero non aveva l’abilità ginnica ma ne condivideva la passione per la musica da ballo; certamente era sbruffone e rissoso e, a parte la frequentazione delle balere, praticava per diletto il pugilato» (Ferrero). «Arrogante, spaccone, appassionato di discoteche, film western e polizieschi violenti, Minghella frequenta i bassifondi di Genova. Ai periti ricorda la predilezione per camere ardenti e obitori nei quali si recava spesso. […] Ci va per osservare i cadaveri di giovani. Ci va per assistere alle scene strazianti dei familiari dei defunti, tra grida e lacrime. Dalla morte del fratello in un incidente stradale, abbandona il motocross e, ossessionato, si dedica gli obitori» (Nuzzi). «Aveva il naso rotto da pugile, rideva sempre e amava indossare stivaletti a punta e con il tacco alto. Vagabondava per le discoteche della periferia genovese. […] Si vantava: “Ho avuto cento donne, voglio arrivare a mille”» (Arturo Buzzolan e Meo Ponte). Il 9 aprile 1978, nei pressi di Trensasco, nell’entroterra genovese, «fu scoperto il corpo senza vita di Anna Pagano, una tossicomane che si prostituiva per poter comprare l’eroina. Qualcuno l’aveva uccisa sfracellandole la testa a colpi di pietra. L’assassino aveva poi infierito sul cadavere e sulla schiena le aveva scritto in stampatello “Brigate Rose Moro”. Poi le aveva infilato nel corpo la biro rossa. […] Il 19 luglio del ’78 a Prelo di Valbrevenna, in Valle Scrivia, fu invece ritrovato il cadavere di Maria Catena Alba, conosciuta dagli amici come Tina. Aveva solo quattordici anni ed era scomparsa la sera prima. L’assassino l’aveva strangolata con il tirante del portapacchi e l’aveva poi legata a un albero. Tina era seminuda: accanto al suo corpo senza vita erano posati i jeans bianchi, il maglioncino blu e un sacchetto con la merenda. Maria Strambelli fu rintracciata dopo lunghe ricerche il 22 agosto in un bosco di Bolzaneto. I periti stabilirono che era stata strangolata e che l’assassino aveva invano tentato di bruciare il suo cadavere dopo averlo martoriato. Era un’ex compagna di collegio di Wanda Scerra, destinata nel dicembre successivo a diventare la quarta e ultima vittima accertata del “Mostro del Giro del Vento”, […] strada del quartiere popolare dove viveva» (Buzzolan e Ponte). «Le vittime, alcune conosciute in discoteca, erano state tutte strangolate su automobili rubate dopo essere state spogliate, picchiate, seviziate e violentate per ore. Tutte si trovavano nel periodo mestruale, raccontano gli atti processuali» (Alessandro Fulloni). «Il corpo della povera Wanda Scerra […] è stato rinvenuto il 3 dicembre, dopo cinque giorni di ricerche. […] Si è trattato dell’ultima volta. Qualcuno conosceva le frequentazioni della ragazza, e c’è voluto poco a scoprire che a dare un passaggio alla vittima su un’auto rubata è stato Minghella. […] Inizialmente accusato degli omicidi della Scerra e della Strambelli, Minghella confessa. Gli indizi e le analogie portano poi gli inquirenti […] a chieder conto al Travoltino anche del delitto Alba. A questo punto, il killer va in crisi e ritratta tutto, chiudendosi nel silenzio e sostenendo la delirante tesi di un complotto a suo danno» (Paolo Bertuccio). «Eppure, in casa gli trovano un porno fumetto, dove c’è una ragazza uccisa nello stesso modo di Tina Catena Alba: corde, albero, violenza, stesso oltraggio. Le braccia aperte, i nodi, il bastone. E in un cassetto ci sono gli occhiali da sole della vittima» (Massimo Numa). «Per quanto riguarda l’omicidio di Anna Pagano, è Minghella stesso a tradirsi. Scrive una lettera alla giovanissima moglie Rosa Manfredi, e il saluto finale “Baci, Rosa” assomiglia in maniera impressionante, per calligrafia, al “Brigate Rose” vergato sulla schiena della vittima. Oltretutto, il magistrato si accorge che l’assassino, semianalfabeta, non è in grado di scrivere le doppie. Anche in questo caso Minghella tace e non riesce a difendersi. Il processo del 1981 condannerà il Travoltino della Val Polcevera all’ergastolo» (Bertuccio). Recluso nel carcere di Porto Azzurro (Livorno), si distingue per buona condotta. «Gentile, servizievole, battuta pronta, il tifo per la Samp, mani d’oro, socievole. Mai un problema. Quindi spunta don Andrea Gallo, genovese, il prete dei disperati, che in pratica lo adotta. Il sacerdote, ovviamente in buona fede, pensa sia vittima di un “errore giudiziario”. Nella foga lo paragona persino al capitano Alfred Dreyfus, accusato ingiustamente di spionaggio nella Francia di Zola. Così, un bel giorno di fine ’95, Minghella fa le valigie e lascia Porto Azzurro. Detenuto semilibero per “buona condotta”. Don Gallo gioca un tiro terribile al Gruppo Abele di don Luigi Ciotti. Lo raccomanda: “Un bravo figliolo, dategli una mano”. Detto fatto, Maurizio è assunto come falegname. Costruisce giocattoli di legno, fioriere, panchine» (Numa). A Torino «Maurizio Minghella inaugura la sua nuova vita di uomo quasi libero: starà in prigione fino alle 17, dopodiché avrà cinque ore per andare a lavorare, […] prima di tornare a dormire in cella alle 22. Questo nei giorni feriali, perché nei festivi la libertà dell’ex Travoltino dura dalle 7 di mattina alle 10 di sera. Si possono fare molte cose, in tutte quelle ore, oltre a lavorare. Minghella conosce una donna, trova un appartamento in cui vivere con la compagna nel tempo concessogli dalla giustizia e, nel 1998, diventa padre di un maschietto. Sembra la rinascita definitiva. Ma in quelle ore di libertà […] si possono fare ancora altre cose. Per esempio, uccidere. 7 marzo 2001. Ci sono voluti cinque anni, quindici prostitute aggredite e dieci uccise, per capire che l’autore della scia di sangue che terrorizza Torino dal 1996 è proprio lui, il recidivo Maurizio Minghella. Per lui è l’ultimo giorno di lavoro: la polizia lo riporta in carcere con l’accusa di violenza e rapina ai danni di una passeggiatrice, in relazione a un episodio avvenuto nel settembre precedente e tardivamente denunciato dalla vittima. Dietro l’angolo, però, ci sono guai più seri, per il Travoltino. […] Delle quattro vittime “ufficiali”, una è rimasta senza nome. La seconda ragazza della cui uccisione è accusato Maurizio Minghella un nome, invece, ce l’ha, e anche molto suggestivo. Fatima H’Didou è una prostituta marocchina nata nel 1970. Minghella la avvicina una sera di maggio del 1997: le offre più soldi di quanto richiesto, a patto che si apparti con lui in un luogo isolato. […] La serata si conclude con la ragazza maghrebina prima picchiata, poi violentata e infine strangolata col laccio di una tuta da ginnastica. Cosima Guido, detta “Gina”, nel 1999 è una signora 67enne di origine pugliese che si prostituisce. È una delle tante storie disperate che scandiscono il tempo a San Salvario, il quartiere degradato per eccellenza della periferia torinese. Il figlio di Cosima è tossicodipendente e continua a chiedere soldi alla madre per comprarsi le dosi. Da qui la necessità della donna di trovare una fonte di guadagno. Minghella, che nel frattempo è diventato padre, conosce questa signora bionda tinta mentre sta sistemando delle fioriere in uno spazio pubblico per conto della cooperativa per cui lavora. Pochi giorni, e, il 30 gennaio, Gina riceve Maurizio nel suo pied-à-terre. Gli inquirenti troveranno l’appartamento perfettamente in ordine, e il cadavere della donna, strangolato stavolta con un foulard. Un passo falso, quello definitivo, Minghella lo fa nel 2001. Sono successe tante cose, nel frattempo. Il Travoltino ha lasciato la prima compagna, quella con cui ha avuto un figlio, ha iniziato e concluso un’altra relazione e adesso vive con una terza donna. […] Il 9 febbraio, dalle parti di Collegno, il mostro colpisce ancora. Per l’ultima volta. Tina Motoc, 21 anni, romena, madre di una bimba di 2 anni, viene uccisa con un rituale violentissimo. Sodomizzata, picchiata, strangolata con il suo collant e infine derubata. Derubata, tra le altre cose, di un telefonino, che, come dimostreranno gli accertamenti successivi all’arresto del killer genovese, da quel giorno in avanti risulta usato proprio da Maurizio Minghella» (Bertuccio). «Al secondo processo, nel 2002, il personale della cooperativa ammise che, nei giorni di alcuni omicidi, Minghella si era dato malato e loro gli avevano concesso di restarsene a casa, violando le prescrizioni del carcere. Una benevolenza candida, dalle terribili conseguenze. Eppure, Minghella rifiutò ogni accusa, anche nella seconda tornata di sangue. Arretrò su tutta la linea, rifiutò le visite di consulenti e psichiatri, si definì vittima di un complotto. Come nel 1978» (Ferrero). «Oltre agli omicidi, gli vengono contestati undici stupri, 14 rapine, cinque pestaggi, un sequestro di persona e, ancora, spaccio di droga e distruzione di cadaveri. […] Tornato definitivamente dietro le sbarre nel 2001, grazie alla targa del motorino memorizzata da una prostituta albanese, Minghella si chiude nell’indifferenza. Accetta di incontrare solo la madre, perde 28 chili in tre mesi, simula goffamente un suicidio e invano cerca di evadere. Fine pena: mai» (Nuzzi). Nel novembre 2019 Minghella, recluso nel carcere di Pavia per scontare le condanne all’ergastolo e a ulteriori 131 anni di reclusione, fu raggiunto da una nuova condanna definitiva, a 30 anni di reclusione, per l’omicidio della prostituta albanese Floreta Islami. «La vittima, che aveva 29 anni, venne strangolata con una sciarpa a Rivoli, nel torinese, […] il 14 febbraio 1998. […] È stato il Dna a incastrare Minghella. Sulla sciarpa di lana utilizzata per strangolare Floreta Islami […] sono state trovate tracce biologiche che hanno permesso alla polizia scientifica del capoluogo piemontese di estrarre un profilo genetico corrispondente a quello di Minghella. Dai successivi accertamenti della polizia, è risultato che in quel periodo Minghella frequentava la zona di Rivoli» (Federica Cravero). Maurizio Minghella è inoltre sospettato di numerosi altri omicidi ancora insoluti • Il figlio, Giampiero Finessi, è già stato arrestato più volte, per aggressione e per rapina • «Di Minghella resta il ritratto di una delle sue compagne. “Lo incontrai alla stazione, mi chiese dove stavo andando, se avevo bisogno di un posto dove stare. Mi ospitò a casa sua, a San Salvario”. Ogni mattina brioche a colazione e tre rose rosse, poi anellini, monili. “Cucinava bene, mi disse del suo passato, negava però di avere ucciso”. Dopo? “Mi ha lasciato per un’altra. No, con me niente violenze. Solo due o tre volte, come succede in tutte le coppie. E qualche volta era anche colpa mia”. Storie di pranzi casalinghi nella casa dei suoceri, panettoni e spumante» (Numa) • «Una vicenda di cronaca e di squallore in cui le responsabilità, terribili e cristalline, di un pluriassassino si uniscono a quelle di chi doveva valutare e fallì, di chi doveva vigilare e abdicò al suo compito. Una débâcle collettiva utile a un pluriomicida per crearsi uno spazio di manovra durato anni, prima e dopo la carcerazione. […] Capitò a don Andrea Gallo, il prete degli ultimi che diffondeva con sigaro e Borsalino la parola del Signore nella sua versione più socialista, di intestarsi una battaglia sbagliata. Perché Maurizio Minghella era dannatamente colpevole. E il secondo tempo del suo film dell’orrore, costato vite e dolore perpetuo, ce lo saremmo potuti risparmiare se solo si fosse capito che, talora, non esiste rieducazione che abiliti alla convivenza civile. […] Don Gallo non chiese perdono per la svista. Anzi, tornò a visitarlo in carcere. Uscito da un colloquio, venne intercettato da un cronista e la mise così: “La verità, l’ho letta negli occhi di Maurizio: lui non ha ucciso. Lo so, perché abbiamo pregato insieme”» (Ferrero) • «Ma perché uccide? “Minghella riferisce frequenti e violente cefalgie – ricordano lo psichiatra Paolo De Pasquali e il professor Francesco Bruno nella relazione difensiva – durante i rapporti sessuali e le masturbazioni: sostiene che deve raggiungere l’orgasmo almeno due volte al giorno. Non sopporta la vista del sangue mestruale: quando lo vede, uccide”» (Nuzzi) • «Non sappiamo perché Minghella uccide. Non ha mai fornito alcuna spiegazione sui delitti commessi. Forse lo fa per il disprezzo che nutre nei confronti delle prostitute, forse per il sentimento di amore-odio che prova per la madre. O forse per le disfunzioni sessuali, visto che le donne sopravvissute alle violenze hanno riferito di problemi di impotenza ed eiaculazione precoce. Ma non è da escludere che abbia ucciso per puro piacere. In ogni caso, Minghella ha scelto quando farlo e quando risparmiare le sue vittime» (Roberto Sparagna, pubblico ministero presso la Corte d’assise di Torino, durante l’ultimo processo).